Un sapiente gioco a rimpiattino fatto per immagini da due fotografi e uno scrittore, sulle tracce di un marinaio famoso e imprendibile, e del suo fantasioso e inimitabile biografo, questo e molto di più, è Il gioco delle perle di Venezia, il libro, edito da Rizzoli Lizard, firmato da Gianni Berengo Gardin, Marco D’Anna e Marco Steiner che si perdono nelle calle e nei campielli veneziani alla ricerca di Corto Maltese e dei luoghi amati, sognati e disegnati da Hugo Pratt.
Nel libro le tavole del grande «fumettaro» si alternano con le fotografie, sfaccettature diverse di uno stesso discorso fatto di suggestioni, di ricordi e di atmosfere così come emergono anche dal testo dello scrittore Marco Steiner, amico di Pratt e cultore di Corto Maltese, che in Favola di Venezia (pubblicato per la prima volta quarant’anni fa), arriva in città, a caccia di un tesoro. Sin dalla copertina prende vita una Venezia incantata, una città liquida, dove la pietra sembra plasmata dall’acqua dei canali; cangiante sotto l’influsso delle maree, piena di colori e di riflessi come negli acquerelli di Hugo Pratt che in questo libro sono l’evocazione poetica di scenari reali, di quella Venezia magica, avventurosa, piena di segreti dove si aggira ancora Corto Maltese e dove Gianni Berengo Gardin, uno dei più famosi fotografi italiani, torna spesso, per aggiungere altri scatti al suo discorso veneziano, iniziato tanto tempo fa e mai finito.
Una gondola in lontananza scivola rapida sulla laguna tra cielo e mare, parallela al filo dell’orizzonte, mentre l’acqua si tinge dei colori del tramonto ed è come se gli evanescenti paesaggi acquerellati di Pratt si specchiassero, prendessero vita nelle fotografie in bianco e nero di Berengo Gardin. Fili invisibili legano questi due talentuosi giramondo: una casa al Lido di Venezia; la sete di avventura; un modo speciale di guardare la vita e un filo di perle Veneziane. «Il negozio delle perle di Venezia lo creò mio nonno Giovanni – ci ha raccontato Gianni Berengo Gardin – ed era un luogo delle meraviglie dove lavorarono mio padre, le mie zie, ed anche io, che non avevo voglia di studiare, ma solo di diventare fotografo. Così dopo due anni che svogliatamente languivo in negozio, mio padre capì che non avrei mai saputo apprezzare la bellezza delle perle come lui, che ne amava la forma, l’originalità, la sapienza della fattura. E mi lasciò andare a Parigi a studiare fotografia».
Ma quel negozio a Venezia in Calle Larga San Marco, agli inizi del ’900, era tanto conosciuto da comparire in un libro molto amato da Pratt: Il desiderio e la ricerca del tutto, dove viene citato come il luogo, di proprietà di un certo Berengo Gardin, «in cui si vendono le migliori perle di Venezia». Lo scrisse Frederick Rolfe, detto Baron Corvo, stravagante scrittore e poeta inglese che morì nel 1913 a Venezia, sua città di elezione, teatro per anni dei suoi eccessi.
Le perle sono di vetro, non vengono dai fondali marini, ma dalla notte dei tempi, infatti sono preziosamente antiche, e sin dal ’300 si producevano a Venezia, non a Burano, e si esportavano in tutto il mondo. Per la Serenissima erano un vanto e un’importante merce di scambio verso l’Africa, l’America e l’India e in molti Paesi erano tanto ambite, da valere quasi quanto l’oro. Tonde, ovali, a bastoncino, traslucide, o semitrasparenti con un’anima d’oro, o d’argento; rosso brillanti con piccolissimi fiori colorati; o gialle, decorate con minuscole forme geometriche; imparentate con le murrine e con l’arte africana, sono un misterioso gioiello di fantasia, degno di Corto Maltese che in Favola di Venezia, gira la città alla ricerca della Clavicola di Salomone, «uno smeraldo favoloso» che, tra scritte arabo-runiche e sigilli infranti, alla fine gli sfugge, o, come scrive in una lettera Baron Corvo-Pratt: «forse è una beffa, o forse è ancora nascosto, a Venezia», ma è parte di quella continua ricerca, di quella sfida, che è in tutte le sue storie, che costituiscono un gioco meraviglioso per tutti.
«Se c’è una cosa che ho imparato da Hugo Pratt» – ci ha raccontato Marco Steiner – «è proprio la curiosità e il gusto di seguire una pista». Ed è così che sono nate le tante spedizioni di Marco Steiner e Marco D’Anna, uno scrittore e un fotografo ticinese che, per dieci anni, hanno cercato lì, dove tutto era cominciato: nel passato di Hugo Pratt, nei Paesi dove è vissuto, nei luoghi che ha visitato, tra le storie e le amicizie che gli appartenevano e che si celano dietro alle avventure disegnate dei suoi protagonisti. Dai loro reportage dall’altro capo del mondo, in Africa e in Argentina, in Europa, in Asia, ai Caraibi, sempre inseguendo Pratt e Corto, sono nati racconti, fumetti e mostre fotografiche come Etiopia – La traccia dello scorpione, e in questi ultimi anni, Il Corvo di Pietra e Oltremare, due libri che raccontan o la giovinezza di Corto Maltese, scritti da Marco Steiner, partendo a ritroso dal Corto di Pratt.
Era quindi solo questione di tempo, che Steiner e D’Anna approdassero a Venezia e coinvolgessero nella loro ricerca un altro noto avventuroso: l’ottantasettenne fotografo Gianni Berengo Gardin, e la sua visione onirica, sorniona e consapevole di Venezia. Così oltre alle sue immagini della città, scatti a volte storici e senza tempo, altre volte attuali, ma che sembrano «finti» come quelli delle Grandi Navi che «rubano» il paesaggio veneziano, c’è anche lui, ripreso dall’obiettivo di Marco D’Anna.
Il Gioco delle perle di Venezia è un libro sapiente e curioso, che ci ricorda la Venezia che tutti noi conosciamo, ma anche quella che possiamo solo intuire e immaginare dietro alle gelosie, alle graziose bifore chiuse, e che non vedremo mai. Una moltitudine di storie che le tavole tratte dalla Favola di Venezia di Pratt e le tante fotografie, ci suggeriscono, e dove emerge prepotentemente quella qualità «cinematografica» di Venezia che ce la rende al tempo stesso familiare, eppure lontana e misteriosa.