Dove e quando

Edificio 3, Milano, Piccolo Teatro Studio Melato, fino al 7 novembre 2021


5 tentativi di dare un senso alla propria vita

Edificio 3, una commedia di Claudio Tolcachir, drammaturgo e regista argentino
/ 18.10.2021
di Giovanni Fattorini

Tre scrivanie, quattro scaffali contenenti cartelle e faldoni multicolori, uno schedario metallico, tre apparecchi telefonici, alcune sedie e un paio di lampade da tavolo: questi i principali oggetti di una scenografia sobriamente realistica che finge un ufficio situato nel terzo corpo di un edificio (la maggior parte dei dipendenti è stata trasferita negli altri due – qui l’ascensore è fuori uso, funzionano male telefoni e caloriferi, manca la luce elettrica sulle scale) dove ha sede un’azienda presumibilmente pubblica che si occupa di non si sa che. Ogni tanto, grazie anche alla collaborazione immaginativa dello spettatore, l’ufficio diventa per breve tempo l’abitazione di una giovane coppia malriuscita, uno studio medico, il bar frequentato durante le pause lavorative dai personaggi principali della commedia: tre impiegati che si chiamano Moni, Sandra, Ettore.

Moni è una donna di mezza età, nubile e incline a intromettersi spesso oltre misura nelle faccende altrui. Sandra, anch’essa nubile e non più giovane, ma in età ancora fertile, desidera fortemente avere un figlio, e a tal fine si rivolge a più riprese a un’invisibile e inudibile dottoressa. Ettore è un cinquantunenne che ha perso da poco la madre, con cui conviveva, e che sembra interessarsi a Sandra, la quale crede di intravedere in lui un possibile e amorevole fecondatore. Estranei a questo piccolo mondo impiegatizio sono Manuel e Sofia – due giovani di cui non si conosce la professione – che formano la coppia malriuscita di cui sopra: lui si mostra insofferente e aggressivo nei confronti della compagna, lei invece lo ama e vorrebbe avere un figlio. Sintetizzando: cinque personaggi che cercano di dare un senso alla propria vita.

In testa a Edificio 3 (opera del drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir, nato a Buenos Aires nel 1975 – al Piccolo di Milano sono già andate in scena due sue commedie) troviamo una citazione tratta dal diario postumo di Cesare Pavese, che in data 17 agosto 1950 (dieci giorni prima di uccidersi) scriveva: «Ti stupisce che gli altri ti passano accanto e non sappiano, quando tu passi accanto a tanti e non sai, non ti interessa qual è la loro pena, il loro cancro segreto?» Se alle parole di Pavese aggiungiamo quelle che Tolcachir ha pronunciato durante la conversazione con Eleonora Vasta pubblicata nel programma di sala («Edificio 3 è una commedia costruita sui segreti, su quel che di noi mostriamo agli altri e quel che nascondiamo»), sembra lecito concludere che nelle intenzioni dell’autore i temi di fondo di Edificio 3 sono la solitudine, la sostanziale estraneità degli individui (anche quando sono a stretto contatto fra loro), il rapporto tra immagine pubblica e realtà privata, tra essere e apparire.

Tolcachir ha dichiarato che i suoi modelli (cioè i drammaturghi da cui ha tratto maggiori insegnamenti) sono Anton Cechov e Samuel Beckett. Quanto abbia contato per lui il teatro di Cechov, nello scrivere questa commedia del 2008, lo si capisce dall’uso (specie nei dialoghi dei tre impiegati) del sottaciuto e dell’inespresso. Ma che tale procedimento drammaturgico sia diventato un sottile strumento di scavo e affinamento psicologico (come avviene in Cechov) non direi. I personaggi di Edificio 3 hanno scarso spessore, e la rivelazione-lacerazione drammatica collocata verso la fine (a cui segue, come in Cechov, il ritorno dei personaggi a una rassegnata routine) non è l’inevitabile deflagrare di una tensione che è venuta crescendo attraverso l’accumularsi di accenni e sfumature. Sembra invece un superficiale e sbrigativo coup de théâtre (non privo di tratti comico-umoristici – tratti che in altri momenti della commedia paiono riconducibili, in qualche misura, alla lezione di Beckett).

La scrittura composita di Edificio 3 non è particolarmente interessante. Prevalgono le battute brevi o brevissime e il fraseggiare paratattico (con o senza congiunzioni). I periodi con proposizioni subordinate non sono mai complessi. Il linguaggio è piattamente colloquiale. I monologhi di Sandra davanti alla scrivania dell’invisibile e inudibile dottoressa sanno decisamente di vecchio teatro. La stesura a tre della lettera che Ettore dovrà leggere durante una messa in memoria della madre morta ha la dimensione e l’andamento di un piccolo sketch di varietà. La scena ambientata al bar (in cui si alternano frammenti di battute che servono anzitutto a chiarire il rapporto tra Sandra e Ettore) è meno nuova e sperimentale di quanto vuol sembrare.

Insomma, Edificio 3 mi pare una commedia modesta, che tuttavia ho seguito senza fastidio e senza noia grazie soprattutto alla fluidità dell’azione scenica (la regia è dello stesso Tolcachir) e alla particolare bravura di Valentina Picello (Moni), Giorgia Senesi (Sandra), Rosario Lisma (Ettore). Bravi anche Emanuele Turetta (Manuel) e Stella Piccioni (Sofia).