Francesco Guccini, con buona pace di chi alzerà per posa il sopracciglio, è uno dei più grandi autori italiani di canzoni del nostro tempo, oltre a essere un notevole scrittore (si pensi solo alla trilogia autobiografica comprendente Cròniche epafàniche, Vacca d’un cane e Cittanòva Blues, Feltrinelli i primi due, Mondadori il terzo). I suoi meriti sono davvero numerosi, ma la recente uscita dell’album di cover gucciniane Note di viaggio – Capitolo 2: non vi succederà niente, prodotto e «orchestrato» da Mauro Pagani dopo l’esperienza nel 2019 del Capitolo 1: venite avanti…, sottolinea quanto il cantautore tosco-emiliano sia riuscito come pochi altri a narrare storie attraverso la canzone, con il continuo racconto di sé (o di altri) e una particolare attenzione a quelle «stanze di vita quotidiana» che sono pure il titolo di un suo album.
Certo impressiona la fortuna incontrata dalla musica dell’oggi ottantenne Guccini, a 53 anni dal suo primo album Folk beat n. 1 e a 8 anni dal suo album di addio – il sedicesimo in studio – L’ultima Thule, con un pubblico tanto folto quando variegato per provenienza ed età. Il cantautore però ha anche e soprattutto trovato le parole giuste per rendere le sue storie accoglienti e condivisibili, fino a diventare storie di tutti: da ascoltare, raccontare (cantare) e trasmettere. Lo afferma lui stesso: «ogni canzone è una storia a sé, che racconta di vicende, di situazioni, di emozioni e di personaggi. A volte è bello ascoltare canzoni, e sentirle cantare ancora, come i racconti e le favole della nonna».
I dodici interpreti delle cover di questo secondo capitolo di Note di viaggio – dove il viaggio è proprio quello delle canzoni – entrano così nelle canzoni con delicatezza, ognuno portando la propria sensibilità e personalità, ma senza la foga di volersi a tutti i costi «impossessare» del brano.
Si comincia con Zucchero e con Dio è morto, non priva qui di qualche accenno gospel, a cui segue una delle migliori interpreti italiane viventi, Fiorella Mannoia, che canta Signora Bovary, dall’omonimo e meraviglioso album del 1987, una canzone da cui nessuno può dirsi escluso: «Ma cosa c’è proprio in fondo in fondo / quando bene o male faremo due conti / e i giorni goccioleranno come i rubinetti nel buio / e diremo “un momento, aspetti” / per non essere mai pronti».
Persino commovente il terzo brano, Autunno, «diario preciso del tempo che è andato», interpretato dall’amico e quasi coetaneo Roberto Vecchioni, sapientemente accostato alla giovane Emma Marrone, classe 1984, in un confronto fra generazioni che dà ancora più spessore a un testo già allegorico: «L’autunno ti fa sonnolento / la luce del giorno è un momento / che irrompe e veloce è svanita: / metafora lucida di quello che è la nostra vita».
Un momento che introduce l’intimità senza tempo di Vedi cara, nella versione di Vinicio Capossela, che proprio Guccini lanciò nel 1989 portandolo al Club Tenco. Un monologo quasi ipnotico da cui sembrano emergere tutti i marinai di Capossela, con un suono che contiene sofferenza e distacco, fino al brivido della penultima strofa: «Cerca dentro / per capir quello che sento / per sentir che ciò che cerco / non è il nuovo, libertà». Parole, lo dicevamo, non solo per tutti, ma di tutti, similmente al pezzo successivo, Quello che non…, graffiato dalla voce di Gianna Nannini che non a caso afferma: «io non riesco a fare l’interprete, di solito scrivo le canzoni, invece questa è come sentirsela scritta proprio addosso».
Segue un terzetto di giovani artisti, nati tra il 1983 e il 1992: Jack Savoretti, Levante e Mahmood, che propongono rispettivamente Farewell, Culodritto e Luna fortuna. Se il secondo, dedicato alla figlia Teresa, ritrova in Levante una sorta di nuova destinataria («io mi sono molto immedesimata perché […] vorrei tantissimo leggere le parole di mio padre che mi dice «Guarda, qualsiasi cosa accadrà, sappi che…»»), il terzo nelle mani del talentuoso Mahmood acquisisce delle sonorità più contemporanee, non lontane da certa musica trap.
Stupenda, poi, la versione di Canzone di notte n. 2 realizzata da Petra Magoni, la voce del progetto Musica Nuda, in un crescendo avvolgente che affila ancor più le parole notturne, quando ciascuno è «da solo con se stesso / a dir dove ho mancato, dove è stato / a dir dove ho sbagliato». Un’anticamera alla chiusura dell’album, che transita prima da Ermal Meta e la canzone Acque, del 1993, e poi ancora da Fabio Ilacqua in coppia con lo stesso Mauro Pagani nell’interpretazione della Canzone delle domande consuete, canzone «di un uomo che si è posto mille domande nella vita ed è ancora lì a farsele, senza aver mai trovato le risposte, senza aver risolto nulla».
Sì, perché la chiusura vera e propria è affidata allo stesso cantautore, accompagnato dai suoi storici musicisti nell’inedita Migranti, che ancora una volta – nel dramma di un tema storico e attuale – ci offre un racconto che è anche il nostro: quello che siamo e quello che potremmo essere.