Vale la pena di andare al LAC per ascoltare «un’opera completamente fallita», come disse lo stesso autore, definendola «quello tra i miei pezzi che brucerei più volentieri; non dovrà mai essere pubblicato»? Tanto più che il programma la accosta a un altro brano che a fino all’800 fu rifiutato dalla Tonkünstlerverein, una società di concerti viennese, e a una terza pagina di un musicista più noto come direttore e didatta che come compositore?
Vale la pena eccome, e non solo per ascoltare Robert Trevino, messicano cresciuto nella texana Fort Worth e salito prepotentemente alla ribalta internazionale nel 2013, quando sostituì in extremis Sinaisky al Bolshoj di Mosca per un Don Carlo di Verdi accolto trionfalmente. Giovedì prossimo Trevino guiderà l’Orchestra della Svizzera Italiana in un trittico che dal 1830, anno in cui Mendelssohn scrisse la sinfonia Riforma, si spinge fino al 1917, quando Schönberg trascriveva per orchestra Verklärte Nacht, passando per la Kammersymphonie che un anno prima firmava Franz Shreker.
Tre autori di origini ebree ma musicalmente assai diversi. Il ventenne Mendelssohn considerava fallita e degna del rogo la sua seconda sinfonia (fu infatti pubblicata postuma e catalogata come quinta, dopo la Scozzese e l’Italiana) detta Riforma perché doveva celebrare il terzo centenario della Confessione protestante di Augusta (giugno 1830). Mendelssohn vi si dedicò con slancio ed entusiasmo, ma l’Orchestra del Conservatorio di Parigi, che avrebbe dovuto tenerla a battesimo, si rifiutò d’eseguirla, non è chiaro se per motivi religiosi o per i dubbi sulla validità artistica dell’opera.
In realtà la sinfonia ha molti momenti di rapinosa bellezza: l’introduzione ieratica, di grande profondità spirituale dove riecheggiano il Magnificat tertii toni e il celebre Amen di Dresda, usato da Wagner come tema del Graal nel Parsifal. Una donna che, passeggiando in una gelida notte stellata, confessa a un uomo di portare in grembo suo figlio: è la «notte trasfigurata» del poeta simbolista Dehmel che Schönberg trasfigurò spiazzando ascoltatori e critici: i grandi modelli dell’epoca venivano assunti, Brahms adottandone lo sviluppo attraverso la variazione e Wagner per i leitmotiv associati a personaggi e situazioni, ma ricorreva a un cromatismo così spinto da prefigurare l’atonalità con cui Berg e Webern avrebbero rivoluzionato tre secoli di storia musicale.