Il concetto di Opera aperta è fondamentale e oltremodo utile quando possiamo applicarlo al significato di forme d’espressioni artistiche contemporanee. La sua natura, già descritta in un celebre saggio di Umberto Eco, si esprime appieno nella ricerca estetica di una o più forme del contenuto. Modelli che possono prestarsi a molteplici letture di un’unica dimensione espressiva parallela o sovrapponibile. Anche sul palcoscenico l’ambito di un discorso si consuma come un rituale che agli occhi dello spettatore si celebra come fonte e stimolo per svariate interpretazioni.
Ne è un esempio Dansonography, la performance multimediale della danzatrice e coreografa Alessia Della Casa andata in scena al Teatro Sociale di Bellinzona dopo una lunga (e forzata) gestazione. Autrice e protagonista del progetto, l’artista compone un discorso mettendo in campo le visionarie immagini digitali di Roberto Mucchiut accompagnate dai sofisticati universi elettronici di Alessio Sabella e dalle suggestioni dell’arpa elettrica di Kety Fusco.
Occupando il centro della platea, la scena schiera due pannelli di tela dove proiettare immagini speculari, una macchia di Rorschach in continua evoluzione (opera aperta per antonomasia) che il corpo della danzatrice attraversa per il lungo strisciando e rimodellando le posture, tra suoni che si sommano e avvolgono, come quelli prodotti dalle corde dell’arpa, ora sfiorate dall’archetto di Kety ora accarezzate dalla sua mano: atmosfere lontane, irriconoscibili come onde frangenti che preannunciano un archetipo psicologico. Il movimento diventa trama di un’assenza nello spazio di una sala immersa in ipotesi simboliche volte a formularsi senza soluzione di continuità.
Il faggio protagonista a teatro
La timida ripresa teatrale nella nostra regione va seguita con attenzione. Come assistendo a Humus, uno spettacolo di e con Moira Dellatorre, artista cresciuta soprattutto nell’ambito della narrazione per giovanissimi, un talento confermato nel debutto al Teatro Paravento di Locarno. Nato per la candidatura al patrimonio mondiale dell’UNESCO dei faggeti valmaggesi, Humus (Laura Rullo, scrittura e regia e Oliviero Giovannoni, ritmo) e si ispira alla biodiversità, all’unicità dei boschi e alla bellezza del faggio a cui l’attrice dà forma in un’energica immedesimazione ricca di incontri: dall’affascinante betulla al già-nato-vecchio larice al buffo corteo di petulanti processionarie (un omaggio a Dario Fo). Monologo vivace in un impasto di vernice colorata su un tappeto di trucioli per la domanda: cosa ero prima? Un inno alla natura per grandi e piccini dal meritato successo.