Bibliografia

Louis-Ferdinand Céline, Guerra. A cura di Pascal Fouché, trad. di Ottavio Fatica, Adelphi, Milano, 2023


La lotta quotidiana dell'esistenza

Adelphi pubblica Guerra, il primo dei due romanzi inediti di Louis-Ferdinand Céline
/ 04.09.2023
di Pietro Montorfani

Non è vero che non succede mai niente di nuovo sul fronte occidentale. Solo nell’ultimo anno, con ancora negli occhi i fotogrammi del film tratto dal capolavoro di Erich Maria Remarque, se guardiamo alla letteratura ispirata alle due guerre mondiali che hanno devastato l’Europa nella prima metà del Novecento sono riemersi da cassetti e vecchi bauli due preziosi manoscritti rimasti nell’ombra per decenni, e che ci impongono proprio per questo di scrivere oggi una nuova pagina nella storia dei loro autori: una versione sconosciuta di Suite francese di Irène Némirovsky, apparsa lo scorso anno con il titolo Tempesta in giugno, e per il primo conflitto (lo stesso di Remarque) nientemeno che due romanzi inediti di un ancor giovane Louis-Ferdinand Céline (nella foto ritratto durante la sua prigionia in Danimarca nel 1947).

La notizia del ritrovamento era nota sin dal 2021 ma non finisce di sorprendere per la modalità, quasi romanzesca, dei passaggi di mano. Accusato (giustamente) di antisemitismo e di favoreggiamento del regime nazista, nel giugno del 1944 l’autore di Bagatelle per un massacro si era trovato costretto ad abbandonare in fretta e furia la sua abitazione parigina in rue Girardon, nel 18esimo Arrondissement, per mettersi in salvo in Danimarca via Sigmaringen con un lasciapassare fornitogli dai suoi contatti con gli ufficiali tedeschi. L’appartamento era stato poi svaligiato dai partigiani, così che si credettero perdute per sempre le 6000 pagine manoscritte di cui Céline avrebbe lamentato la perdita per tutta la vita, bruciate o comunque eliminate per rivalsa nei confronti di uno scrittore divenuto improvvisamente scomodo dopo il risveglio dall’incubo hitleriano.

Possiamo soltanto immaginare la sorpresa del giornalista di «Libération» Jean-Pierre Thibaudat quando, alcuni anni or sono, ricevette una telefonata da uno sconosciuto che gli consegnò il malloppo (l’intero archivio perduto di Céline, comprensivo anche di lettere e fotografie) con l’unica richiesta di non far avere nulla alla vedova dello scrittore, Lucette Destouches, che sarebbe poi scomparsa nel 2019.

Ci sarà lavoro per anni, dicono gli esperti, ma intanto è già uscito in Francia e ora anche in Italia il primo dei due romanzi inediti, Guerra, che naturalmente conferma tutte le caratteristiche cui ci ha abituato il Céline maggiore: impostazione autobiografica neanche troppo dissimulata, contenuti esperienziali e linguistici al limite della censura, scrittura sublime.

La storia di Guerra, per chi conosca la vita di Ferdinand Destouches (Céline è uno pseudonimo ispirato al nome di battesimo della nonna materna), continua da dove si era interrotto Casse-pipe, cioè dall’abbandono del 12esimo reggimento di corazzieri dell’esercito francese durante la Prima guerra mondiale, a seguito di gravi ferite al braccio e alla testa che il «vero» Céline aveva effettivamente subito nel corso della sua breve esperienza militare: «La botta che mi aveva rintronato così profondamente mi aveva come scaricato un enorme peso dalla coscienza, quello dell’educazione, come dicono […]. Ne avevo le palle piene di trascinarmi da un giorno all’altro con un cranio devastato, e soprattutto da una notte all’altra con la testa nella macina e le sensazioni da paracadutista. All’umanità non dovevo più niente, almeno quella che uno si crede quando ha vent’anni e scrupoli grossi come bacherozzi che si aggirano tra tutte le menti e le cose» (pp. 119-120).

In queste poche righe è contenuto il succo, la morale-immorale della favola di queste pagine tradotte in italiano da Ottavio Fatica, che mai come in questo caso è davvero un nomen omen, perché si immagina lo sforzo, tutta l’abnegazione del traduttore confrontato a una lingua così elegante e così estrema al tempo stesso. La lezione che il protagonista trae dalle vicende belliche, a lungo confinate nelle nebbie della sua memoria ferita, è che la guerra non finisce con il rientro a casa (in ospedale) ma si traduce in vita di tutti i giorni, perché non c’è gloria che appaghi i desideri più bassi e profondi, quelli che non era possibile confessare nella Francia borghese e perbenista dei propri genitori. Céline, si sa, non è lettura per tutti i palati, tanto è il cinismo che pervade la sua visione dell’esistenza, descritta con uno stile che è soda caustica in formato verbale.

Eppure, nonostante i temi e personaggi al limite della decenza (e spesso anche oltre: qui un’infermiera ninfomane e necrofila già in là con gli anni), ciò che risalta in filigrana è un attaccamento alla vita, alle persone, ai luoghi, che l’espressionismo estremo dell’autore non riesce a nascondere, anzi, finisce per esaltare. C’è poco da fare: anche in questo nuovo testo la scrittura di Céline è commovente, nel senso etimologico del termine, perché muove prima ancora di scioccare. L’autore ne era d’altronde ben consapevole e nemmeno in Guerra mancano infatti le occasioni per riflettere sulla nascita stessa della sua vocazione letteraria, sul ruolo della scrittura e il suo posto nel mondo.

Le prime pagine sono, da questo punto di vista, addirittura memorabili, perché con grande maestria stilistica mettono in scena, quasi in presa diretta, il formarsi del pensiero entro il perimetro chiuso di una mente confusa e devastata, che poco a poco, brano dopo brano, recupera la propria architettura razionale: «Un pezzetto per volta di pensiero ben fatto, uno via l’altro. È un esercizio che stanca vi assicuro. Adesso sono allenato. Vent’anni, uno impara. Ho l’anima più dura, come un bicipite. Non ci credo più alle scorciatoie. Ho imparato a fare musica, sonno, perdono e, come vedete, anche bella letteratura, con piccoli tocchi di orrore strappati al rumore che non finirà più» (p. 27).

La guerra dopo la guerra, la lotta quotidiana dell’esistenza che è in fondo anche il tema cardine del più celebre Viaggio al termine della notte, sembra essere per Céline uno stimolo inesauribile alla scrittura. Quasi un monito, per sé e per i suoi lettori, affinché si eviti il più possibile di ricadere in quella vera, di guerra, quella dei fucili e dei cannoni; incamminandosi su questa strada la sua storia personale l’avrebbe portato, purtroppo, al collaborazionismo, cioè al sostegno del più forte, assieme alle derive che tutti conosciamo. Attendiamo ora di poter leggere anche il secondo romanzo, Londra, che riprenderà da dove si è interrotto il primo: con il protagonista pronto a lasciare la Francia e ad attraversare la Manica, con tutto il suo bagaglio di rabbia e di rancore.