A Chiasso il «jazz delle città»

La cittadina di confine ripropone dall’8 all’11 marzo la sua raffinata rassegna, con varie novità nel formato e con una lista di grandi nomi
/ 05.03.2018
di AZ

Non ce ne vogliano gli organizzatori ma il desiderio è grande di vedere rovesciato il programma del prossimo festival jazz di Chiasso. Di cominciare il pranzo dal dessert, in altre parole. Tale è in effetti l’attesa suscitata dalla presenza del grandissimo Brad Mehldau, che si esibirà nell’ultimo concerto della rassegna, domenica 11 marzo (Teatro di Chiasso, ore 17.00). In qualche modo è in effetti proprio questa giornata straordinaria (per contenuti artistici e quale nuovo spazio cronologico del festival) ad attirare l’interesse degli habitué. 

Mehldau è già stato di recente a Chiasso, ma con un programma molto diverso e per certi versi inusuale, dedicato com’era al repertorio di Johann Sebastian Bach. Questa volta ci attendiamo invece di poterlo ascoltare nei panni che tutti gli riconosciamo di uno dei più interessanti e completi pianisti del jazz moderno. Impossibile non ricordare, poi, in questa straordinaria domenica di jazz, la presentazione pomeridiana (ore 15.00) del documentario dedicato a Ornette Coleman, Ornette. Made in America. Opera della regista Shirley Clarke, il film non è propriamente una novità, poiché realizzato nel 1984, ma offre sicuramente un’ottima occasione per ricordare la figura e conoscere la biografia di una delle maggiori personalità che la storia del jazz abbia registrato.

Tornando a parlare del Festival nel suo complesso, va segnalato che il tema generale della rassegna, il filo conduttore che ne lega i diversi concerti, è quest’anno Jazz and the city. Si tratta in effetti più di titolo calembour, che di una vera cornice tematica. La suggestione metropolitana è in effetti una delle caratteristiche tra le più banali dell’esperienza jazz: potremmo intendere la scelta del tema come un’allusione alle varie realtà urbane internazionali da cui provengono i musicisti.

La scena italiana è rappresentata ad esempio dalla presenza della napoletana Maria Pia de Vito, protagonista di un omaggio alla musica brasiliana (venerdì 9, alle 20.45) e dal soulman laziale Luca Sapio (sabato 10, alle 24.00). Dall’Italia proviene anche l’eccezionale pianista Antonio Faraò, che si troverà coinvolto in un omaggio al grande violinista francese Didier Lockwood. Questi avrebbe dovuto essere presente proprio al festival ma è purtroppo morto nelle scorse settimane. A prendere il suo posto per un inevitabile tributo alla sua figura (venerdì 9, alle 22.15) è stato chiamato il chitarrista Biréli Lagrène, già protagonista del festival due anni fa. 

Altro appuntamento «metropolitano» è quello con il trio lussemburghese Reis-Demuth-Wiltgen, che si unirà per l’occasione al sassofonista Joshua Redman (giovedì 8 marzo, alle 22.15). Si tratterà di un incontro ravvicinato tra esponenti di una città europea in cui il jazz sta acquisendo una propria personalità e un grande solista newyorkese. Grande attesa suscita comunque la presenza del pianista israeliano Shai Maestro, a cui per la prima volta è stata offerto il ruolo di musicista «in residence»: si esibirà quindi in tutte e tre le serate dell’8, 9 e 10 marzo, in tre differenti formazioni. 

Ultima segnalazione per un gruppo elvetico-ticinese di recente costituzione: l’Epic Jazz Trio di Max Pizio e Andi Appignani proporrà un incontro con il trombettista italiano Flavio Sigurtà (sabato 10 marzo alle 20.45).

Il sito del festival