Dove e quando

Babel Isole, 14-17 settembre, Bellinzona.www.babelfestival.ch



Bellezza e mistero delle isole letterarie

Intervista ad Auður Ava Ólafsdóttir, tra le più importanti scrittrici islandesi contemporanee, sarà ospite di Babel Festival
/ 11.09.2023
di Natascha Fioretti

Classe 1958, di casa a Reykjavík, di formazione storica dell’arte, in passato direttrice del Museo dell’Università d’Islanda, oggi tra le più importanti voci letterarie islandesi, Auður Ava Ólafsdóttir sarà a Babel sabato 16 settembre alle ore 18.00 sul palco del Teatro Sociale insieme al suo traduttore Stefano Rosatti. Filo conduttore di questa edizione del Festival di traduzione (si inaugura venerdì 15 settembre alle 18:30 con Tommaso Soldini all’Antico Convento delle Agostiniane di Monte Carasso) sono le isole letterarie e linguistiche che da sempre emergono e ci affascinano come luoghi fisici e mentali. Ci sono le isole remote dell’atlante immaginario di Judith Schalansky (Bompiani), c’è l’isola deserta nel mare atlantico di Robinson Crusoe o Rokovoko – l’isola immaginifica di Moby Dick. Ci siamo noi, isole interiori – ognuna con la sua storia e le sue sensibilità – legate le une alle altre.

Di isole, lingue e traduzioni ci parla Auður Ava Ólafsdóttir in questa intervista.

Nel suo romanzo La vita degli animali (Einaudi, 2021), primo volume di una trilogia che a inizio 2024 proseguirà con il titolo Eden, esordisce con la parola più bella votata dagli islandesi nel 2013. Ljósmóð, sostantivo di sette lettere che mette insieme due parole: madre e luce. Partiamo da qui.

L’idea l’ho avuta qualche anno fa. Volevo scrivere della luce, del suo significato in un mondo buio. Ho pensato allora che la protagonista dovesse essere un’ostetrica, una madre di luce (mother of light), una madre che porta luce, che dà luce. La immaginavo essere una sorta di esperta del comportamento umano e del significato, dell’importanza della luce in un mondo scuro. Da qui sono partita e per questo ad aprire il primo capitolo c’è la scena di una nascita, la venuta al mondo di un essere umano tutto nudo e indifeso.

Questa immagine ci conduce al cuore della sua riflessione: il rapporto tra l’essere umano, la natura e gli altri animali.

Di tutti gli animali l’uomo è il più fragile e allora nel romanzo mi chiedo: com’è possibile che l’essere più debole diventi l’animale più pericoloso, avido ed egoista?

Chi vive nei Paesi nordici è particolarmente sensibile alla luce. Perché?

Chi vive così a nord dell’Europa come noi islandesi con i lunghi inverni e le estati luminose sviluppa una grande sensibilità alla luce. Stando ai racconti di mia madre, la prima parola che ho pronunciato puntando il dito verso il cielo è stato «luce». La luce a cui guardavo era l’aurora boreale. Ora, se da autrice vuoi scrivere un romanzo sulla luce, devi pensare al suo contrario, al buio. Cosi ho pensato che il racconto dovesse avere luogo nei giorni più bui dell’anno, quelli che precedono il Natale. Il modo migliore per capire la luce è nel momento in cui ne hai di meno.

Come se non bastasse, la sorella della protagonista che lavora per la stazione meteo preannuncia l’arrivo di una eccezionale ondata di maltempo.

Uno degli effetti dell’avidità e dell’ignoranza dell’uomo è proprio la crisi climatica che stiamo vivendo. In quanto essere umano mi sento responsabile, porto il peso della colpa per la situazione in cui ci troviamo. Da scrittrice, quello che più mi interessa è capire come potremo sopravvivere. Non sono interessata alla fine ma a pensare modi e forme di sopravvivenza. E come in tutti i miei libri anche qui cerco di mettere in luce nuovi aspetti della natura umana e animale insite in ogni individuo.

Nel romanzo ci racconta di come il momento della nascita e l’esposizione alla luce sia per l’essere umano il più grande shock della sua vita.

Nel tempo ci dimentichiamo quanto sia difficile per i neonati abituarsi a tenere gli occhi aperti e abituarsi alla luce. A ricordarcelo è la nostra ostetrica che nel romanzo ha una sua profonda saggezza e di tanto in tanto dispensa pillole di filosofia, talvolta piuttosto eccentriche (ride). I bebè li considera dei mammiferi fragili e indifesi, i più deboli tra tutti gli animali. Ma proprio nella fragilità risiede la forza dell’essere umano che per volare come gli uccelli ha inventato gli aerei, per vedere al buio ha inventato l’elettricità…

Protagoniste nel suo romanzo sono le donne, c’è un profondo legame tra loro e la natura, nella loro sensibilità risiede la nostra speranza per il futuro?

Noi donne pensiamo alla comunità, gli uomini sono più egoisti. Io stessa sono una madre e condivido questa esperienza con i personaggi del romanzo. Ora mentre parliamo guardo fuori dalla finestra oltre la strada verso il vecchio cimitero di Reykjavík, una vista che durante la pandemia, quando ho scritto il libro, mi accompagnava costantemente. Non potevo viaggiare, così ho scritto di luoghi, esperienze che sentivo vicine.

Nel romanzo c’è questa immagine sublime dell’ostetrica che recita poesie alle donne mentre partoriscono…

Recita poesie e racconta storie. E come si usava fare una volta – per farle rilassare e aiutarle a superare il dolore – fa ascoltare loro le voci e i suoni delle balene. I cetacei compaiono in tutti i miei libri ma in questo romanzo hanno un significato particolare: le balene sono l’unico animale che quando partorisce in mare ha bisogno di un’ostetrica. La seconda balena ha il compito di portare il cucciolo appena nato – nascono mettendo fuori per prima la coda – in superficie altrimenti soffocherebbe.

Perché una collega definisce l’ostetrica una «cittadina del mondo»?

Rivolge un complimento a una donna che pur senza viaggiare ha visto orizzonti differenti e lontani, ha compreso risvolti e profondità della vita che solo pochi colgono. Quando vivi su un’isola come la nostra, lontano dagli altri Paesi parlando una lingua che pochi comprendono, viaggiare è una necessità fondamentale per conoscere altri orizzonti.

Il romanzo riflette anche sulle difficoltà della vita quotidiana quando arriva un figlio…

L’esistenza di noi esseri umani è complicata. È complicato essere una donna, una madre. Siamo pieni di paradossi, siamo abili a complicarci la vita quando basterebbe concentrarci sul presente e sulle nostre necessità primarie come mangiare, dormire… Ci dimentichiamo delle cose che davvero contano. Gli animali in questo sono più bravi e se ci pensiamo, tornando al discorso iniziale, loro insieme al mondo naturale, non hanno bisogno di noi per sopravvivere mentre noi abbiamo bisogno di loro per non morire.

Nella vita «l’unica certezza è l’incertezza» ci dice un personaggio nel romanzo…

Paragono l’esistenza umana al tempo islandese che è caotico, imprevedibile, cambia continuamente. Il romanzo per contro mi aiuta a dare una struttura, a creare un insieme organico, a calmare e organizzare i pensieri calmando anche il lettore. È come se i due – autore e lettore – si prendessero per mano per attraversare insieme il caos della vita dandogli un senso.