Pierre Casè era un uomo affascinante. Gli occhi vividi, vivaci, sottili, il naso importante e soprattutto quella barba fluente che gli incorniciava il volto. Una persona autorevole, a volte autoritaria. Decisa ma calma, ferma ma non intransigente. Un uomo di valle o di montagna. Posato, amava farsi ascoltare con voce pacata, ma ascoltava anche, qualità rara soprattutto fra i colleghi. Determinato. È stato uno dei primi firmatari del manifesto degli Artisti per la pace lanciato alla fine del 2002 contro la guerra in Iraq. Insomma una persona risoluta, mica come tanti altri che non vollero firmare per paura di eventuali ripercussioni con i committenti. I soliti neneisti che non prendono mai posizione per non scontentare nessuno. Ancor oggi prolificano, anche fra esimi docenti: equidistanti fra i molinari e il Municipio di Lugano, fra gli Ucraini e i Russi.
La sua qualità maggiore era comunque l’eticità. Pochi forse si sono accorti della sua scelta espositiva. Dal 1980 al 1987 è stato presidente della Società pittori scultori svizzeri sezione Ticino, dal 1987 al 1993 della Sezione centrale e dal 1989 direttore artistico della Pinacoteca comunale Casa Rusca di Locarno fino al 2000. Nel periodo della presidenza ticinese non ha effettuato nessuna mostra nel Cantone; pochissime quelle nel periodo della presidenza svizzera, poi quasi nulla. Fino al 2000. La sua posizione non doveva interferire sul giudizio critico né tanto meno il suo potere sulle opportunità che gli venivano offerte. Una scelta coraggiosa: in genere gli artisti approfittano sempre del loro eventuale ruolo.
Ma ovviamente essendo una persona legata strettamente al territorio qualche difetto doveva pur averlo. Non risulta, per esempio, abbia fatto nulla nella sua veste di presidente per contrastare una pratica a dir poco scandalosa: la commissione artistica per l’accettazione dei nuovi soci recandosi nello studio del candidato gli chiedeva prima di tutto da chi era «raccomandato». Ma forse in una società familistica (e un po’ «mafiosetta») come quella ticinese (figlio di…, parente di…, amico di…) sembrava normale.
D’altronde Casè era proprio Ticinese, anche nella pittura. Il suo era un matericismo legato all’Informale ma con profonde connessioni al territorio. I dipinti dei suoi muri sono pieni di sabbia e pigmenti ma, e non è secondario, anche asfalto. In un mio scritto del 1999 su «Area» sostenevo che «se il bitumen di Plinio può servire a conservare i corpi dei defunti, i colori austeri, come in questo caso contrapposti ai floridi di altra espressione, magnificano la naturalità del dramma della vita e dei suoi manufatti». In fondo era Piero Bianconi che parlava di peso tremendo dell’eredità del territorio, la Vallemaggia, del quale Casè faceva parte integrante e scandagliava gli anfratti per ritrovarsi al di là della fragile linea che lo separava dal resto del mondo.
Cogli anni, e soprattutto la malattia, cercava sempre maggiormente le proprie origini e si concentrava su sé stesso, il suo essere fragile. Gli Ex voto rappresentano il ringraziamento laico per una vita in bilico.
Per farsi un’idea del suo profilo, ma non solo, è utile consultare il Dizionario biografico degli artisti svizzeri, aggiornato online. «La redazione – si legge nel sito – sottopone tutti gli artisti a una catalogazione da ■ a ■ ■ ■ ■ ■, che determina il grado di elaborazione delle singole voci, ossia la loro ampiezza. Questa operazione viene svolta in base a criteri oggettivi (ricezione degli artisti: pubblicazioni, partecipazioni a mostre, borse di studio e riconoscimenti, acquisizioni in collezioni, ecc.) e dal punto di vista storico-artistico». Naturalmente il criterio può risultare di per sé poco veritiero ma in ogni caso vale la pena tenerne presente. Lo 0,5% degli artisti presenti ha il massimo di elaborazione; l’1,5% quattro puntini; il 7,5% tre; il 40% due e infine il 50% uno. Casè ha un grado di elaborazione tre.