Cos’è la turbolenza di scia?

È un fenomeno che viene provocato nell’aria dal passaggio di un aeroplano, in quanto il movimento relativo della sua ala fa sorgere forze di alta pressione (portanti) sul dorso, e di depressione sul ventre. Esse, incontrandosi ai terminali alari, imprimono all’aria due moti rotativi speculari, dal basso verso l’alto. Questi moti sono caratterizzati da un forte contenuto di energia e sono spesso resi visibili dalla condensazione dell’umidità ambientale.

A bassa velocità, con l’estensione delle superfici mobili che esaltano la funzione portante dell’ala, queste scie possono essere fortemente energizzate, tanto da continuare a persistere per vari minuti, Attraversandone una, un aeroplano di dimensioni analoghe o minori rispetto a quello che l’ha prodotta viene brevemente ma fortemente forzato a ruotare con il flusso vorticoso. Normalmente l’attraversamento dura pochi secondi, durante i quali il pilota (o l’autopilota) reagiscono dando comando contrario e, al termine, lasciando che l’aereo si stabilizzi naturalmente.

Diverso è il caso di un aereo naturalmente instabile e mantenuto in assetto da impianti computerizzati digitali che, a loro volta, molte volte al secondo, fanno riferimento ai «dati aria» rilevati da appositi sensori statici e dinamici. Se questi dati vengono a mancare o vengono valutati incongruenti dal sistema computerizzato che li gestisce, esso cessa di fornire dati all’impianto elettronico dei comandi di volo. Risultato: l’aereo diviene immediatamente totalmente ingovernabile e la sua traiettoria imprevedibile.


Caccia F-35, quando l’atterraggio è pericoloso

Un incidente mette in luce aspetti preoccupanti che riguardano gli aerei da combattimento acquistati dalla Svizzera
/ 28.08.2023
di Andrea Artoni

La firma del contratto di acquisto dei nuovi super-caccia Lockheed Martin F-35 Lightning II per l’esercito svizzero è avvenuta il 19 settembre dell’anno scorso, quando lo sviluppo di quel sistema d’arma aereo era stato dichiarato praticamente completato. Invece, il 13 ottobre, alla base aerea Hill Air Force (Salt Lake City, Utah) tutto è stato contraddetto da un incidente che ha dato origine a un’inchiesta, i cui sconcertanti risultati sono stati pubblicati di recente. In quell’occasione – si legge nel rapporto ufficiale – uno di questi aerei tecnologicamente avanzatissimi è andato «perduto», in una situazione riscontrata del tutto normale, per cause e circostanze che rimangono tuttora in parte misteriose e quindi preoccupanti.

Era sera e spirava un venticello di circa 9 chilometri orari quando una squadriglia di quattro aerei si è presentata all’atterraggio con la solita procedura, allineandosi con la pista in fila indiana e distanziando gli aerei di circa un chilometro uno dall’altro. Il primo e il secondo hanno toccato terra senza problemi, alla velocità di circa 275 Km/h. Per il terzo le cose sono andate del tutto diversamente. A 800 metri dalla testata della pista, sulla quale il caccia che lo aveva preceduto stava smaltendo velocità, mentre planava alla quota di circa 60 metri dal suolo, improvvisamente ha iniziato a compiere movimenti strani e inconsulti, per ora solo parzialmente spiegabili. «L’aereo ha incominciato a oscillare – ha osservato un pilota collaudatore presente sul posto – mentre le superfici di controllo (piani di coda orizzontali e verticali, alettoni e flap delle ali) facevano ampi e rapidi movimenti, probabilmente al limite delle capacità dei comandi elettro-idraulici». Il pilota del caccia – che ha riportato solo poche leggere ferite alle mani – ha poi raccontato d’aver percepito il solito rumore aerodinamico di quando si attraversa la scia dell’aereo che precede, e che di solito dura circa due o tre secondi. Così è stato, ma quando il fenomeno è cessato, semplicemente il sistema computerizzato di controllo del volo – unico (ma ridondante) mezzo per rendere pilotabile un aereo intrinsecamente instabile allo scopo d’essere altamente manovriero – ha semplicemente smesso di funzionare.

L’inchiesta ha scoperto che, a provocare questo malfunzionamento, non è stato un guasto dell’impianto, ma una specie di ammutolimento del sistema di acquisizione dei dati dell’aria nella quale l’aereo stava volando. L’Air data system (in sigla Ads) è un sistema computerizzato che fonde i dati provenienti da numerosi sensori sparsi su tutto l’aereo (in particolare sul muso e su entrambe le fiancate), derivandone gli input digitali che, a sua volta, il sistema computerizzato dei comandi di volo traduce in attuazioni e regolazioni dei movimenti delle superfici aerodinamiche di controllo. Sembra che sia stata l’incapacità del sistema di comparare rapidamente i dati discordanti provenienti dai sensori sulle due fiancate, investiti dai flussi differenti dell’aria turbolenta prodotta dalla scia dell’aereo precedente. Ne è risultato un rimpallo di dati rapido e continuo, che ha portato a una saturazione del sistema, il quale ha semplicemente smesso di trasmettere dati per un momento, breve, ma sufficiente per mandare in tilt il sistema dei comandi di volo. Operando con dati non corretti, esso ha risposto in maniera errata alle azioni frenetiche del pilota, complicando le cose.

Forse pensando a uno stallo, una perdita di portanza, egli ha dato tutto motore, compreso il postbruciatore, per tentare di riprendere quota e fare un altro giro. Niente da fare: nessuna azione congruente dalle superfici di controllo d’assetto del caccia. Anzi – in risposta all’incremento di spinta (e di velocità, che ha raggiunto i 320 Km/h) – esso si è intraversato, puntando il muso a sinistra e ruotando sul proprio asse dalla stessa parte. Unica soluzione possibile per sopravvivere: lanciarsi con il sedile eiettabile a razzo, mentre l’F-35 (valore 76 milioni di dollari, ma danno prodotto valutato complessivamente in 166,3 milioni) è andato a disintegrarsi al suolo fra la strada esterna al recinto aeroportuale e la via perimetrale interna. Dal termine della sensazione di turbolenza da parte del pilota al «crash» sono trascorsi meno di 10 secondi.

Ciò che sta provocando grossi grattacapi al Pentagono sono due fatti. Primo, che con oltre 600’000 ore volate dagli F-35, questo è un caso del tutto anomalo e inaspettato. Secondo (e ben più grave): riproducendo nel simulatore di volo di progetto della Lockheed le medesime condizioni di volo incontrate dal quel caccia, il risultato è stato sempre il medesimo, indipendentemente chi fosse il pilota: «crash» assicurato, senza alcuna possibilità di recupero del controllo del volo. La soluzione adottata al momento è stata triplicare a tre chilometri il distanziamento fra gli F-35 in avvicinamento per l’atterraggio. In effetti, questo provvedimento era già stato valutato opportuno da parte del personale della torre di controllo della Hill air force base, e veniva consigliato ogniqualvolta il vento al suolo superava i 9 chilometri orari. Non si trattava, però, di una proceduta standard resa nota ufficialmente ai piloti, e non era riportata nel loro manuale di volo. È vero che, se fosse stata applicata quella semplice procedura, si sarebbe evitato tutto quel danno. Ma forse i costi di quel danno pagheranno il salvataggio di altri aerei e altri piloti, se dai risultati dell’inchiesta si passerà alla soluzione del funzionamento dell’Air data system dell’F-35. Speriamo che essa si materializzi prima della consegna dei primi esemplari alla Svizzera. Intanto, facciamoli volare molto ben distanziati.