Riccardo Staglianò


Welcome to the Machine

Sostituiti i colletti blu, è il turno di quelli bianchi: Riccardo Staglianò spiega come robot e intelligenza artificiale stanno prendendo il nostro posto
/ 31.10.2016
di Lorenzo De Carli

Sta succedendo come nel film culto L’invasione degli ultracorpi: senza che ce ne accorgiamo, altre creature stanno prendendo il nostro posto nella vita di tutti i giorni. Ci scalzano non solo là dove siamo impegnati a fare cose pratiche, ma anche nelle attività che richiedono intelligenza e discernimento.

Docente, divulgatore di saperi tecnologici, giornalista, Riccardo Staglianò ha scritto libri che hanno scandito tutte le tappe più significative dell’uso sociale delle tecnologie della comunicazione dall’inizio degli anni Novanta ad oggi. La casa editrice Einaudi ha pubblicato Al posto tuo, il cui sottotitolo dichiara esplicitamente: «Così web e robot ci stanno rubando il lavoro». Inviato del quotidiano «la Repubblica», Staglianò è andato da una costa all’altra degli Stati Uniti, si è recato nei centri d’eccellenza della robotica e dell’intelligenza artificiale in Europa per descrivere una situazione che solo il «negazionismo tecnologico» può fingere diversa da quella che è: le macchine stanno distruggendo più posti di lavoro di quanti non ne stanno creando.

Uber sostiene che i suoi «tassisti» non sono dei salariati, ma il suo fondatore ha anche detto che sono superflui. I veicoli senza autisti sono davvero dietro l’angolo? «A metà settembre, a Pittsurgh, Uber ha introdotto – sbaragliando ogni concorrenza – le sue prime auto che si guidano da sole. In realtà ci sono anche gli autisti, nel caso in cui qualcosa vada storto, ma il grosso della guida è automatico. È di poche settimane fa la notizia del primo incidente mortale di un uomo a bordo della sua Tesla con pilota automatico. Esempi che anticipano le previsioni degli esperti che parlavano del 2020-22 come prima fase dell’arrivo di queste vetture».

Il pilota automatico è inserito nella maggior parte dei viaggi che facciamo in aeroplano. Strade e autostrade sono, però, un’altra cosa. La macchina, per esempio, metterà in pericolo la vita delle persone a bordo, oppure sceglierà di travolgere deliberatamente il bambino corso in strada a raccogliere il pallone?

«Il tema delle scelte etiche delle macchine era al centro della preoccupazione di Max Tegmark e altri scienziati che ho incontrato al convegno annuale della Association for the Advancement of Artificial Intelligence a Austin, in Texas, nel 2015 e di cui do conto nel libro. Bisognerà cominciare a insegnare ai robot come comportarsi in questi casi. Gli algoritmi hanno milioni di righe di codice, tranne quello morale. Ma questo cambierà presto».

Se la logistica si sta totalmente robotizzando, anche le professioni intellettuali non sembrano essere messe meglio: articoli che si scrivono da soli, diagnosi mediche automatiche, attività forensi delegate a software. Ogni volta che si rifà il conto dei lavori che potranno fare le macchine, l’elenco si allunga. «È così. Francesca Rossi, informatica in prestito a Harvard, a cena nel ristorante di un albergo ha fatto il seguente giochino con Andrew McAfee, autore di La seconda rivoluzione delle macchine: quali professioni intorno a noi saranno automatizzate? Sono andati avanti tutta la notte. La domanda giusta è: quando saranno automatizzate? Analisti di borsa, traduttori, chirurghi. E quando non saranno automatizzate saranno proletarizzate, come succede con l’insegnamento universitario sulle piattaforme online».

Se chiediamo al suo libro di suggerirci un lavoro sottratto al dominio delle macchine, la risposta che otteniamo è: «fai un lavoro che abbia queste due caratteristiche: 1. che non sia procedurale, e 2. che non implichi la manipolazione di grandi masse di dati». C’è speranza, quindi, per i creativi? «Certo. Tutto ciò che può essere formalizzato in una serie di istruzioni – l’algoritmo è una ricetta che risponde alla logica: se succede questo, allora fai questo – sarà sostituito. Bisogna puntare sulla flessibilità di fronte agli imprevisti, la gestione di situazioni complesse, la capacità di inventarsi soluzioni nuove e inattese. Insomma valorizzare le caratteristiche che ci rendono umani».

Anche dove il costo del lavoro è tutt’ora basso, si pensa ad introdurre robot per sostituire i lavoratori. Con la scomparsa dei lavoratori, però, assisteremo anche alla scomparsa dei consumatori. Chi saranno i destinatari delle merci prodotte dai robot? «Foxconn, il mastodontico produttore di elettronica, ha già annunciato il licenziamento di 60mila operai sostituiti dai robot. Ma il punto è proprio quello che lei segnala, e non sfuggiva neppure a Henry Ford negli anni 50: se tutta la produzione sarà automatizzata, chi comprerà le mie auto? Drammaticamente questa consapevolezza scarseggia negli industriali odierni».

Mentre i robot e i software stanno prendendo il nostro posto di lavoro, noi lavoriamo gratis per chi si arricchisce sul web. Il web 2.0, quello dei social, sembra essere diventato l’apologia dell’autosfruttamento, l’apoteosi della «schiavitù volontaria». Anche in questo caso, tutto accade senza aver coscienza di quel che realmente; con felice passo di danza, si accetta di lavorare gratis per Facebook, per Youtube, per Google, per Apple – per chiunque ci chieda di partecipare con tag, commenti e recensioni.

«Il web 2.0 è una geniale impostura. Nel 2000 il bluff di tante dot-com venne alla luce. Come ripartire, abbassando i costi per aumentare i ricavi? Convincere gli utenti a fare il lavoro, gratis, ed estrarre valore da quel volontariato di massa. I fondatori di quelle compagnie sono più ricchi che mai, tutti gli altri più poveri di sempre».

Diciamo «lavoro» ma intendiamo anche «stipendio». Che ne sarà, quando i robot ci avranno sostituiti? Sarà giunto il tempo dello stipendio minimo garantito? «Di certo è già il tempo di pagare le tasse, attività nei confronti della quale i giganti del web hanno una singolare ritrosia. Non solo devono pagarle tutte, ma proporrei una tassazione più progressiva (nessuno ricorda che negli Stati uniti fino al ’63 l’aliquota marginale massima era del 91%, per dire). Poi, se tutto questo non bastasse, bisognerebbe seriamente prendere in considerazione il reddito universale».