La questione è complessa e, diciamolo subito, di difficile soluzione: a chi appartengono gli innumerevoli reperti archeologici, etnografici e artistici che costituiscono oggi la ricchezza dei nostri musei occidentali, Svizzera compresa? Del problema nei suoi termini generali, delle implicazioni e delle possibili soluzioni abbiamo parlato con due responsabili di altrettante istituzioni del nostro Paese: Andrea Bignasca, direttore dell’Antikenmuseum di Basilea e Grégoire Mayor, codirettore del Musée d’Ethnographie di Neuchâtel. Tenendo presente anche l’intervento sulla rivista «Archeo» di Louis Godart, accademico e Consigliere per i beni culturali del Presidente della Repubblica italiana.
Nefertiti lascia Berlino, da Londra la Stele di Rosetta torna, in compagnia del più celebre busto al mondo, sulle rive del Nilo; la Nike di Samotracia abbandona il Louvre per riguadagnare casa sua. E sarà forse rimossa dal cofano della Rolls-Royce la sua copia in miniatura. Uno scenario di fantasia? Non poi così tanto.
Il patrimonio accumulato per secoli nei nostri musei (da papi, prìncipi e umanisti che dal Rinascimento hanno iniziato a raccogliere testimonianze delle civiltà del passato; in seguito oggetti provenienti da paesi con culture altre dalla nostra, esposti nei Cabinets de curiosités o Wunderkammern), viene oggi messo in discussione.
Nel giugno del 1982 Melina Mercouri, ministro della cultura di Grecia, aveva chiesto al British Museum di rendere al paese di origine i fregi del Partenone esposti nelle sue sale e quindi, come scrive Louis Godart nell’articolo sull’ultimo numero di «Archeo», di infine «consentire la riunificazione delle sculture di Fidia al tempio della dea Atena». Apriti cielo.
Eppure c’era stato il precedente dei furti di opere d’arte perpetrati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale principalmente ai danni degli ebrei tedeschi da cui George Clooney trasse il film Monuments Men. In quegli anni si è anche cominciato a discutere sulla provenienza di opere esposte in musei di primo piano d’Europa e America, frutto di acquisti incauti, di furti e saccheggio oppure trafugati da scavi clandestini. Gli Stati e gli organismi internazionali preposti alla cultura non potevano ignorare il problema e hanno messo a punto, con un certo ritardo, una serie di princìpi per controllare questa deriva. La Svizzera, pure coinvolta nei traffici di beni culturali, e indicata anzi da molti come una delle piattaforme più importanti di questo commercio grigio, vi ha aderito solo nel 2005. Negli ultimi decenni le richieste di restituzione a Stati e musei da parte di governi e associazioni varie si sono moltiplicate, ponendo agli addetti ai lavori quesiti importanti.
«Alla base di questa situazione c’è senza dubbio un’ingiustizia – afferma Andrea Bignasca – che riguarda l’arte, l’archeologia e l’etnografia. La discussione deve avvenire su tre piani diversi: storico per definire innanzitutto il contesto generale e analizzare le varie modalità di acquisizione dei reperti da parte dei musei stessi. C’è poi un piano giuridico; se parliamo di restituzioni, dobbiamo tener presente che ci sono sì regole internazionali, ma che le leggi cambiano da paese a paese. Infine, ma non da ultimo, c’è da tener presente il piano etico».
Si è detto della Seconda guerra mondiale e della Germania. Alla fine del 2020 a Berlino è stato inaugurato l’Humboldt Forum, enorme centro culturale europeo di 30’000 mq di superficie, situato nella celebre Isola dei musei. Le grandi collezioni in esposizione hanno attirato critiche da parte francese con l’accusa di trascurare il problema della provenienza dei reperti. Macron infatti nel 2017 aveva annunciato che nel giro di cinque anni avrebbe provveduto alla restituzione dei beni culturali trafugati durante il periodo coloniale, cominciando da Benin e Senegal (poche decine di reperti etnografici esposti al Musée du Quai de Branly, finora rimasti al loro posto). Nel Paese non tutti concordano con questa scelta politica, nel timore che la corsa alla restituzione, se altri paesi africani si faranno avanti, finisca per portare alla chiusura di molti musei francesi.
E «come la mettiamo con le razzie napoleoniche»? si chiede anche Louis Godart. Perché allora non andare ancora più indietro nel tempo, ribatte Bignasca, fino all’antica Roma, per tracciare la deadline che darebbe diritto alla restituzione dei reperti? «I romani hanno conquistato la Grecia che hanno poi ampiamente saccheggiato, portando nell’Urbe decine e decine di capolavori di scultura classica sottratte ai templi, e solo in base alla legge del più forte».
La domanda è: dove vogliamo far arretrare questa linea?
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