Un’esplosione. Damien Chazelle (il regista di La La Land, Whiplash, First Man) ha realizzato un film unico e irripetibile perché esagerato, volgare, divertente, drammatico, intimo, diseguale, sontuoso, goliardico e scatologico. Un’opera che per la sua ampiezza, per l’uso di migliaia di comparse e grandi spazi oltre che per la visione cinematografica a 360 gradi si avvicina ai grandi kolossal del passato come Cabiria, Quo Vadis e Ben Hur, un genere ormai passato di moda e che il regista americano ha riportato sul grande schermo con un entusiasmo che solo chi ama il cinema in modo viscerale può fare. Del resto, anche il nome Babylon, richiama un passato epico, tipico dei kolossal. Tuttavia, come un altro film appartenente a questo filone che fece scalpore (I cancelli del cielo di Cimino responsabile della bancarotta della United Artist ma che poi divenne un vero e proprio cult) anche Babylon può diventare un clamoroso flop al botteghino: il budget per produrlo è stato di 78 milioni di dollari e gli incassi, finora, negli Stati Uniti non hanno raggiunto i 20 milioni.
Siamo a metà degli anni Venti del secolo scorso a Los Angeles. Un momento cruciale per Hollywood e l’industria cinematografica con il passaggio del muto al sonoro: una vera e propria rivoluzione che segnerà l’ascesa di nuove stelle e la rovina di vecchie glorie che non sono riuscite a effettuare il passaggio. In questo contesto seguiamo le vicende di quattro personaggi: Nellie LaRoy interpretata da Margot Robbie, ritratta nella foto, che convince in un ruolo che chiede dolcezza ed esuberanza); Jack Conrad (interpretato da un Brad Pitt tornato in piena forma), attore di successo con oltre ottanta film muti all’attivo, dedito ad alcol, droga e donne; Manuel Torres (tuttofare messicano che impara il mestiere di regista da autodidatta lavorando per gli attori e gli Studios) e Sidney Palmer (Jovan Adepo), talentuoso jazzista nero che diventa una star cinematografica.
Già da queste poche parole si intuisce che Babylon è un atto d’amore verso la settima arte e tutto ciò che ha rappresentato in quell’importante momento storico (in una scena un personaggio afferma con forza che «il cinema non è un’arte minore, ma c’è bellezza e per molta gente significa qualcosa d’importante») e forse – qui si va con l’azzardo – è anche una sottile critica verso una magia che negli anni ha perso. Chazelle ha pensato bene di ricreare quello spirito pionieristico e naïf ma tanto affascinante per mostrare agli spettatori la potenza originaria del cinema. Ecco, il film va inteso come un regalo agli spettatori, i veri protagonisti di Babylon (impliciti ed espliciti come nella scena finale nella quale Manuel entra in un cinema quasi trent’anni più tardi e si emoziona per Singin’ in the Rain, che ricordiamo è ambientato nel 1927 e parla appunto del passaggio dal muto al sonoro).
Se quindi da un lato la pellicola di Chazelle parla del «cinema che fu» e lo fa usando il cinema (divertente la scena nella quale Conrad telefona a una Gloria Swanson in declino per chiederle se conosce qualche giovane attore, lei protagonista di quel capolavoro che è Il viale del tramonto), dall’altro parla di una società, quella americana di quegli anni, in profondo cambiamento: l’industria cinematografica ha modellato Los Angeles e l’ha trasformata da cittadina in metropoli (basti pensare che nel 1920 contava mezzo milione di abitanti e nel 1930 ben 1,2 milioni). Un cambiamento che il regista ci mostra attraverso alcune scene dall’alto in cui vediamo la moltitudine di capannoni dedicati ai set: una nuova città nella città.
Che cosa aggiungere? Ah, la colonna sonora. Il regista da sempre dimostra di avere una spiccata sensibilità per l’accompagnamento musicale (ricordiamo la figura del batterista di Whiplash) e non poteva non mostrarla qui, dove si racconta il passaggio dal muto al sonoro. Tra i protagonisti c’è il jazzista Sidney Palmer, interpretato da Jovan Adepo, figura ispirata a Curtis Mosby, leader di una band jazz molto popolare e soprattutto la musica accompagna dal vivo le numerose feste in cui qualsiasi eccesso è lecito. Un gioco continuo tra apparenza e sostanza, finzione e realtà, come nella vita.