Armando Punzo, Un'idea più grande di me, Bologna, Luca Sossella Editore, 2019


Armando Punzo: un teatro per il riscatto dei sogni

Il regista, drammaturgo e attore Armando Punzo, recentemente ospite del Teatro Sociale di Bellinzona, ha fatto del lavoro con i carcerati la sua personale e valida cifra artistica
/ 13.01.2020
di Giorgio Thoeni

Non c’è regista, attore o drammaturgo o, più in generale, intellettuale o studioso che non sia stato attirato dal carcere come luogo di costrizione, sofferenza, universo di umanità dalle regole fuori contesto. Nessuno ha però vissuto un’esperienza di vicinanza creativa così longeva quanto quella di Armando Punzo (Cercola, 1959), da oltre trent’anni regista, drammaturgo e attore con la Compagnia della Fortezza da lui fondata nel carcere di Volterra nel 1988: un artista che ha saputo interpretare la forza e il valore del teatro attraverso il lavoro con i reclusi. «Chi sta fuori si pensa libero, afferma, perché si misura in relazione al carcere intendendolo solo come mura e cancelli. A me sembra che l’unica libertà vera sia quella da se stessi. Il resto è prigione, dovunque ci si trovi».

La sua vicenda umana e la storia della Compagnia della Fortezza corrono fra le pagine di Un’idea più grande di me (Luca Sossella editore, pp. 399); molto più di una biografia, quasi un romanzo di formazione attraverso il racconto appassionante e appassionato della sua avventura artistica scaturito dalle conversazioni tenute con Rossella Menna, studiosa di teatro e saggista. Un intenso e paziente dialogo iniziato nel 2012 dal quale emergono umanità e sensibilità del regista partenopeo nel riuscire a scrivere pagine teatrali con spettacoli ospitati nei più prestigiosi teatri e festival destinati a imporsi come nuovi orizzonti innovativi, formativi ed etici.

Un risultato riconosciuto dalle sfere più autorevoli del mondo artistico italiano e internazionale come riferimento per la scena contemporanea; una conquista ottenuta dopo anni di gioventù passati a coltivare le passioni e le incertezze di un giovane come tanti della sua generazione. Quegli stessi che dopo l’adolescenza spesso non sanno decidere che strada percorrere cercando rifugio negli studi, attraverso titubanze e irrequietezze in attesa di un colpo di fulmine. Per Armando è stato determinante l’incontro con la dimensione teatrale, dapprima con il teatro di strada (e il Terzo Teatro), poi l’incontro con rigorose sperimentazioni fisiche con il gruppo Avventura: limiti da superare tra fatica e resistenza alla ricerca di una realtà diversa dalla tradizionale nozione teatrale. Una sorta di «iniziazione ai segreti del corpo mitico, un corpo originario dalle infinite potenzialità, libero dai condizionamenti sociali e culturali».

Percorsi dettati anche dalla lezione di maestri come Barba e Grotowski nel lavoro di registi come Thierry Salmon. Esperienze stimolanti da cui partire con una decisione che risulterà fondamentale per la sua vita. Nel 1988 chiede di poter realizzare un laboratorio teatrale di duecento ore con i detenuti del carcere di Volterra, un’austera fortezza medicea del XV secolo che ospita criminali e mafiosi. La richiesta gli venne accordata.

Inizia così a realizzare il suo sogno in una stanza di tre metri per nove. «In quella stanza», racconta Punzo, «con una spalliera da ginnastica, il pavimento di graniglia, le sedie di plastica bianche, umidità e muffa, e un freddo, un freddo terribile, avevo trovato quello che stavo cercando, il posto giusto in cui far reagire il teatro per metterlo alla prova e la mia compagnia, la Compagnia della Fortezza». E dopo momenti di riluttanza e sospetti – «ci sono voluti un paio di anni» – dallo sparuto gruppo dei primi tempi ora il lavoro della compagnia è seguito da un’ottantina di detenuti.

Il libro-memoriale mette in luce una ricerca continua, faticosa e instancabile ma non priva di insidie: un’esperienza necessaria per la conquista della fiducia di tutti, dai reclusi agli agenti di custodia alla direzione dell’istituto penale. Grazie a quel lavoro sono state messe in scena opere, spesso adattate o in parte riscritte con i suoi attori in un confronto costruttivo. Come La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone, Masaniello di Elvio Porta e Armando Pugliese, Marat-Sade da Peter Weiss, Eneide II Studio da Virgilio, I Negri da Jean Genet, Orlando Furioso da Ludovico Ariosto, Macbeth e Dopo la Tempesta da Shakespeare fino ai più recenti Beatitudo e Le Rovine Circolari dello stesso Punzo. In tutto, gli allestimenti sono una trentina come gli anni di attività durante i quali il regista ha ricevuto molti prestigiosi riconoscimenti tra i quali vogliamo almeno ricordare sei Premi UBU, il Sigillo d’Ateneo del-l’Università di Urbino, il Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro, il Premio Nesi, il Premio Carmelo Bene della rivista «Lo Straniero», il Premio Europa Taormina Arte, il Premio speciale Biglietto d’oro Agis.

Punzo è stato recentemente invitato dal Teatro Sociale di Bellinzona per condurre un laboratorio dal titolo Da homo sapiens a homo felix: un viaggio alla ricerca di «un approdo che», come spiega nella presentazione, «non è né in cielo né in terra, né in un dio, né in un altrove esotico, ma tutto in noi, solo in noi, «nella nostra natura, anzi nelle nostre “infinite naturae”».