«Il Natale era rimasto nascosto nelle strade per tutto il tempo. I piccoli Dickens marciavano dietro il padre in ubbidiente fila indiana, ma i loro occhi erano tondi e luccicanti come monete nuove di zecca. I negozianti, in equilibrio precario su alte scalette, decoravano le loro vetrine con rami sempreverde. Poi c’erano i vecchi che vendevano caldarroste in piccoli cortili affollati, il pollivendolo che esponeva in vetrina il cartello per un suo “club dell’oca al brandy”. Il macellaio che decantava le lodi del suo arrosto di manzo, il droghiere con il suo Christmas pudding. Il clima tiepido e lo sferragliare di carri e carrozze non riuscivano comunque a guastare l’atmosfera. L’aria profumava come se fosse appena scesa una grandinata di noce moscata, una neve di cannella».
Catherine aveva appena dato alla luce il loro sesto figlio nella splendida e lussuosa dimora al numero 1 di Devonshire Terrace. Gli editori Edward Chapman e William Hall erano passati per comunicargli il catastrofico insuccesso di Martin Chuzzlewitt («non sta vendendo nemmeno un quinto di Nickleby») e proporgli di scrivere un libro di Natale: «pensavamo a qualcosa dallo spirito festivo». Dickens sulle prime si mostra contrariato ma ha non molta scelta, perché come i suoi editori sottolineano «si tratta di una questione di denaro» e se i profitti di Chuzzlewitt dovessero continuare ad andare male, come recita la clausola del contratto, Chapman e Hall potrebbero detrarre le loro perdite dalla paga dell’autore. Un bel colpo per Charles Dickens che alle porte del Natale, mancano sei settimane, si trova a riflettere sulle sue entrate ma soprattutto sulle sue esose uscite di cui lui stesso in un dialogo con Catherine si mostra consapevole: «Il punto, molto semplicemente, è che viviamo al di sopra delle nostre possibilità». Ecco allora che nella passeggiata per Londra con i suoi bambini in direzione Bumble’s, il famoso negozio di giocattoli, Dickens li avverte che questa volta daranno solo un’occhiata senza comprare niente. Ma saranno parole al vento dinanzi alle richieste di quegli occhi imploranti e a nulla varrà la sua saggezza: «Perché, bambini, lo sapete: il Natale non è fatto di cose, è fatto di buoni sentimenti». Anche Catherine non aiuterà il marito nel tentativo di fare economia, anzi, per la festa ordina «quattro tacchini, un’oca, dolcetti vari, nocciole e frutta candita. E il Christmas pudding ovviamente» e poi fa arrivare un abete speciale dalla Germania. Il marito quando lo vede non riesce a trattenersi: «Di alberi non ne abbiamo qui in Inghilterra?». Ma la moglie prontamente risponde: «La regina e il principe Alberto insistono al riguardo. È una nuova tradizione». L’unica salvezza, insomma, è scrivere la storia di Natale. Lo avrete capito, cari lettori e care lettrici, il libro in questione è Il Canto di Natale che Dickens scrisse davvero in sei settimane nel 1843 ma l’idea fu sua e non dei suoi editori.
Questa semplicemente è la storia raccontata da Samantha Silva, scrittrice e sceneggiatrice laureata alla Johns Hopkins University’s School of Advanced International Studies che vive in Idaho, e quando ci sentiamo si trova a Seattle per la prima a teatro del suo Il canto di Mr Dickens uscito ora in italiano per Neri Pozza (che qualche mese fa della stessa autrice ha pubblicato anche Amore e furia, un omaggio a Mary Wollstonecraft). Il romanzo che lei dice essere «comico e sentimentale» racconta l’origine del Canto di Natale mischiando personaggi, date, fatti realmente accaduti a una storia di finzione che alla fine si rivela essere una lettera d’amore a Charles Dickens di cui l’autrice ammira «la brillantezza sartoriale di scrittore ma anche il lato umano, la sua grande fede nell’umanità e nel nostro senso di responsabilità verso gli altri. Dickens aveva un grande cuore, non era un uomo perfetto ma ha fatto del bene al mondo. È stata la prima persona in Inghilterra a scrivere di persone che non sapevano leggere. L’alfabetizzazione è esplosa perché la gente voleva conoscere le sue opere, colui che per primo aveva scritto di loro, sottraendoli all’oblio». Il Canto di Natale (A Christmas Carol) illustrato da John Leech uscì il 19 dicembre e vendette seimila copie in pochi giorni. «Trovo ironico che per liberarsi dalle sue difficoltà economiche Dickens abbia pensato a un personaggio profondamente avaro come Scrooge».
Non è però solo il denaro a preoccupare Dickens, lo scrittore è affetto dalla sindrome del foglio bianco. L’autore di Oliver Twist è alla disperata ricerca di una musa e tra tanti pensieri gli viene in mente il suo primo amore Maria Beadnell. L’amico di sempre, John Forster, organizza l’incontro proprio nel salotto dei Winter, ad Artillery Place, ma la scena che al lettore era stata prospettata colma di aspettative si traduce in un momento comico: «Dickens si trovava a provare la posa migliore per fare colpo. Lì davanti al camino di marmo della sua prima fiamma, sentiva agitarsi dentro braci sopite da tempo (…) Maria Beadnell entrò a passetti rapidi nella stanza, pienotta come un polpettone appena sfornato; oltre a grondare gioielli, era vestita nel modo più simile a un pavone che a una donna può riuscire. Dickens si voltò per assorbire la scena».
Ironia a parte, il tema della musa nel romanzo di Samantha Silva è centrale: «Siamo attratti da una proiezione dei nostri desideri e bisogni inconsci. Nella scena a cui più tengo, gli autori non lo ammettono ma nelle loro storie hanno sempre una parte o un personaggio che preferiscono, Eleanor Lovejoy gli dice che la sua musa è il bambino che porta dentro, il bambino ferito che un tempo è stato». Dickens per Il Canto di Natale trarrà linfa dai suoi ricordi, le sue memorie e scriverà in quello che fu il suo primo modesto alloggio di scrittore al numero 13 di Furnival’s Inn dove ritrova il suo vecchio scrittoio di betulla. Ma a nutrire il suo spirito saranno soprattutto l’affinità elettiva con Eleanor Lovejoy e il suo affetto per il piccolo Timothy, «un bambino che amava il Natale con tutto il cuore», uno dei tanti orfani dimenticati della Londra vittoriana, che l’uomo dal grande cuore adotterà. Che poi la città in questo libro diventa un personaggio a sé, una confidente per lo scrittore in cerca di ispirazione. Lo vediamo attraversare Southwark Bridge da dove scorge l’imponente cupola di St. Paul e in lontananza riconosce Cheapside per poi camminare accanto alla prigione di Newgate. Oppure raggiungere William Thackeray al numero 58 di Lincoln’s Inn Fields, «famosa per essere una sorta di caverna magica, il fulcro della vita letteraria di Londra, un rifugio per scrittori, illustri o ancora sconosciuti, che erano certi di poter trovare in quelle stanze il calore del fuoco, del vino e degli amici».
Quello di Samantha Silva è davvero un romanzo dai buoni sentimenti che ci catapulta nell’universo dickensiano ricordandoci che siamo tutti fatti della stessa materia: «Siamo tutti perduti, smarriti, spezzati. Tutti a cercare disperatamente di tornare interi». E sebbene la vita talvolta può essere dura c’è sempre una soluzione, una via d’uscita dettata dall’amore e dalla generosità. Salutiamoci allora con tutta la verve dello spirito dickensiano che ci proietta anche oltre il Natale. «E avremo cene e balli, e spettacoli e magia e tornei di mosca cieca e serate a teatro, e baci d’addio agli anni passati e baci di benvenuto all’anno nuovo come mai si sono visti da queste parti».