Amore e guerra

Attuale e intenso lo spettacolo di Carmelo Rifici e Livia Rossi al LAC
/ 14.03.2022
di Giorgio Thoeni

La guerra non è che un duello su vasta scala. Le storiche parole di von Clausewitz, estrapolate fra i concetti del militare e teorico prussiano, sono il tema-guida che risuona sul palco del LAC mentre accoglie il pubblico venuto per Le relazioni pericolose dal celebre romanzo epistolare tardo settecentesco di Pierre Choderlos de Laclos, spettacolo messo in scena da Carmelo Rifici con una drammaturgia ambiziosa, complessa, fascinosa, perversa che sembra scritta sotto il cupo fragore delle bombe, tragica eco di una sconvolgente attualità. Un allestimento frutto di una bulimia di fonti coinvolte a sublimare l’immagine della conquista amorosa come strategia per un annientamento consapevole, quasi un femminicidio premeditato e crudele, specchio di una società decadente al suo tramonto nel processo della sua autodistruzione. Una battaglia in cui l’alibi dell’amore conteso è un’ombra che si allunga sulle relazioni con il risultato di una disfatta su tutto il fronte.

Quello di Rifici, coadiuvato nella drammaturgia dalla giovane e talentuosa Livia Rossi, è un progetto che prende le mosse dalle pagine di Laclos per trascenderle riconducendole a una rilettura morbosa, inquietante, crepuscolare. La sfida libertina della Marchesa di Merteuil, cinica e glaciale burattinaia, si trasforma in un gioco crudele animato dal Visconte di Valmont, impenitente rubacuori, ai danni della casta Madame de Tourvel, dell’ingenua Cécile de Volanges e, come per una sadica rivincita sentimentale, nei confronti del giovane Gercourt, già amante della Marchesa. Un piano bellico senza esclusione di colpi e parole destinate a una guerriglia psicologica, riflessioni sul teatro, sulla peste, sulla guerra. Farciture colte dai dettati di Artaud, Nietzsche, Pasolini, Zweig, persino Cechov e Manzoni. Ma non sono tutti. Per Rifici-Laclos nessuno si salva e il libertino Valmont da seduttore diventa vittima tra le spire di un testo che avvolge, ipnotizza, annebbia, trascina lo spettatore in un flusso di voci fra strumenti ormai dimenticati: microfoni, retroproiettori, giradischi, registratori, suoni e musiche dove la partita amorosa è guerra e un duello al fioretto la sua metafora. Per difendersi dal vizio bisogna saperlo rappresentare, affermava Baudelaire: lo spettacolo ce lo restituisce nel suo desolante universo in 140 intensi minuti.