«Penso che si debba abbassare il diritto di voto a 16 anni. Il futuro è nostro! Gli adulti di oggi non hanno le idee chiare, tanti giovani stanno diventando degli attivisti sui social. La nostra generazione lotta per diritti, uguaglianza e parità». È il pensiero di una ragazza che fra poco compirà sedici anni. Dovrà attendere ancora due anni per poter partecipare attivamente alla vita politica istituzionale in Ticino e in Svizzera.
Abbassare il diritto di voto e di eleggibilità dei giovani è un tema ricorrente e in queste ultime settimane è tornato di stretta attualità nel nostro Paese. A Berna, la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale ha respinto a fine maggio l’idea di abbassare da 18 a 16 anni il diritto di voto a livello federale, come chiede l’iniziativa parlamentare della verde basilese Sibel Arslan. Un voto misurato, 12 contro 12, ed è stato il presidente, con il suo voto determinante, a spostare l’equilibrio in senso sfavorevole all’iniziativa. Nel canton Uri, lo scorso 18 maggio, il Parlamento ha invece accettato, 45 voti contro 15, una mozione che propone di concedere il diritto di voto, ma non l’eleggibilità, ai sedicenni. A Neuchâtel, lo scorso febbraio, una proposta analoga è stata affossata in votazione popolare dal 58,5 % dei votanti.
Per ora, l’unico cantone che concede il voto ai sedicenni è Glarona, dove la Landsgemeinde lo ha approvato nel maggio del 2007. «Si tratta di un segnale di fiducia nei confronti dei giovani – dichiarò allora la direttrice del dipartimento cantonale dell’interno, Marianne Dürst. – Molti giovani intraprendono un’attività lavorativa a 16 anni. Ora potranno anche esprimere la loro opinione su temi che li concernono, come la scuola o il tirocinio». Anche in Ticino le acque si muovono a favore di un abbassamento dell’età del diritto di voto e di eleggibilità. A fine febbraio i deputati del Movimento per il socialismo hanno inoltrato un’iniziativa parlamentare elaborata in tal senso. «Vi sarebbero molte ragioni – afferma l’iniziativa – che potrebbero essere citate a sostegno di questa rivendicazione: di ordine sociale, economico, psicologico, ecc.: ci limiteremo, tuttavia, all’attualità politica e sociale. Non sarà sfuggito a nessuno, nemmeno ai più distratti, come la gioventù sia stata, in questi ultimi due anni, una delle protagoniste principali dell’attualità politica e sociale in molti paesi, Svizzera e Ticino compresi». L’MPS ritiene che, a 22 anni dall’ultima discussione su questo tema, sia importante riproporlo.
Ecco un’altra ricaduta dell’effetto Greta Thunberg. La giovane attivista ambientale svedese ha cominciato a 15 anni a manifestare contro il cambiamento climatico e per uno sviluppo sostenibile. Il movimento sciopero per il clima ha coinvolto anche in Svizzera, in particolare lo scorso anno, decine di migliaia di giovani che sono scesi nelle piazze, anche nelle ore di scuola.
La storia del diritto di voto in Svizzera è un lungo cammino, iniziato nel 1848. A quel tempo solo il 23% della popolazione poteva votare, erano escluse le donne, chi aveva meno di venti anni, ma anche chi non pagava le imposte. Come ben sappiamo, i maschi svizzeri hanno accordato il diritto di voto e di eleggibilità alle donne solo nel 1971. E nel 1991, i cittadini svizzeri hanno accettato di abbassare la cosiddetta maggiore età da 20 a 18 anni. Oggi è il 65% della popolazione che vanta i diritti politici.
Negli ultimi anni c’è stato più di un tentativo di dare il voto ai sedicenni. Nel 2007 la socialista Evi Allemann ha inoltrato un’iniziativa parlamentare con questa richiesta: «a 16 anni i giovani devono prendere decisioni fondamentali per le quali è importante sapere distinguere i propri interessi da quelli degli altri. A 16 anni i giovani hanno la responsabilità di come organizzare la propria vita, hanno terminato la scuola dell’obbligo e sono politicamente consapevoli. Il diritto di voto a 16 anni rafforza il processo democratico e tiene conto degli sviluppi demografici. L’interesse dei giovani cresce con l’opportunità di influenzare direttamente gli sviluppi politici e sociali». La proposta non ha avuto successo, il Nazionale l’ha bocciata sonoramente con 107 voti contro 61.
Ora c’è un gruppo di giovani svizzero tedeschi che si sta attivando per rilanciare il dibattito sul voto a 16 anni e che intende promuovere un’iniziativa popolare in questo senso. È appena stato aperto un sito, Stimmrechtsalter16.ch, dove si rivendica il coinvolgimento delle nuove generazioni, dando loro la parola, permettendo così di migliorare l’equilibrio democratico perché, come alcuni studi prevedono, nel 2035 l’età media dei votanti salirà a 60 anni. «Vorrei dare una voce ai giovani del nostro paese – afferma Laurin Hoppler – perché possano portare nuove idee e forgiare il loro futuro».
Ma non tutti i giovani sono favorevoli: «Vedendo i sedicenni di adesso mi chiedo se anch’io ero così: – ci dice una ventenne universitaria – mi sembrano ancora più superficiali e disinteressati di come lo eravamo noi, o forse li vedo così perché sono cresciuta e ho più esperienza di loro. Però mi ricordo che a 16 anni non ci interessava molto la politica e non ne capivamo neanche granché, anche perché a scuola non se ne parlava. C’erano alcune eccezioni, ovviamente, ma io e i miei amici non eravamo tra quelle. La politica sembrava terribilmente noiosa e piena di paroloni altisonanti che non capivamo. Non ci sentivamo pronti per votare, per avere questa responsabilità, e ancora adesso, per tanti, sembra che votare sia più un obbligo, un peso, piuttosto che un diritto».
Un aspetto non secondario relativo alla formazione politica dei giovani è il ruolo che riveste la scuola. In Ticino se ne è discusso a lungo recentemente in merito alla proposta di introdurre le lezioni di educazione civica. Sta di fatto che l’insegnamento della civica o dell’educazione alla cittadinanza, a dipendenza del grado scolastico, è indubbiamente utile. Anche, e forse di più, in un momento come questo, in cui fra i giovani la fanno da padroni le reti sociali, con molte informazioni che possono essere infondate e che sono, a volte, difficilmente verificabili. E a maggior ragione se l’età di voto si abbassa, perché molti sedicenni sono ancora studenti.
In un documento pubblicato in maggio, la Commissione federale per l’infanzia e la gioventù, organo consultivo del Governo svizzero, si è espressa in modo vigoroso a favore del voto ai sedicenni. Sostiene in particolare il diritto di voto, e non di eleggibilità, a tutti i livelli: comunale, cantonale e federale. Assunzione di maggiori responsabilità e possibilità di coinvolgere i giovani come protagonisti della vita sociale sono fra i motivi addotti dalla Commissione.
Un’altra voce autorevole a favore della riforma è quella del politologo Claude Longchamp che in un recente intervento a Basilea ha messo in evidenza l’importanza di abbassare l’età media dei votanti svizzeri. Il Paese sta diventando una gerontocrazia, basata sul potere degli anziani, afferma Longchamp, i cittadini attivi politicamente in Svizzera hanno oggi in media 57 anni. Abbassare a 16 anni il diritto di voto corregge di poco questa media, ma porta un po’ di «aria fresca alle urne». Chi ritiene che i giovani non siano pronti o abbiano poco interesse a partecipare, deve ammettere che questa osservazione vale anche per chi è meno giovane. Longchamp nega che l’abbassamento dell’età favorisca la sinistra. «Secondo i nostri barometri elettorali – afferma il politologo – i giovani che voterebbero per la prima volta sceglierebbero soprattutto i giovani liberali e in secondo piano i giovani UDC e i giovani socialisti».
In effetti, anche guardando a quanto è accaduto nel 1991 con il voto ai diciottenni e nel 1971 con il voto alle donne, non ci sono stati scombussolamenti fra gli schieramenti politici. Il sistema elvetico è piuttosto rigido e non sembra dipendere dall’età dei votanti. Piuttosto, recentemente, sono aspetti di politica globale, come l’ecologia e il cambiamento climatico, che determinano variazioni fra la ripartizione delle forze partitiche.
Concedere il voto ai sedicenni è un segno di apertura e di fiducia nei confronti dei giovani e, in ogni caso, si tratta di un diritto, non di un dovere, quindi chi non vuole o non se la sente, può scegliere di non esercitarlo.