Basterebbero ben pochi ritocchi affinché la biografia di Hans Georg Berger diventasse la sceneggiatura di un film firmato Werner Herzog.
La passione per i viaggi, la curiosità di scoprire l’altro, il misticismo, il bisogno della ricerca interiore e la scelta di vivere in un eremo: tutti temi che indubbiamente stuzzicherebbero il visionario regista di Fitzcarraldo. Il titolo – altrettanto herzoghiano – l’ha già scelto lo staff del Museo delle Culture: La disciplina dei sensi. Il Museo, dopo un lavoro di ricerca durato anni e iniziato negli archivi di Berger, dedica un’importante retrospettiva al fotografo bavarese. Classe 1951, proprio a Monaco è stato protagonista della scena culturale della sua città, fondando la Münchener Biennale, Festival für neues Musiktheater. Poi, dal bailamme della metropoli tentacolare, HGB si sposta all’isola d’Elba.
Agli inizi degli Anni 70 si impegna nel restauro dell’eremo di Santa Caterina (1620 ca.), divenuto poi un centro d’arte internazionale. Sull’isola toscana, HGB incontra Hervé Guibert, il quale scrive di fotografia su «Le Monde», è tra gli amici più cari di Michel Foucault e Isabelle Adjani e diverrà suo compagno di vita. Si scambiano l’apparecchio fotografico, immortalandosi a vicenda in una serie di ritratti talvolta davvero curiosi. Coglie altresì una natura morta (Madama Butterfly) ricca d’un fascino arcano. La prematura scomparsa di Guibert, nel 1991, interrompe la pace e l’esperienza di Santa Caterina. HGB lascia l’Europa per una serie di viaggi che lo porteranno in Iran, in Thailandia e soprattutto nel Laos.
Figlio di madre cattolica e di padre protestante, sin da bambino riconosce come non vi sia una sola religione. La sua apparecchiatura fotografica testimonia il suo interesse per l’islam sciita e per i riti buddisti, la meditazione in primis. «Le mie foto – ha confermato alla presentazione del ricco, poderoso saggio (400 pagg.) che accompagna l’esposizione – sono parte di un processo culturale». Il legame che riesce a instaurare con molti monaci buddisti è così forte che questi ultimi gli permettono di venir ritratti durante le loro preghiere, certi che dietro l’obiettivo c’è un artista attento a un’etica basata soprattutto sul rispetto.
Lo stesso accade in Iran, dove riesce a ritrarre sei ragazze definite «Seminariste» dalla didascalia, le quali gli concedono poi un ritratto in camera look e a volto scoperto, seppur avvolte in un largo drappo nero. Nel loro sguardo, HGB sembra cercare un’altra visione del mondo, curioso di scoprirla e pronto forse a condividerla. Va rilevato come, nella sezione intitolata «La gioia della conoscenza», ci siano solo soggetti intenti alla lettura e alla discussione del Corano.
Lasciato il Paese degli ayatollah, Berger si sposta in Egitto, concedendosi una parentesi che riecheggia il pittorialismo, felicemente coniugato nel suo pervicace bianco&nero. Approda quindi in Asia, più precisamente sulle rive del tristemente noto fiume Mekong. Nella serie «Notturni», le pagode sul fiume sembrano sospese nello spazio, le candele illuminano visi coinvolti in Giochi sacri e – quasi moltiplicate all’infinito – creano «Fragili templi di luce».
Uno spazio particolare è dedicato dal Museo delle Culture alla Ricerca della sensualità, una serie di nudi maschili che in una sala circondano la statua di Giacomo Manzù Odisseo. «È il racconto intimo – sottolinea il Direttore del Museo Francesco Paolo Campione – di storie d’amore vissute in prima persona da Berger», il quale non ha mai fatto mistero della propria omosessualità.
Una fotografia davvero condivisa, quella di Berger, che diventa strumento d’indagine e di profonda introspezione; che ci invita a spingerci al di là dell’inquadratura e del semplice compiacimento estetico. Ci aspettano emozioni e interrogativi.