Sebbene il grande pubblico li rammenti essenzialmente per la colonna sonora del vagamente pacchiano La febbre del sabato sera (Saturday Night Fever, del 1977), in realtà i fenomenali fratelli Gibb – la cui formazione è meglio nota con il nome di Bee Gees – sono stati, tra gli anni 60 e 70, responsabili di innumerevoli hit indimenticabili, stampate a caratteri indelebili nella memoria di tutti coloro abbiano avuto la fortuna di vivere in prima persona quell’irripetibile stagione musicale.
Oggi, purtroppo, il 74enne Barry Gibb resta l’unico membro ancora attivo della propria ex band, essendo i gemelli Maurice e Robin passati prematuramente a miglior vita (rispettivamente nel 2003 e 2012); e ciò fa sì che un sincero entusiasmo popolare abbia salutato questo nuovo sforzo discografico, Greenfields: The Gibb Brothers Songbook, Vol. 1 – soprattutto dal momento che si tratta solo del terzo album solista di Barry (dopo Now Voyager, risalente al 1984, e In the Now, del 2016), e costituisce inoltre un esperimento a prima vista peculiare.
L’artista ha infatti deciso di rivisitare i maggiori classici del repertorio dei Bee Gees nientemeno che in chiave country; il che potrebbe portare i puristi a storcere il naso, sebbene si tratti di un genere per il quale il maggiore dei fratelli Gibb ha sempre dichiarato di avere un debole. Tuttavia, basta schiacciare il tasto «play» sul lettore per ritrovarsi in un attimo avvolti dalla tuttora meravigliosa voce di Barry: un’emozione innegabile, foriera di innumerevoli ricordi e déjà-vu fin dalla traccia d’apertura dell’album – una megahit come la storica I’ve Gotta Get a Message to You, certo uno dei brani più iconici della leggendaria formazione, in cui la combinazione (a prima vista un poco azzardata) tra il falsetto di Barry e la voce suadente della nuova stella delle country charts Keith Urban, funziona come un meccanismo a orologeria.
Del resto, ciò che maggiormente colpisce in Greenfields sono proprio il gusto e l’equilibrio stilistico a dir poco invidiabili da cui ogni traccia è pervasa: tutti i duetti del CD sono infatti condotti secondo una saggezza e sensibilità nate direttamente dall’esperienza e professionalità a dir poco sopraffine di Gibb, che mostra un intuito fenomenale nella scelta dei partner, ognuno dei quali si prodiga nel dar vita a un’impeccabile fusione con il materiale di partenza. Di fatto, i brani prescelti per queste cover risultano valorizzati e omaggiati nel migliore dei modi possibili, senza mai una sola concessione alle leggi da classifica, o al sound «commerciale» o radiofonico oggi considerato appetibile. Basta ascoltare una gemma inaspettata come la versione di Words of a Fool cantata con Jason Isbell, ammantata di una sorta di mascolina e ruvida sincerità capace di rendere il brano ancor più lacerante; o alla toccante rivisitazione di Too Much Heaven eseguita con Alison Krauss, la cui voce si fonde meravigliosamente con quella di Barry, fino a farle apparire come un tutt’uno.
Non solo: brani come Rest Your Love On Me, eseguito in coppia con Olivia Newton-John (sì, proprio quella di Grease!), non subiscono nessun particolare riarrangiamento o stravolgimento tecnico; e sebbene, da un certo punto di vista, sarebbe stato facile decidere di «rischiare» un po’ di più, Greenfields dimostra come, quando il materiale di partenza è di tale livello, non ci sia bisogno di alcun effetto speciale – tanto che, per dar vita al più puro spirito da «ol’time country» basta qui l’uso sapiente delle slide guitars.
Così, le sonorità non risultano mai stucchevoli o forzate, e non c’è nulla di nemmeno lontanamente artificioso nelle combinazioni offerte dalle voci intrecciate di Gibb e di nomi cardine della scena americana come, tra gli altri, Gillian Welch e David Rawlings (con cui Barry duetta nella struggente Butterfly), o l’inossidabile Dolly Parton, protagonista di un caposaldo del songbook dei Bee Gees quale Words; per non parlare di To Love Somebody (con Jay Buchanan). Ecco quindi che Greenfields diventa un piccolo capolavoro pop, cesellato fino alla perfezione evidente in ogni brano: perfino le tracce popolate da figure meno note al grande pubblico – come Miranda Lambert (Jive Talkin’), o la formazione dei Little Big Town (responsabili della ballata Lonely Days, qui accompagnata da un’azzecatissima orchestra) – sono caratterizzate da grazia e piacevolezza assolute.
Certo, anche per un aficionado dei Bee Gees è difficile negare che, a prima vista, quest’album possa apparire come l’ennesimo tentativo di riportare in auge i fasti dei tempi d’oro della band, senza nessun altro reale obiettivo; eppure – sarà colpa del periodo particolarmente duro che stiamo ora vivendo, o del solito «effetto nostalgia» – bisogna ammettere come non vi sia nulla di più confortante che riascoltare questi brani, a tutt’oggi per nulla datati, e ancora trasudanti autentica passione e sapienza musicale. Il che fa di Greenfields un disco pressoché perfetto, e non solo per i fan di vecchia data.