Metti Torino un giorno d’estate

/ 11.09.2023
di Claudio Visentin

Come si racconta una città? Torino, per esempio. Ci passo quattro giorni di fila e ho quindi modo di osservarla da diversi punti di vista. È ferragosto, come ai tempi del Marcovaldo di Italo Calvino (1963), l’unico a restare in città quando tutti la abbandonano: «Uscì a camminare per il centro, la mattina. S’aprivano larghe e interminabili le vie, vuote di macchine e deserte; le facciate delle case, dalla siepe grigia delle saracinesche abbassate alle infinite stecche delle persiane, erano chiuse come spalti. Per tutto l’anno Marcovaldo aveva sognato di poter usare le strade come strade, cioè camminandoci nel mezzo: ora poteva farlo, e poteva anche passare i semafori col rosso, e attraversare in diagonale, e fermarsi nel centro delle piazze. Ma capì che il piacere non era tanto il fare queste cose insolite, quanto il vedere tutto in un altro modo…». In realtà quest’oggi Torino non è troppo diversa dal resto dell’anno: nel tempo del turismo urbano, parecchi visitatori stranieri hanno preso il posto dei cittadini per le strade; ma un certo senso di libertà è rimasto, così come la sfida di «vedere tutto in un altro modo».

Dicevamo, da dove si comincia? Ogni città ha la sua narrazione ufficiale. Torino è dapprima romana e medievale. Poi, come testimoniano gli imponenti palazzi lungo le sue strade, cresce di dimensioni e diventa sabauda, risorgimentale, persino capitale d’Italia (sia pure per pochissimo tempo). Nel secondo dopoguerra tutto cambia: Torino è allora una fabbrica grigia, il cielo pieno di fumo, gli emigranti dal sud. Infine un ultimo giro di giostra.

Torino è l’Olimpiade invernale del 2006 e la sua eredità di servizi, industrie creative, cultura, musei, case editrici, caffè, cioccolato, locali, vita notturna, calcio. Tutte queste città diverse sono inestricabilmente intrecciate l’una all’altra; storie diverse condividono la stessa geografia. E ogni tentativo di fare ordine nella mole imponente di informazioni si rivela velleitario.

Meglio allora andarsene in giro senza troppi pensieri? Anche così non è facile. Se a Milano in piazza Duomo non dubiti mai di essere in centro, Torino è più complicata. Piazza Castello, dove si incrociano le vie principali, è il candidato naturale per questo ruolo, ma diversi quartieri hanno una forte identità: la collina con le sue case eleganti, il Quadrilatero, porta Palazzo con il più grande mercato delle pulci d’Europa (Balon), piazza San Carlo, il quartiere multietnico di San Salvario.

E poi il Po, naturalmente. Se nella maggior parte delle città il fiume le divide in due parti ben distinte e aiuta quindi a orientarsi, a Torino il Po contiene e circonda la città nel suo abbraccio. Dopo aver esplorato il vecchio zoo abbandonato da anni sulla riva destra, finisco la giornata nei locali dei Murazzi, dall’altra parte. Secondo lo stereotipo i torinesi sarebbero rigorosi, seri, squadrati (come la pianta ortogonale della loro città), «falsi e cortesi» (e «la busiarda» è infatti il soprannome del quotidiano locale, «La Stampa»). Ma stasera qui si divertono parecchio.

Torino è sorprendentemente interessante, ma ogni tentativo di trovare un filo rosso, una gerarchia si perde nella varietà di esperienze. Forse ha ragione uno dei suoi scrittori più conosciuti, Giuseppe Culicchia (Torino è casa nostra, Laterza): «Torino è una città diversa a seconda di chi la vive e la osserva, di modo che oltre alla mia c’è anche la vostra. O meglio: ci sono le vostre. Siamo poco meno di un milione, da queste parti, perciò ci sono poco meno di un milione di città differenti».

Il mio ultimo tentativo è con Chiara, artista di strada e lettrice vis à vis. Dal 2013 si è ricavata un confortevole spazio circolare in un incavo del Parlamento in piazza Carignano. Districandomi dalla folla anonima che passa senza guardare, con gli occhi bassi, mi siedo sul piccolo sgabello e scelgo da un cestino un biglietto con una parola chiave: «Significato». Chiara pesca dal suo carretto colorato un libro e ne legge una pagina per me solo. Sono Le città invisibili di Calvino (ancora lui!) e il cuore in fondo me lo diceva: «Inutilmente … tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so che già sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato … Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano…».