L’intervista immaginaria al personaggio del passato è un classico della letteratura, anche perché risponde all’umana curiosità di poter scoprire verità nascoste, aneddoti e lati sconosciuti di uomini la cui immagine pubblica ci è stata consegnata ed è stata costruita dalla storia e dalla cronaca. Chi, dopo aver letto tutto su Giulio Cesare, Leonardo o Picasso, non si ritroverebbe con decine di domande da rivolgergli?
Daniel Levy, pianista, saggista nonché anima dell’accademia Eufonia, ha scelto la forma dell’intervista per il libro dedicato a Beethoven nel 250° anniversario dalla nascita. Dialogo con Beethoven è infatti il titolo del volume, titolo che nella sua sobrietà suona quasi oggettivo invece che immaginario; ed effettivamente Levy cerca di non scadere nella fantasia e nell’arbitrarietà optando per una scelta ben precisa: le risposte che Ludwig dà alle sue domande sono tutte autentiche, perché per redigerle l’autore attinge dai carteggi e dagli scritti autografi del musicista, senza aggiungervi una sola parola.
Un lavoro capillare che porta all’attenzione del lettore pagine, righe, singole affermazioni che non rientrano tra quelle normalmente citate (queste ovviamente non mancano, ad iniziare dal Testamento di Heiligestadt giustamente considerato il lascito spirituale più esplicito di Beethoven, dove denuncia la sua sordità incipiente e afferma la sua volontà di continuare a creare musica per rispondere al genio dell’arte che sente urgere in sé e per comunicarne il messaggio all’intera umanità). In questo intarsio di citazioni autografe le domande di Levy diventano una sorta di introduzione che offre al lettore una prospettiva di indubbio interesse per verificare quanto le parole del compositore tedesco siano ancor oggi attuali e sappiano giudicare la situazione odierna non solo della musica e dell’arte in generale.
All’inizio Levy chiede a Beethoven di raccontare la genesi delle sue opere: «Ho sempre un quadro nella mia mente quando compongo, e seguo le sue linee. Il mio dominio si trova nell’aria. I toni girano come il vento e spesso c’è una sorta di vortice nella mia anima. Allora i temi più incantati scorrono verso il cuore. Temi che delizieranno il mondo quando non ci sarò più»; parole poetiche e profetiche, cui seguono dettagli più tecnici: «Porto con me i miei pensieri per un lungo tempo prima di scriverli… Cambio molte cose, ne scarto altre e torno a trattarle nuovamente finché sono soddisfatto. Allora inizia nella mia testa le sviluppo in ogni direzione, dato che conosco esattamente quello che voglio».
A proposito di tecnica, ecco il buffo consiglio agli studenti: «Assolutamente no al metronomo! Chi ha il senso del suono non ne ha bisogno e chi non lo ha non otterrà nessun aiuto da questo». Per chi è legato all’immagine prometeica di Beethoven, del titano che lotta contro il destino, può risultare sorprendente la definizione dell’artista: «Il vero artista non è orgoglioso. Egli capisce che l’arte non ha limiti e sente quanto è lontano dalla meta. E se anche, forse, sarà ammirato dagli altri, egli lamenta il non aver ancora raggiunto quel punto in cui il grande genio brilli davanti a lui come un sole distante». I suoi artisti prediletti? «Goethe: per lui sarei morto dieci volte. Händel: il più grande compositore mai esistito. Mi scopro la testa e mi inginocchio davanti alla sua tomba. Schubert: in lui dimora veramente una scintilla divina».
L’altro grande amore? «La natura: è una scuola gloriosa per il cuore».
A colloquio con Ludwig
Biografie - Il pianista Daniel Levy dà alle stampe un’affascinante «intervista impossibile» con il grande Beethoven, attingendo dai suoi carteggi
/ 04.01.2021
di Enrico Parola
di Enrico Parola