Alberto Sordi, l’attore che reinventò gli italiani

Cento anni or sono nasceva Alberto Sordi, l’Albertone che ha fatto morire dal ridere il suo pubblico, e che purtroppo non ha potuto essere omaggiato a dovere
/ 28.12.2020
di Blanche Greco

Il suo primo costume di scena, si fa per dire, fu quello del chierichetto e, indossata la cotta bianca, immaginava che i fedeli in preghiera fossero il suo pubblico, e come lo stesso Alberto Sordi raccontò in un’intervista: «Quella fantasia mi elettrizzava e io, che ero nato esibizionista, agitavo l’incensiere, strapazzavo il campanello, facevo piroette, recitavo le giaculatorie e mi rispondevo in latino maccheronico, cantavo a voce altissima finché, tra i risolini di quella “platea”, il prete mi arrivava alle spalle e volavano scappellotti. Avevo sei anni, ma nella chiesa di Santa Maria in Trastevere e nel quartiere, tutti sapevano che volevo fare l’attore».

Alberto Sordi era nato il quindici giugno 1920, e se quest’anno non ci fosse stato il Covid a rovinare tutto, Roma si sarebbe preparata a festeggiare il suo cittadino illustre, quasi un santo patrono per i romani ai quali Alberto ha lasciato tutto. In venticinquemila si erano già prenotati per visitare le Mostre a lui dedicate, soprattutto quella nella bella villa con affaccio sulle Terme di Caracalla che era stata il suo rifugio e che, tutta restaurata, doveva mostrare il Sordi privato tra foto, opere d’arte e cimeli dei suoi film. «Albè», come lo apostrofavano da ragazzino nei vicoli di Trastevere dove giocava e una volta quasi morì investito da un’auto; «Albertone», come lo chiamavano i giornalisti per quella dimensione esagerata che avevano i suoi personaggi dall’ego simile a un pozzo colmo di doti, difetti e desideri; Alberto Sordi, attore, sceneggiatore, regista, ha rappresentato la vitalità, la voglia di protagonismo degli anni 50, 60, 70, una smania che travalicava Roma e la romanità per abbracciare il sogno di ogni italiano che, finita la guerra, ambiva a entrare spedito negli anni del boom economico.

Sordi cominciò a «passo di danza» nelle compagnie di avanspettacolo, come quella «Riccioli-Primavera» dove entrò diciassettenne dal fisico robusto e i modi compassati da «ragazzone di buona famiglia» inculcatigli dalla mamma maestra e dal padre professore d’orchestra. Nanda Primavera, attrice e soubrette intuì le sue doti e lo volle come «Stilé» ossia ballerino con «il frac, la giacca bianca e il bolero di lamé» e come Alberto ricordava: «Io non li avevo, ma prima che ci ripensasse, corsi a noleggiarli». Anni dopo lui volle Nanda Primavera nel ruolo di sua madre in diversi film, a cominciare da Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste.

Ma fu Vittorio De Sica che lo ascoltava tutti i giovedì alla radio che, conquistato dalla voce duttile e pastosa di Sordi, lo fece entrare da protagonista nel cinema con Mamma Mia, che impressione! film ispirato ai racconti ironici e dissacranti dei suoi famosi personaggi radiofonici: Mario Pio, I Compagnucci della parrocchietta, il Conte Claro.

Quel film fu un fiasco, come anche quello dopo: Lo sceicco bianco di Federico Fellini, ma Sordi, che si divideva tra il mestiere di doppiatore (era la voce di Oliver Hardy, Robert Mitchum, Anthony Quinn), di cantante lirico, di attore teatrale e comparsa cinematografica, sentiva che sarebbe diventato un «divo» del cinema, così con quel «suo faccione un po’ lunare, con i suoi occhi tondi, sbiaditi» – come lo raccontava Fellini – si rimise in fila per il cast dei Vitelloni e Federico, il suo amico degli anni difficili e dei «sobri» pasti in latteria, alla fine lo prese, malgrado l’ostilità di tutto l’ambiente cinematografico, e gli cucì addosso il personaggio di «Alberto» dalla storica battuta: «Lavoratoriiii...» lanciata con un gestaccio e una pernacchia che anche alla Mostra del Cinema di Venezia, dove il film fu premiato, fece venire giù il cinema dal gran ridere.

E così, quella sua comicità che secondo Fellini «pochissimi capivano perché aveva qualcosa di folle, non era ironica, né sentimentale, ma grottesca con un fondo di sgradevolezza che non piaceva», alla fine fece breccia nell’immaginario popolare e non solo, e arrivarono altri film di successo e, grazie anche a registi famosi come Zampa, Risi, Monicelli, Scola, Loy, Comencini, il suo faccione diventò la «maschera» degli italiani che guardandolo riuscivano a ridere delle loro passioni inconfessabili, delle viltà, delle riuscite e delle sconfitte.

Ma com’era il Sordi privato? «Uno spasso» ricorda Emi De Sica, sempre pronto a ideare scherzi con Vittorio, suo grande amico e complice. «Un uomo corteggiato dalle donne» diceva Sordi di sé sornione, alludendo alle ballerine dei suoi primi spettacoli, al fatto di non avere moglie bensì due sorelle-ancelle: Aurelia e Savina con le quali visse dal 1958 nella magnifica villa delle Terme di Caracalla che aveva «soffiato» a Vittorio De Sica mettendo a repentaglio la loro amicizia. Era il suo sogno da «divo» che si avverava, con tanto di piscina, cinema, camerino e persino un cavallo meccanico sul quale sfidava gli ospiti delle sue ambite serate dove c’era tutto il cinema italiano.

«Un vero stakanovista» dicevano di lui a Cinecittà: aveva girato quasi duecento film in sessant’anni di carriera, era riuscito persino a interpretarne undici in tre mesi. Quando non girava, studiava per il «suo pubblico» nuove storie e personaggi. Così non si stupì nessuno che l’epitaffio sulla sua tomba al cimitero monumentale del Verano fosse «Signor Marchese è l’ora!», una battuta de Il Marchese del Grillo.