Anche jazz ticinese a Chiasso

Dal 16 al 18 marzo nuova edizione della rassegna: tra i protagonisti Roberto Pianca
/ 06.03.2017
di Alessandro Zanoli

È il centenario del jazz: molte rassegne, festival, pubblicazioni colgono la palla al balzo per celebrare la ricorrenza. Di fatto, quella che si ricorda quest’anno è la prima registrazione ufficiale di un brano musicale jazz, quel Livery Stable Blues che la (bianca) Original Dixieland Jazz Band incise nel 1917 a New York. A Chiasso ci si ispira all’avvenimento con l’allusione contenuta nel titolo del festival (il quale quest’anno, a sua volta, segna il ventennale): «To jazz or not to jazz, there is no question». Ma la cittadina di confine dedicherà al jazz anche un’esposizione tematica, al MAX Museo, di cui riferiremo più avanti. 

Per ora, ricordando il ricco cartellone in programma (vi spiccano David Murray e China Moses il 16 marzo; lo svizzero Bänz Oester e lo spettacolare duo Galliano-Carter il 17; Frank Salis e Roberto Pianca il 18; Tigran Amasyan e Roy Paci il 19) cogliamo volentieri l’occasione per sottolineare come sia nutrita, e soprattutto convincente la lista dei musicisti ticinesi che fanno parte del cast. 

Da un lato l’organista Frank Salis col suo trio pirotecnico, dall’altro il chitarrista Roberto Pianca con un quintetto di altissimo livello, porteranno davanti al pubblico i loro progetti più recenti. Nel caso di Pianca il concerto gli offre l’occasione di presentare un nuovo disco, Sub Rosa, che uscirà in Europa praticamente in contemporanea col festival. Si tratta di un album eccellente, registrato con una formazione di assoluto rilievo: al sassofono l’amico e sodale Dan Kinzelman, al pianoforte il newyorchese Glenn Zaleski (fa parte del gruppo di Ravi Coltrane), al basso Stefano Senni e alla batteria Luís Candeias.

«Alcuni dei pezzi sono stati composti diversi anni fa, nel periodo in cui ero al Conservatorio» ci confida Pianca. «Altri li ho scritti più di recente: sono sempre stato pignolo, perché non mi sentivo mai abbastanza maturo per una cosa come questa. Quando finalmente ho trovato il coraggio di mettere in piedi un repertorio giocato sulle mie composizioni mi sono reso conto che i brani avrebbero potuto subire anche delle modifiche. Quando suoni un pezzo da solo in camera tua non hai il quadro generale di come possa trasformarsi con altri quattro musicisti». 

Alla fine del processo di rielaborazione, ascoltando questo album si scopre in Pianca un pensiero musicale ricco e riflessivo, affine al suo carattere schivo e misurato. E il titolo sembra proprio sottolinerare il suo understatement: «Sub Rosa è una locuzione latina, significa “sotto la rosa”, ma nella lingua inglese la frase viene utilizzata per denotare segretezza, riservatezza. Perché l’ho scelto non te lo so dire: mi piaceva il suono delle due parole insieme. Certo, è un significato che si adatta a quello che sento in rapporto alla musica». 

Diversamente da molti altri chitarristi, nell’album Pianca non si pone nel ruolo del mattatore, non cerca la visibilità del solista, ma pare essersi concentrato nella preparazione di uno spazio espressivo per i suoi partner: «Esatto, a me non piace troppo apparire. Avrei potuto fare un disco anche più centrato sulla chitarra, ovviamente, ma è semplicemente venuto fuori così. Poi molte volte è la musica stessa che determina quali sono gli spazi necessari. Il disco è stato registrato a Mantova negli studi Digitube di Carlo Cantini, violinista di Trilok Gurtu. La casa discografica che lo pubblica è una piccola etichetta gestita da amici musicisti di Zurigo. Ho preferito fare una cosa più vicina a noi».

Pianca contrappone questa scelta alla possibilità che ha avuto nel 2013 e 2015 di registrare due album con la prestigiosa etichetta tedesca ECM. Viene infatti spontaneo chiedergli se quell’esperienza abbia cambiato qualcosa nel suo modo di concepire la musica e la propria carriera: «Dopo aver inciso per ECM non è cambiato assolutamente nulla: l’unica cosa che posso vantare forse è proprio l’esperienza. Aver avuto la possibilità di lavorare con Manfred Eicher, fare un disco con un produttore di quel livello, pubblicare con un’etichetta conosciuta in tutto il mondo è importante, ma non ha cambiato qualcosa in me, a livello artistico».