La più recente fatica del duo statunitense


Amy ed Emily, perfetto equilibrio

Le indimenticate Indigo Girls tornano con un nuovo album live, in cui le atmosfere dei loro brani storici si fondono con ricercate suggestioni orchestrali
/ 30.07.2018
di Benedicta Froelich

Fin dai tempi del glorioso «folk revival» dei primi anni 60, che fece della musica cosiddetta roots («delle radici») un sottogenere alquanto popolare all’interno della scena internazionale e dei palinsesti radiofonici, l’ambito del folk-rock statunitense è sempre stato popolato da miriadi di vere e proprie, misconosciute gemme – ovvero, artisti d’indubbio valore e reputazione, i quali, però, hanno finito per rimanere perlopiù sconosciuti al di fuori dei confini statunitensi.

Un po’ come accaduto alle Indigo Girls, interessante duo femminile composto dalle georgiane Emily Saliers e Amy Ray – le quali, oltre a calcare le scene da oltre un trentennio, restano tra le poche artiste ad aver sempre orgogliosamente difeso i diritti delle donne lesbiche, divenendo, nel corso degli anni, vere e proprie icone del movimento LGBT. Il che, purtroppo, non basta a celare il fatto che, al pari di molte altre band della loro generazione, negli ultimi anni le collaudatissime Indigo Girls abbiano finito per smarrire in parte la via, rivelandosi incapaci di mantenere un livello artistico paragonabile a quello di album memorabili come Nomads Indians Saints (1990) e Rites of Passage (1992).

Inevitabili débâcle a parte, fin dagli esordi (avvenuti nel 1987 con l’eccellente Strange Fire), la particolare forma di folk-rock prediletta da Amy ed Emily è sempre stata contraddistinta da una cifra stilistica molto personale, definibile come a cavallo tra uno spirito dichiaratamente «da palcoscenico» (con la stessa potenza live, per intenderci, del Neil Young più arrabbiato) e suggestioni di gusto fortemente cantautorale; il tutto potendo, in più, contare sull’inconfondibile caratteristica rappresentata dalle complesse e suggestive armonie vocali intessute dal duo, che vedono il timbro di voce decisamente denso e mascolino della Ray fondersi in modo inaspettatamente magistrale con quello ben più sottile e acuto di Emily – una caratteristica che ha contribuito non poco all’eccellenza live delle «ragazze indaco».

Così, tutti coloro che, al pari della sottoscritta, hanno trascorso gli anni del liceo consumando (letteralmente) i nastri dello splendido doppio album dal vivo 1200 Curfews (1995), si sono scoperti ad accogliere con particolare entusiasmo la notizia che, a distanza di tanti anni, Amy ed Emily sarebbero tornate infine a regalare ai propri fan una nuova registrazione dal palco, intitolata semplicemente Live With the University of Colorado Symphony Orchestra: una fotografia della serie di concerti intrapresa già a partire dal 2012 dalle due artiste, tuttora impegnate a «rinfrescare» il proprio repertorio tramite la collaborazione delle orchestre sinfoniche appartenenti ai diversi stati americani visitati.

Nel caso di quest’album, la serata immortalata (anche stavolta su doppio CD) è quella svoltasi a Boulder, appunto in Colorado, nel 2017; e il tentativo di contaminazione stilistica proposto offre così un’esperienza di ascolto allo stesso tempo «diversa» e, tuttavia, rispettosa del materiale originale, dal momento che i brani non sono stati riarrangiati per l’occasione, quanto piuttosto arricchiti tramite l’integrazione del background orchestrale nella propria struttura melodica.

E nonostante la miscela non risulti sempre del tutto riuscita (come nel caso del solenne Fugitive, che il trattamento sinfonico finisce per rendere anacronisticamente pomposo), è innegabile che classici intramontabili quali Galileo o il travolgente Chickenman assumano un carattere ancor più epico grazie al sontuoso tappeto sonoro offerto dall’orchestra; lo sottolinea, del resto, anche l’entusiasmo del pubblico, che si produce in cori estemporanei su tutti i pezzi più noti, andando a impreziosire ed enfatizzare ulteriormente l’effetto finale (come accade con l’iconico Closer to Fine). Così, resta difficile trattenere un brivido lungo la schiena davanti a brani struggenti quali Virginia Woolf e Kid Fears – o alla potenza della storica ballata romantica Ghost, immalinconita soltanto dal fatto che la voce di Emily si presenta oggi piuttosto indebolita (almeno se confrontata con quella di Amy, pressoché invariata rispetto al passato).

In più, in termini di selezione musicale, la tracklist costituisce uno sforzo ben bilanciato, in quanto combina i grandi capisaldi del periodo d’oro delle Girls (dal brano di apertura, l’indimenticato Woodsong, fino a hit del calibro di Mystery e Power of Two), a pezzi che, essendo tratti da dischi più recenti, appaiono, per quanto interessanti, come meno iconici (si vedano i vigorosi Yoke e Compromise e i più romantici Damo e Love of Our Lives). Il che sottolinea come l’esperimento sinfonico possa, infine, definirsi riuscito: sebbene i fasti del passato siano difficilmente riproducibili, con questo live Amy ed Emily hanno dimostrato di potersi definire, a buon diritto e nonostante la minaccia degli anni, come «ancora sulla breccia» – e, soprattutto, tuttora intenzionate a donare ai fan lo stesso talento ed entusiasmo di un tempo.