Bibliografia

Maurizio Chiaruttini, La diffrazione, sulla poesia di Antonio Rossi, Mimesis, 2022.


Antonio Rossi, scompaginatore di carte

I versi del poeta ticinese spiegati nel saggio dello studioso Maurizio Chiaruttini
/ 03.10.2022
di Daniele Bernardi

Come già suggerito in passato su queste pagine, ad alcuni la poesia del ticinese Antonio Rossi sembrerà territorio impervio o, addirittura, mero esercizio linguistico fine a sé stesso. Ai lettori sensibilmente attenti questa si manifesterà invece con la medesima, concreta evidenza che lo studioso Maurizio Chiaruttini ha saputo mettere in risalto nel suo recente saggio La diffrazione. Sulla poesia di Antonio Rossi (Mimesis, 2022).

Primo libro – fanno eccezione alcune pubblicazioni a carattere universitario, così come testi apparsi in volumi o su periodici di settore – integralmente dedicato a uno degli autori più originali del panorama elvetico contemporaneo, l’indagine di Chiaruttini si prefigge lo scopo di sottrarre «alla dimensione di pura autoreferenzialità cui è stata spesso ricondotta» la centellinata produzione del poeta.

Infatti, dopo la pubblicazione della sua prima raccolta – Ricognizioni, edita da Casagrande nel 1979 con una nota di Giovanni Raboni – Rossi seppe subito tradire le pacificanti aspettative di coloro che intrasentivano nella sua voce, se non un prosieguo, almeno una eco della cosiddetta Linea Lombarda. A partire da Diafonie (Scheiwiller, 1995), silloge che vide luce sedici anni dopo l’esordio (alcuni testi apparvero prima nella pubblicazione Glyphé del 1989) egli scompaginò le carte dimostrando che alla dimensione vagamente narrativa della sua opera prima sottostavano «forze altre», meno rassicuranti, pronte ora a farsi protagoniste.

Le «nuove» poesie di Rossi, introdotte per l’occasione da un saggio di Stefano Agosti, si caratterizzavano innanzitutto per la singolarità del costrutto. Veri e propri marchingegni articolati, frammentati, esse erano in prevalenza costituite da materiali apparentemente slegati gli uni dagli altri, eterogenei, il cui unico collante pareva essere appunto l’intreccio. Valga qui, come esempio, il componimento di apertura del libello: «A esteriori un poco / predaci percorrenze conducono ora più che / carboni sfrigolanti o un tessuto inciso in verticale ma non / gravemente una prima inversione, una fattezza / poi esigua fino al quasi / soffocare e, se caso, l’oscillante / profondo e / una diffrazione, un immobile / fiato e, nel folto, il profilo, lo strato / non più tangibile».

Come ben segnala Chiaruttini, vediamo che in questo inizio le figure sono tutte «a bassa densità connotativa». «Fatta eccezione per i “carboni sfrigolanti” e l’ossimorico “immobile fiato”», le immagini rifuggono la collocazione nel senso condiviso in nome di una poetica che pare rompere col proprio passato. In realtà, Rossi non fa che esasperare peculiarità già in nuce nei suoi testi di stampo più pianamente descrittivo, dove l’amalgama di elementi quali rifiuti, resti e oggetti in abbandono indicava la strada che avrebbe condotto («predaci percorrenze») a una zona in cui il significato comune è minato.

La diffrazione si interroga su questo passaggio, così come sui suoi sviluppi, prendendo in esame le “sole” quattro pubblicazioni dell’autore (come già accennato, Rossi è poeta estremamente parco, il cui paziente operare distilla una media di quaranta brani ogni dieci anni). E nel farlo mette in luce quale caratteristica centrale il collocarsi in una zona di rischio, di abbandono del «cerchio familiare» in direzione di «un universo» la cui «condizione ontologica ed esistenziale» è «il disancoraggio, cioè la mancanza di stabilità e di protezione».

Scopriamo così quanto questa poesia sia segnale non di letterarietà o malinconica avanguardia, ma di costante minaccia all’ordine della totalità che regola il nostro orientamento nel mondo: Rossi, usando una metafora, si colloca nel punto in cui la lastra si rompe per camminare a filo dell’acqua, sul ghiaccio che scivola. Il suo sguardo è fisso sulla spaccatura e ne percorre il bordo, come a ricavarne il rilievo con un colpo d’occhio per poi, successivamente, definirne i colori e la varietà delle forme esposte attraverso un processo di cristallizzazione. Un cammino inquieto, quindi, che per autenticità e capacità d’invenzione fa sì che questo poeta appartato, studioso e traduttore dell’amato Robert Walser, sia fra i più certi della propria generazione.