Pianoforti, violini e violoncelli; più raramente viole, clarinetti o flauti; ma mai un mandolino. Poi è arrivato Avi Avital e anche il simbolo della musica napoletana è entrato nel novero degli strumenti solisti chiamati a condividere con le orchestre i palcoscenici più prestigiosi al mondo. Il quarantaquattrenne virtuoso israeliano si esibirà all’Auditorio Stelio Molo giovedì prossimo, accompagnato dall’Orchestra della Svizzera Italiana nei Concerti RV 93 di Vivaldi e di Sollima (sul podio Markus Poschner, che dirige anche la quinta sinfonia di Beethoven).
Avi Avital ha inciso Bach, Vivaldi e tanta altra musica – dalla contemporanea al folk – per la Deutsche Grammophon, la mitica etichetta gialla che ha immortalato le interpretazioni di Karajan, Abbado e Kleiber; è stato applaudito nei massimi templi del concertismo mondiale, «anche all’Hollywood Bowl, con la Los Angeles Philharmonic davanti a 13mila persone, circondato da un silenzio e un’attenzione incredibili; suonare le Quattro stagioni nello stesso luogo dove si erano esibiti i Beatles è stato un momento incredibile, per me e per il mandolino, non avrei mai pensato che sarebbe potuto accadere». È accaduto, così come il suo casuale, ma forse si potrebbe dire fatale incontro col mandolino: uno strumento inusuale non solo da scegliere, ma anche solo da vedere e conoscere. «A otto anni i miei genitori mi portarono a un concerto di un’orchestra giovanile mandolinistica; rimasi affascinato non tanto dallo strumento in sé, quanto dalla musicalità generale che si sprigionava da quel gruppo; fu quella musicalità che volevo per me, il mandolino risultò semplicemente la porta per accedervi».
Avital, più che a quel concerto, ama andare all’origine di quell’insolito incontro: «Il mio paese natale, Be’er Sheva, è piccolo, ma aveva visto nascere questa orchestra perché vi si era trasferito Simcha Nathanson. Suonava il violino, ma c’era già l’insegnante di questo strumento, così gli chiesero se volesse mettere in piedi un’orchestra usando i quaranta mandolini che giacevano inutilizzati in un magazzino; accettò e creò una formazione di mandolini, mandole, chitarre e contrabbassi. Studiai con lui; non essendo un mandolinista, più che insegnarmi la tecnica mi trasmise la sua musicalità, il gusto per i fraseggi, le dinamiche, cioè proprio quello che mi aveva colpito in quel primo concerto. Certo, quando poi intrapresi un serio percorso di studi, dovetti recuperare tutto il tempo non dedicato alla tecnica pura…».
All’inizio Avital non pensava di poter diventare l’ambasciatore del mandolino, il pioniere di una rinascita di questo strumento, arrivando a ricevere le nomination per i Grammy Award: «Mi interessava fare musica e non mi spaventava il fatto che il repertorio fosse esiguo: due concerti di Vivaldi, due perle di Beethoven e Mozart, qualche pagina di Hummel. Il mandolino era legato al folclore napoletano o al dilettantismo di qualche nobile appassionato, non godeva la considerazione di un violino o un violoncello». L’affrancamento da questo stereotipo e il tentativo di ammetterlo tra gli strumenti che potessero «reggere» il palco di una moderna sala da concerto, a fianco di orchestre (ma anche in recital solistici) è passato necessariamente dal potenziamento della sua sonorità. «Ho avuto la fortuna di conoscere un liutaio straordinario, Arik Kerman, che a ottant’anni ancora aveva voglia di confrontarsi con me e mettere in discussione la storia del mandolino, cambiandone la forma e alcune caratteristiche tecniche; abbiamo lavorato assieme per anni, mi ha fabbricato mandolini in grado di reggere, dal punto di vista strutturale, meccanico e sonoro, un repertorio originariamente scritto per violino, con quantità di note e varietà dinamiche impensabili per lo strumento nella sua concezione originaria». Con questo Avital ha potuto trascrivere, incidere e suonare in tutto il mondo i Concerto per violino di Vivaldi e Bach, e lo stesso ha fatto ad esempio con le Sonate o le Partite per violino solo del sommo Johann Sebastian, tra cui la vertiginosa e virtuosistica Ciaccona in re minore.
A Lugano suonerà il Concerto che Giovanni Sollima ha scritto per lui: «Ci siamo conosciuto nel 2014, da direttore artistico mi aveva invitato a suonare alla Notte della Taranta in Puglia. Lui palermitano, io israeliano di origini marocchine; entrambi legati e influenzati dal mar Mediterraneo, che è stato anche un crogiuolo di storie e linguaggi musicali incredibilmente ricco. Come me è aperto a ogni genere musicale – io li considero dialetti di un’unica lingua, per i Suoni delle Dolomiti abbiamo suonato nei rifugi il folk balcanico, il rock e il metal». Genere che fa parte del suo passato: «A 14 anni suonavo anche la batteria, magliette dei Nirvana, anfibi e capelli lunghi; ho decisamente cambiato ambito, ma qualche anno fa ho ricomprato una batteria elettronica; quando ho del tempo libero, soprattutto dopo una tournée, mi piace chiudermi in camera e riabbracciare certi amori giovanili».