Artisti della sopravvivenza

Da Brecht a Bulgakov alla Bachmann, i grandi scrittori del Novecento secondo Hans Magnus Enzensberger
/ 18.07.2022
di Luigi Forte

Hans Magnus Enzensberger non finisce mai di stupirci. Nel 2018, a quasi novant’anni, questo maestro del paradosso e dell’ironia, figura simbolo della letteratura tedesca contemporanea, ha pubblicato un’affascinante antologia di ritratti di scrittori del Novecento, Artisti della sopravvivenza, che Einaudi ci propone ora nell’ottima traduzione di Isabella Amico di Meane. C’era solo l’imbarazzo della scelta, ma l’autore s’è destreggiato come sempre con grande disinvoltura accostando le figure più diverse, che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare col potere. Sia accondiscendendo o collaborando, sia contrastandolo con la fragile e imperitura forza della parola. Del resto la grande fioritura artistica e letteraria del ventesimo secolo ha conosciuto da vicino terrore di stato ed epurazioni, fascismi e dittature comuniste, e non sempre ha saputo sottrarsi alle più svariate ambivalenze politiche e morali. Basta una frase su Hans Fallada, l’autore del bestseller del 1932, E adesso, pover’uomo, a riassumere la pesante situazione di quegli anni: «Senza compromessi – scrive Enzensberger –, Fallada non si sentiva più al sicuro». Non stupisce. Anche un maestro come Brecht, su un altro versante, espresse la sua solidarietà al partito dopo le proteste operaie del maggio 1953 nella Rdt e solo nei suoi ultimi giorni di vita fece i conti con Stalin «benemerito assassino del popolo». C’erano poi quelli, come Pound e Céline, che rimasero fedeli alla loro predilezione per il fascismo fino alla fine. Anzi, ricorda Ernst Jünger che il francese, conosciuto e frequentato durante l’occupazione di Parigi, pretendeva che i nazisti macellassero gli ebrei «senza risparmiarne nessuno».

Vignette letterarie, definisce Enzensberger i suoi brevi, talvolta caustici e folgoranti flash, richiamandosi a un tipo di ritratto particolarmente in voga nell’Ottocento in cui l’immagine sfumava «verso i margini svanendo gradualmente sullo sfondo». Ombre e luci di esistenze che affollano la scena artistica lasciando nel lettore un turbinio di sensazioni, curiosità incalzanti ed emozioni senza fine. Dietro c’è la mano sapiente di un autore che è poeta e critico, romanziere e giornalista e che si muove con disinvolta eleganza tra Bulgakov e Lawrence, Sartre e D’Annunzio, Brecht, Miller, Moravia e Ionesco e moltissimi altri (99 nell’originale ridotti a 60 nell’edizione italiana), accanto ai premi Nobel Gide e Pasternak, Nelly Sachs e I.B. Singer, Canetti, Paz e Márquez. Sembra una grande fiera letteraria in cui si accavallano dati biografici, brevi e spesso impietosi giudizi critici, folgorazioni ed entusiasmi, ricordi personali e divagazioni civettuole. Enzensberger non perde mai la sua verve e il suo sguardo s’insinua malizioso nelle vite altrui. Ci ricorda una Colette da belle époque, fra storie d’amore scandalose, che si esibisce come ballerina, fa la giornalista e la scrittrice, commuovendo perfino Marcel Proust, per poi essere nominata Grand Officier della Legione d’onore. E che dire del bisessuale Cocteau, un vip oppresso dai molti talenti, di cui a Parigi si diceva che il suo nome fosse il plurale della parola «cocktail»? O di Gertrude Stein, icona dell’avanguardia americana ed europea, dispotica e megalomane, o di Hašek, l’autore del geniale romanzo sul bravo soldato Švejk, assiduo frequentatore di birrerie e taverne praghesi che scriveva articoli su specie animali immaginarie?

Una cosa è certa: anche i grandi autori escono dal cliché della storia letteraria per mostrare la problematica fragilità della vita. Come Alfred Döblin, «piccolo e occhialuto signore ebreo», che bazzicò manicomi per anni, si rifugiò durante il nazismo a Parigi, solo e senza soldi, in seguito a Hollywood, per poi sentirsi, al rientro in Germania sempre più superfluo. Fa specie se si pensa al grande scrittore dell’epocale romanzo Berlin Alexanderplatz, di cui tuttavia molti anni dopo la sua morte nel 1957 il critico Reich-Ranicki scrisse: «Svagato e caparbio ha cercato la sua strada – un autentico folle fra gli scrittori del nostro secolo». Del resto anche Robert Musil che insegue a fatica l’epilogo del suo grande opus L’uomo senza qualità, appare qui su uno sfondo triste e malinconico: si prese la sifilide, soffrì di malattie psicosomatiche, e fuggì a Ginevra con la moglie ebrea dopo l’Anschluss, dove li attendevano solitudine e impoverimento.

Lo scenario di fondo del libro non perde comunque mai di vista i drammatici interrogativi di un’epoca stravolta dalla violenza. Qualcuno, come Cocteau, riuscì a cavarsela benissimo: nella Francia occupata potè continuare a pubblicare e a girare film. Per non parlare di chi col potere fascista flirtò come D’Annunzio, «un clown contro la sua volontà», o chi lo condivise come Céline, o il norvegese Knut Hamsun che nel 1943 a Vienna elogiò Hitler come crociato che «avrebbe messo l’Inghilterra in ginocchio». Andò peggio ad Anna Achmatova, l’inavvicinabile regina della lirica russa – come la chiama Enzensberger che la conobbe al premio Etna-Taormina nel 1964 – che nonostante una poesia scritta per i settant’anni di Stalin definito «uomo saggio / che ha salvato noi tutti dall’orrore e dalla morte» fu esclusa dall’associazione degli scrittori. Destino condiviso da Pasternak, nonostante avesse elogiato a suo tempo Stalin («le sue gesta quanto il globo della terra sono grandi») e ricevuto il Nobel alla fine degli anni Cinquanta, che dovette poi rifiutare per la campagna denigratoria del Politbjuro. Niente al confronto dei panegirici che García Marquez distribuì a Castro verso cui provava un’irrefrenabile attrazione, ossessionato forse dal potere politico e dal senso di solitudine e isolamento che spesso lo accompagna.

Enzensberger non esita nei suoi giudizi nemmeno di fronte a figure di grande rilievo: dice di Canetti che «volava sempre alto» e trova insopportabile il suo libro Auto da fé, così come definisce «pallone gonfiato» Breton che, tornato a Parigi da New York, nel dopoguerra non smette di strombazzare il suo movimento surrealista ormai alle corde. Parla invece con affetto e ammirazione di due donne per lui importanti, come Nelly Sachs, che emanava un’intensità – ricorda – «che sulle prime mi intimidì», e Ingeborg Bachmann, con la quale ci fu una lunga amicizia e un dialogo molto intenso nei caffè di via Veneto durante il comune soggiorno romano. E si esalta di fronte all’umorismo e all’arguzia di Ionesco, che si prendeva gioco del pubblico, in sintonia con Raymond Queneau che giocava con il nonsense nell’ideale ambiente del Collegio di Patafisica.

Questo libro non finisce mai. Dai brevi, incisivi ritratti nascono storie che s’intrecciano all’infinito, curiosità e stimoli che percorrono il mondo, contraddizioni e ambiguità che sono la storia stessa del Novecento. È un percorso letterario che sfocia nella vita ed è il mondo tutt’intorno che si sente vibrare, nella follia e nella violenza come in mille gesti di speranza legati alla parola liberatrice.

Bibliografia

Artisti della sopravvivenza. Sessanta vignette letterarie del Novecento, Hans Magnus Enzensberger, Einaudi, Torino, 2022.