Con «Azione» al LAC

«Azione» mette in palio alcuni biglietti per il concerto di Bomsori Kim con l’OSI in programma al LAC giovedì 15 dicembre, ore 20.30. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Bomsori», con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono) entro domenica 11 dicembre.


Aria di primavera

Bomsori Kim, violinista coreana sarà al LAC con l’OSIe Robert Trevino per il Concerto del 15 dicembre
/ 05.12.2022
di Enrico Parola

«I miei genitori amano così tanto la musica classica che quando ero piccola mi svegliavano mettendo a tutto volume le sinfonie di Mozart e Beethoven. È ovvio che a cinque anni le odiassi dal più profondo del cuore: avrei voluto dormire di più». Sorride Bomsori Kim, violinista coreana (nella foto) attesa giovedì 15 dicembre al LAC come solista nel Concerto in re maggiore di Beethoven, che Robert Trevino affianca sui leggii dell’Osi alla sinfonia Renana di Schumann, a Melodien di Ligeti e a Three Places in New England di Ives. «È stato il primo concerto che ho suonato con una vera orchestra, davanti al pubblico; accadde alla finale del concorso di Sendai: non ho ricordi nitidi di quei momenti, solo un diffuso nervosismo e al contempo una grande eccitazione; l’orchestra mi accompagnò benissimo, d’altronde è un brano magico».

Dunque l’odio per Mozart e Beethoven non vinse, nella piccola coreana figlia di un’insegnante di pianoforte «e di un padre che aveva l’hobby della chitarra classica» racconta. «Non vinse perché oltre a svegliarmi a suon di sinfonie mi portavano ai concerti, e una volta, avevo ancora cinque anni, ascoltai la leggendaria violinista Kyung-Wha Chung. Fu una folgorazione: mi colpì così profondamente col suo suono diretto e pieno di sentimento che a un certo punto, sopraffatta dall’emozione, urlai. I miei genitori pensarono che fossi impazzita o almeno ammalata, ma la verità è che esattamente in quel momento mi ero innamorata del violino; e uscita da teatro chiesi di comprarmi quello strumento».

Il passaggio da Daegu a Seoul permise a Bomsori di approfondire gli studi, poi perfezionati in America alla gloriosa Juilliard School. «Ci andai dopo aver conseguito il diploma. Mi piaceva la sensazione di indipendenza – per la prima volta vivevo lontano dalla mia famiglia – ma mi trovavo a combattere sia con la lingua sia con le diverse culture che c’erano alla Juilliard: ad esempio seguivo delle lezioni con più insegnanti, e ognuno aveva opinioni diverse su uno stesso brano. All’inizio mi sentivo molto confusa, poi capii che mi veniva chiesto di trovare una mia strada personale». Fu anche un percorso spirituale: «Quell’esperienza, il dover sperimentare qualcosa di mio verificando se funzionasse oppure no, mi rese più orgogliosa e coraggiosa; era una grande responsabilità e una grande occasione di libertà, che giocai innanzitutto iscrivendomi a quasi tutti i maggiori concorsi violinistici del mondo. Ne feci almeno una dozzina tra Europa, America, Canada e Asia: mi eccitava l’idea di salire su palcoscenici nuovi e sempre diversi, davanti a pubblici ogni volta differenti, incontrare nuova gente, nuove giurie, nuove orchestre, nuovi direttori e perché no, trovarmi al fianco di nuovi concorrenti. Mi stimolava dover preparare in breve tempo repertori vasti e ogni volta diversi, perché ripetere sempre la stessa cosa mi blocca».

Se c’è un aspetto della vita da concertista che piace a Bomsori è proprio quello odiato o comunque mal sopportato da tanti colleghi: il continuo viaggiare: «Ad esempio andai per la prima volta in Polonia in occasione del concorso Wieniawski e mi stupii di riscontrare quanto la gente polacca fosse simile a quella coreana; magari perché entrambi i nostri paesi sono stati più volte invasi da potenze straniere, ma notai un romanticismo e una passionalità comuni a entrambi. E lì mi sentii vicinissima alla musica polacca perché ne percepivo quasi fisicamente l’origine sorgiva: le note di Wieniawski, Chopin, Szymanowski, Paderewski, Penderecki, Weinberg… Mi si aprì un mondo incredibile. E la stessa cosa successe in Danimarca, quando con un’orchestra locale suonai per la prima volta il Concerto di Nielsen».

Il nome Bomsori significa «aria di primavera»: «Io sono nata nel pieno freddo dell’inverno, il 13 dicembre; il nome mi fu dato dal nonno, che voleva sottolineare la speranza certa di un ritorno della bella stagione e quindi della vita». Dalle sue radici la trentatreenne violinista ha attinto anche l’interesse per lo yoga: «Lo pratico tutti i giorni, anche o direi soprattutto durante le tournée. Mi aiuta a rilassarmi: suonare il violino è fisicamente stancante, dopo tante ore di studio il corpo ne risente, gli esercizi di allungamento e la meditazione, il controllo del respiro e le tecniche di rilassamento sono fondamentali per recuperare una salute fisica e oserei dire anche una sanità mentale. Dopo la meditazione riesco a concentrarmi molto meglio su ciò che devo interpretare». Il lock-down dei teatri ha messo a dura prova l’equilibrio di Bosmori, «per questo, per controllare meglio l’energia fisica e mentale mi sono data anche al Tai-Chi, un’arte marziale cinese che ricorre alla meditazione e al respiro, aiutando a mandar fuori tutte le paure».

L’armonia con se stessi è fondamentale «perché la musica stessa è armonia e comunicazione. Suonar bene non significa solo non sbagliare le note, ma saper creare una condivisione tra chi suona e allargarla poi anche al pubblico: è una questione spirituale».