Agnelli sacrificali

Lamb, il cinema nordico che diventa gotico
/ 25.04.2022
di Simona Sala

È un paesaggio per certi versi quasi lunare, con crateri brulli, il cielo grigio e basso e una natura arida, quello che ci restituisce Valdimar Jóhannsson, al suo debutto alla regia. Un’Islanda i cui abitanti sembrano costretti a strappare ogni forma di sussistenza alle insidie della natura, a costo di sacrifici e rinunce. È così anche per i protagonisti di Lamb, Maria e Ingvar, una casa, una stalla, un cane e un gatto, dediti all’allevamento di ovini, innamorati e complici, nonostante il lutto che li ha colpiti. La loro vita – il lavoro nei campi sotto il cielo plumbeo, i silenzi che riempiono ogni cosa, i parti delle pecore – un tributo alla quotidianità.

Poi però, in modo strisciante, quasi subdolo, l’atmosfera rudemente naturalistica si fa gotica e, grazie alla magistrale fotografia di Ali Arenson, i non detti di una coppia diventano immensi come le montagne che la circondano, così come gli sguardi degli ovini, da apallici e vitrei, si fanno forieri di misteriosi messaggi. Ma se natura e animali sembrano percepire la presenza di un elemento soprannaturale, e lo temono, Ingvar e Maria continuano nella propria imperterrita quotidianità. E quando invece di un agnellino, nasce un’agnella-bambina, decidono di addomesticarla, accogliendola in casa e adottandola. L’innocente essere ibrido diventa Ada, e all’idillio di una famiglia che in casa costruisce il proprio nido, si contrappone una sfuggente forza malefica esterna.

A questo punto, qualsiasi scivolone da parte della regia avrebbe trasformato Lamb in uno dei numerosi horror di cui il mercato è saturo, ma Valdimar Jóhannsson, classe 1978, tiene saldo l’equilibrio tra i due binari, quello di un certo cinema nordico, crudo ed essenziale, ma curato nei minimi dettagli (un po’ come in Rams, del 2015, premiato a Cannes) e quello di un cinema che presta il fianco a qualche effetto speciale e al soprannaturale, condendolo con il folklore dell’isola nordica. Ne esce un film prezioso fatto di sguardi (quelli indecifrabili dell’ibrido-agnellina, quelli di una straordinaria Noomi Rapace) e di sentimenti intensi che esplodono riecheggiando nel paesaggio ostile.

Lamb, presentato a Cannes nel 2021, sezione Un certain regard (Premio all’originalità), mette in campo tutta una serie di archetipi del cinema nordico, costringendo lo spettatore a interrogarsi su temi attuali come quello del rapporto dell’uomo con la natura, o ancora, dell’uomo con il proprio egoismo, che dietro la facciata di un (presunto) amore, riesce all’apparenza a superare la natura stessa, con il rischio di conseguenze inimmaginabili.