Al seguito dei Romanov

La testimonianza privilegiata di Pierre Gilliard, ammesso alla corte (e nella famiglia) di Nicola II, ultimo degli Zar
/ 24.02.2020
di Benedicta Froelich

In un’epoca e società sempre più globalizzate (eppure intimamente divise) quali le nostre, appare a tratti difficile rammentare come, poco più di cent’anni fa, la mappatura dei centri di potere geopolitici vedesse il mondo ancora suddiviso in pochi, potentissimi centri nevralgici in grado di decidere le sorti d’interi emisferi. Erano gli ultimi colpi di coda dell’epoca dei grandi Imperi, i quali, in seguito spazzati via dalla Prima guerra mondiale, avrebbero lasciato il posto alle nascenti «nazioni-stato» destinate a divenire simbolo stesso del novecento; eppure, per secoli, le corti di questi «regnanti per diritto divino» avevano rappresentato universi completamente a sé stanti, animati da rituali rarefatti ed esclusivi e perlopiù disgiunti dall’aspra realtà quotidiana vissuta dal popolo.

Non vi è dubbio che un simile microcosmo da fiaba fu rappresentato, fino al 1917, dalla corte dello sfortunato Zar Nicola II di Russia: un luogo in cui valevano ritmi e regole particolari, e in cui i cinque figli dell’Imperatore e della sua amatissima Alix (le quattro granduchesse e l’unico erede maschio al trono, lo Zarevich Alexei, affetto da emofilia e costretto a una vita terribilmente protetta), venivano educati a prepararsi nel migliore dei modi alle sfide del potere. In effetti, diversamente da quanto accade oggi, quello di tutore privato era all’epoca considerato un ruolo di grande rilievo, per arrivare a ricoprire il quale occorreva dar prova non soltanto di cultura enciclopedica e animo assai cosmopolita, ma anche di fedeltà assoluta al regnante. E per quanto singolare ciò possa apparire, per i Romanov il più significativo di questi dotatissimi precettori fu proprio un cittadino svizzero, di nome Pierre Gilliard – il quale, dal lontano villaggio di Fiez (Canton Vaud), sarebbe giunto inaspettatamente a condividere lo strano, tragico destino della famiglia imperiale.

Giunto per la prima volta in Russia nel 1904 come insegnante di francese al servizio del Duca Georges di Leuchtenberg (cugino di Nicola II), l’anno seguente l’appena 25enne Pierre accettò la proposta di svolgere il medesimo incarico presso le Granduchesse Olga e Tatiana, figlie maggiori dello Zar – e, in seguito, anche per Maria, Anastasia e Alexei. Negli anni, Gilliard avrebbe così assistito dall’interno a tutte le vicissitudini personali della famiglia Romanov, nonché ai terribili sconvolgimenti politici che, giorno dopo giorno, ne invadevano in modo sempre più pervasivo la protetta vita domestica, finendo per esercitare violente pressioni anche sui giovani eredi; e sebbene, con la sola eccezione della primogenita Olga, i pupilli Romanov mostrassero scarsa attitudine allo studio delle lingue, nel corso del tempo Gilliard avrebbe imparato ad apprezzare la grande sensibilità e cortesia di cui le Granduchesse erano dotate, e la viva intelligenza e profonda bontà del sofferente Alexei – il che lo avrebbe presto condotto a sviluppare un rischioso quanto inevitabile coinvolgimento emotivo nei confronti dei suoi protetti.

Del resto, Nicola e Alessandra necessitavano di tutti gli alleati devoti su cui potessero contare, e Pierre ne era senz’altro un fulgido esempio: le preoccupazioni famigliari dello Zar avrebbero infatti avuto ripercussioni sempre più gravi sul regno – l’ansia costante per la sorte di Alexei, soggetto a frequenti emorragie che ne mettevano a rischio la vita, aveva fatto sì che la gestione dell’Impero passasse in secondo piano davanti all’incertezza che ne avvolgeva il futuro (forse contribuendo anche alla disgraziata decisione di entrare in guerra al fianco della Serbia, nel 1914); e purtroppo, il fatto che l’unico sollievo, per lo Zarevich, fosse rappresentato dalle doti taumaturgiche dell’onnipresente ma controverso «monaco folle» Rasputin avrebbe ulteriormente complicato le cose, contribuendo alla crescente impopolarità della coppia imperiale e alla successiva caduta della dinastia Romanov nell’arco dell’improvvisa quanto devastante Rivoluzione Russa del 1917.

Eppure, alla luce di tali catastrofi e drammi, a spiazzare è soprattutto l’incrollabile fedeltà di Gilliard: il tutore svizzero sarebbe infatti rimasto al fianco dei suoi pupilli fino all’ultimo, quando, dopo l’esilio trascorso insieme a Tobolsk, in Siberia, venne separato a forza da tutti loro in occasione del famigerato trasferimento a Ekaterinburg – dove, soltanto due mesi dopo, nel luglio del ’18, l’intera famiglia sarebbe stata fucilata per mano dei bolscevichi. Ma di quegli anni trascorsi alla corte dello Zar, Pierre avrebbe serbato ricordi ben più importanti e duraturi delle controverse trame politiche contro le quali Nicola II era costretto a lottare: l’affetto per i suoi cinque allievi, e il grande rispetto per la profonda umanità dei loro genitori – per la sofferenza trattenuta e piena di dignità dell’imperatrice, e l’eroico stoicismo di Nicola – l’avrebbero, in effetti, accompagnato per tutta la vita.

Seppur scampato alla tragedia che era costata la vita a coloro ai quali si era tanto legato, Gilliard fu trattenuto dalle autorità in Siberia per ben tre anni, e poté fare ritorno in Europa soltanto nel settembre del 1920, quando gli sconvolgimenti portati dalla Grande Guerra iniziavano lentamente ad attenuarsi; appena un anno dopo, pubblicò un toccante memoriale incentrato sui propri anni a corte, nel quale narrava del rapporto privilegiato intrattenuto con i suoi giovani allievi e del «lungo addio» dei Romanov al mondo (e al loro tutore). Il tutto sempre conservando nel proprio cuore, come pegno del dramma vissuto, «l’impressione di ammirevole serenità e ardente fede che mi avevano lasciato coloro che ne erano state le vittime».

Perché, in fondo, come egli stesso dichiarò, non erano stati il potere, rango o fascino della maestà imperiale ad aver davvero legato Pierre alla famiglia di Nicola II, bensì un tipo di grandezza ben più alto e raro a trovarsi: «la nobiltà dei loro sentimenti, e l’elevato spessore morale di cui diedero prova nella sofferenza».