La forse troppo abbondante comunità degli studiosi a vario titolo dei mezzi di comunicazione di massa può essere divisa agevolmente in due categorie. Da una parte c’è una comunità purtroppo maggioritaria di osservatori che procedono in modo assertivo e tribunizio e, spesso con impostazione messianica e determinata, ci dicono come sarà il nostro futuro, abusando di negazioni e tempi futuri: «non potremo più», «non illudiamoci di», «saremo tutti»; cedono spesso, questi qui, ad altro artificio testuale e stilistico ormai smascherato: «non stiamo andando verso questo tipo di società, ci siamo già immersi», dicono gravi. Poi ci sono quelli che mettono qualche bue statistico e scientifico davanti al carro del ragionamento divinatorio e procedono come secoli di metodo scientifico dovrebbero ormai averci insegnato. Di questa seconda e più saggia squadra fa parte Vittorio Meloni, che ha lavorato con mansioni di responsabilità in IBM, Olivetti, Alfa Romeo, Telecom ed è ora capo delle relazioni esterne di Intesa Sanpaolo e consigliere di amministrazione di ADS e di Auditel.
Questo suo appena pubblicato Il crepuscolo dei media. Informazione, tecnologia e mercato è una analisi piena di dati delle evoluzioni in atto nel mondo dell’informazione, italiana e globale. Quindi, giornali, radio, televisioni, nuovi e social media; con le tematiche sorelle della pubblicità, dei ricavi, della ormai presentissima verità e delle sue declinazioni. Prendiamo la stampa scritta, i giornali in senso stretto. Ci sono degli indicatori che ci dicono molto sulle evoluzioni della società dell’informazione; in Italia, per esempio, incrociando qualche prospettiva si vede benissimo che il declino dei quotidiani, che è grave e misurabilissimo nei numeri, ha magari anche qua e là qualche causa meno vistosa: tra l’altro non è difficile dimostrare che «il declino dei quotidiani ha molte cause, ma tra queste possiamo annoverare senz’altro una crescente perdita di credibilità». In altri termini, forse c’è un problema non dichiarato di qualità e autorevolezza perdute, oltre che un mai troppo indagato problema di analfabetismo verso la lettura dei giornali. E ancora, i ricavi della pubblicità, storicamente l’introito maggiore di queste imprese, da qualche tempo cedono il primato al poco che resta delle varie forme di vendita; nel contempo si cercano nuovi giacimenti: il contributo volontario, la vendita di servizi commerciali, investimenti specifici sulla credibilità, come nel caso del «New York Times», che ha recentemente deciso di finanziare con cinque milioni di dollari straordinari inchieste specifiche sulla presidenza Trump.
Di fatto, il futuro dell’informazione sta tutto nei nuovi compiti cui quest’ultima dovrà rispondere: non più la pubblicità, non più le vendite come le conosciamo da sempre, forse nemmeno più i click sui banner della sua versione digitale. Secondo Meloni le vere sfide del futuro, quelle che tanto piacciono ai massmediologi un po’ millenaristi richiamati all’inizio, potrebbero essere quelle della ricerca della via verso la verità, la rivalutazione del fatto oggettivo a fronte dell’atomizzazione della cronaca in una serie infinita di opinioni ed emozioni, di fantasticherie, di indiscrezioni, di fandonie, di rabbia, di falsità; insomma, di tutto quello che con l’informazione finisce per non avere, a maggior ragione nell’era dell’Internet imperante, nulla a che fare.