Bello da togliere il respiro

«Azione» mette in palio alcuni biglietti per l’appuntamento del 9 dicembre con l’OSI
/ 29.11.2021
di Enrico Parola

Čajkovskij è l’autore attorno a cui Markus Poschner sta creando il nuovo progetto che vedrà protagonista in questa e nella prossima stagione l’Orchestra della Svizzera Italiana. Ne ha già eseguito al Lac e inciso la Quinta Sinfonia, adesso lo attendono le altre pagine orchestrali del compositore pietroburghese, da quelle più popolari ad alcune decisamente meno conosciute.

Appuntamento-icona è quello del prossimo giovedì, quando l’Osi accosterà il Concerto per violino (solista è l’amburghese Christian Tetzlaff, alla Prima sinfonia, Sogni d’inverno. «Il Concerto vide la luce proprio in Svizzera, mentre il musicista soggiornava nella Villa Richelieu di Clarens, sul lago di Ginevra» racconta Poschner. «Non molti lo ricordano, ma sul suolo elvetico nacquero vari suoi capolavori e iniziarono ad essere concepite opere teatrali come Onegin: a Ginevra la Serenata per archi, a Interlaken la fantasia-ouverture Romeo e Giulietta; e la sinfonia Manfred, che annoverava tra le sue opere migliori, fu ispirata dalla contemplazione delle montagne svizzere che visitò per ripercorrere le tracce di Lord Byron, ispirato dal suo poema Manfred».

Tracce è anche il titolo del ciclo ciajkovskiano e dell’intera stagione. «Nessun compositore più di lui ha rappresentato un ponte tra culture, nessuno quanto lui si è ispirato all’idea di Europa nel concepire e plasmare il proprio linguaggio. Basti pensare alle sue sinfonie più mature, che sono un crogiuolo in cui confluiscono da tutta Europa i più svariati influssi: rintoccano gli echi di Mozart e Rossini, Beethoven e Berlioz. Čajkovskij era curioso, costantemente aperto al nuovo, e quando visitava un Paese se ne lasciava sempre influenzare, assimilando, rielaborando e ricreando il suo patrimonio musicale e spirituale». Un autore che il maestro bavarese conosce bene: «Sono venticinque anni che dirigo le sue sinfonie con continuità, ogni volta tornando a interrogarmi su di esse: non smetto mai di sbalordirmi quando mi affaccio sulla loro enorme profondità filosofica».

Il non cedere mai alla routine, il non ripetere mai in modo pedissequo e acritico la tradizione è nei geni di Poschner, come ha dimostrato il fortunato e premiato progetto Rileggendo Brahms e come sta confermando il Rossini Project dove propone letture nuove, tetragone ai cliché, rispettose delle originali intenzioni dell’autore e della storia. «Da un secolo e mezzo Čajkovskij è una presenza ininterrotta e frequente nei programmi delle stagioni concertistiche di tutto il mondo, e in questo lungo lasso di tempo si è sedimentata una tradizione interpretativa divenuta imperante, fatta di grandissimi organici e volumi sonori poderosi, una monumentalità che è andata a discapito della trasparenza e delle sottigliezze di stampo cameristiche presenti nella scrittura čiajkovskiana. Bisogna tornare ad interrogarsi su come fosse realmente un’orchestra russa negli ultimi anni dell’Ottocento, e penso che la dimensione dell’Osi sia perfetta per restituirci il suono che Čajkovskij poteva immaginare per le sue sinfonie».

Compito tutt’altro che facile, ricostruire l’esatto pensiero originale: «Compito arduo, oserei dire, perché lo stesso compositore era un eterno indeciso, perennemente insoddisfatto, tanto da continuare a rimaneggiare una partitura già eseguita per modificarla e migliorarla. Era altalenante anche nei giudizi che esprimeva sui suoi stessi lavori: variava dall’entusiasmo più sfrenato al rifiuto quasi autodistruttivo, influenzato dallo stato d’animo o dalle contingenze biografiche in cui si trovava». Per questo può essere illuminante documentarsi non solo sulle prassi esecutive del tempo, ma sulle vicende biografiche e sui carteggi del russo. «Lo sono ad esempio gli scambi epistolari con solisti e direttori suoi amici: Willem Mengelberg, amico di Mahler (ne provava le sinfonie al Concergebouw di Amsterdam, dove sono conservati gli spariti con le annotazioni sue in cui riporta anche le osservazioni del compositore boemo, ndr.), portò le sinfonie di Čajkovskij in varie tournée sotto la supervisione dello stesso russo, tra loro vi fu un confronto e un lavoro assiduo e intenso».

In questo percorso Poschner è stato affiancato dal musicologo Christoph Flamm, che da anni è impegnato nello studio e ricostruzione delle partiture originali del compositore pietroburghese, lavorando con manoscritti e altri materiali custoditi nel museo Glinka di Mosca e nella casa-museo del musicista a Klin; uno dei primi frutti è stata una nuova edizione critica proprio del Concerto per violino. Due sono le versioni della sinfonia Sogni d’inverno; Flamm ha studiato anche la prima, di cui non è rimasto il manoscritto ma solo una copia sulla cui autenticità non v’è certezza totale. Punti interrogativi, questioni aperte, suggestioni, prospettive attraverso cui vedere musiche meravigliose: «La nostra speranza è che sia la rilettura sia l’ascolto delle sue famosissime sinfonie risultino tanto nuovi e radicali da togliere il respiro».