Bibliografia
Claudio Nobili, I gesti dell’italiano, Roma, Carocci, 2019.


Basta un gesto

I gesti nella prospettiva linguistica e nelle varie lingue in un ardito libro di Claudio Nobili
/ 13.05.2019
di Stefano Vassere

«Forse, addirittura, l’uomo avrebbe potuto parlare a gesti. In effetti la prova che i suoni siano più adatti dei gesti alla comunicazione non è ancora stata fornita benché l’argomento sia stato più volte discusso».

C’è una sezione molto ardita, in questo coraggioso libro del linguista napoletano Claudio Nobili: è quella dove il paragone tra gesti e segni linguistici in senso stretto si spinge talmente in là da estendere ai primi alcune caratteristiche dai linguisti ritenute esclusive dei secondi. Il segno linguistico è scomponibile due volte: in morfemi, che rendono conto della prospettiva lessicale e morfologica (can-e, can-i), e in fonemi, che invece si riferiscono al piano dei suoni (c-a-n-e). Il gesto sarebbe, secondo la spiegazione sicuramente ardita di Nobili, a sua volta divisibile in parti significanti, mattoncini, i gestemi, che possono poi contribuire a formare altri gesti.

Per esempio, in italiano, tutti i gesti che comportano l’unire le dita della mano «a mazzetto» veicolano il significato di «elemento unito, raccolto nel senso di concentrato»; mentre una mano aperta, anche qui in qualsiasi gesto dell’italiano sia utilizzata, indica «un’entità come rappresentante di qualcos’altro di più generale». Infine, come le parole di una lingua, l’insieme combinato di gesti elementari, i gestemi appunto, determina poi un repertorio di gesti complesso: possiamo combinare i tratti elementari e il loro significato per dire molte e diverse cose, dunque. Nel libro, ci sono parecchie fotografie di un discorso di Matteo Renzi di qualche anno fa; il suo gesto con i polpastrelli di pollice e indice uniti e tutte le altre dita ripiegate con la mano ad anello, il palmo in verticale verso l’esterno, che viene sollevata di fronte al parlante, significa «piccolissimo», «pochissimo». È un gesto condiviso dai parlanti italiano, che può essere scomposto in sue parti minime, secondo variazioni che riguardano il modo in cui si tiene la mano, l’orientamento della stessa, la gestione dello spazio verso l’interlocutore, il movimento esercitato.

Ora, tutta questa ambizione (virtuosa ambizione, per carità) per avvicinare i gesti alla ricchezza di un segno simbolico linguistico in senso tradizionale ha due implicazioni particolari: la prima è che, come tutti gli oggetti di ricerca, anche i segni devono essere categorizzati e raccolti; o, meglio detto, anche i segni devono avere i loro repertori, per non dire i loro dizionari. Nobili stesso è autore di un Gestibolario: criteri metodologici per la redazione di un nuovo dizionario di gesti italiani, ma negli ultimi quindici anni il panorama bibliografico italiano (e internazionale) è ricco di elenchi di questo genere, con impostazioni e destinazioni diverse.

Fra tutte non è secondaria quella didattica, soprattutto all’indirizzo degli stranieri che vogliono imparare la nostra lingua. Come a dire – seconda implicazione – che per imparare bene una lingua è fondamentale impararne anche la gestualità. Quest’ultima, va sottolineato, è legata ai sistemi «residenti», e cioè ogni lingua ha i suoi gesti: se battere le mani in italiano significa apprezzare qualcosa o qualcuno, lo stesso gesto nel Sud Italia significa «mena», «muoviti» e l’apprezzamento nei paesi tedescofoni è spesso manifestato battendo le nocche di una mano su un tavolo (specie alla fine di una conferenza o di una lezione universitaria).

Questo libro scosta il velo sul meraviglioso mondo della pragmatica, che è tappa obbligata per chi voglia studiare la comunicazione umana superando i limiti del sistema linguistico: fare cose con le parole, fare parole con le cose. Una dimensione che ci permette per esempio di dire che gesti (ed emoticons nei messaggini) sono non solo importanti ma spesso addirittura necessari per far capire quello che vogliamo dire e quello che vogliamo comunicare. Non basta la parola, insomma. O forse, come sostiene un altro Renzi, il linguista Lorenzo, se le cose stanno come pare indicarci il libro di Claudio Nobili, non ci sono le prove scientifiche che una lingua organizzata in gesti non sarebbe stata altrettanto efficace di quella che conosciamo, che procede per suoni.