Quando dico che non ho WhatsApp alcune persone la prendono per un affronto. Ma come, dicono, è tutto gratuito! E quando rispondo che gratuito non lo è per nulla, che si paga in altri termini, in mancanza di libertà, in digital-dipendenza e che già i social network a volte sono una zavorra per persone come me che fan fatica a non rispondere se contattate, che non ho assolutamente voglia di incrementare la mia connessione al mondo, che voglio starmene ogni tanto in pace per i fatti miei, dicono: dipende da come lo usi. Discorso che mi pare ingenuo, perché presuppone un soggetto preesistente all’esperienza, una monade già fatta e finita che passa attraverso le cose senza che le stesse abbiano nessuna influenza su di lui/lei. La pensa così anche Paolo Crepet (anche se mi ha confessato di avere WhatsApp, ma di utilizzarlo cum grano salis) che nel suo ultimo libro, Baciami senza rete, edito da Mondadori, racconta che essere continuamente connessi ai social network comporta dei rischi non da poco, soprattutto per bambini e adolescenti. Qui di seguito l’intervista.
Paolo Crepet, quali sono i rischi per un bambino cresciuto sempre con iPad e smartphone in mano?
Prima di tutto diventa grasso, perché diminuiscono tutte le sue attività motorie e con esse quelle relazionali. Non si tratta solo di sport, ma anche di gioco, che è una parte delle attività affettive del bambino.
Rischio che però noi bambini cresciuti negli anni Novanta correvamo anche con la tv.
Non è comparabile. Di fronte al piccolo schermo quanto passavano i bambini? Un’ora, due? Qui si sta parlando di dieci ore al giorno. La tv rimaneva nel salotto, il cellulare ce l’hai nella tasca e lo porti ovunque, al parco, in gita, dalla nonna… Il livello di dipendenza che causano queste tecnologie è enorme.
Nel suo libro parla di due facoltà importanti che a causa delle nuove tecnologie stiamo perdendo o che comunque si stanno assottigliando, ovvero la memoria e la capacità di concentrazione. Quali sono i rischi a livello di sviluppo emotivo?
La memoria non è solo una qualità cognitiva, non va intesa solo come la capacità di fare calcolo o ricordarsi dov’è Vienna o Varsavia. C’è anche una memoria emotiva, che si palesa quando ci ricordiamo la via per arrivare alla casa dove abitavamo da bambini o il numero di telefono della nonna. Perdendo la memoria, si perde l’affettività. Per quanto riguarda la capacità di concentrazione, beh, devo dire che lavorare due o tre ore di seguito a un computer è impossibile anche per me. Il telefono squilla ogni due per tre, arrivano continue notifiche dalla mail. La formazione diventa sempre più frammentata e questo non può portare che a una maggiore superficialità, anche da un punto di vista culturale. I risultati sono davanti ai nostri occhi. A questo punto non resta che capire chi governerà il mondo, che non si sta certo semplificando: le grandi questioni dell’umanità hanno bisogno di risposte sempre più complesse, non certo di un tweet.
La scuola gioca un ruolo importante nella formazione dei futuri adulti. Dove puntare per promuovere una crescita sana?
Io penso che le scuole debbano puntare su quelle che gli esperti chiamano «esperienze detox», facendo in modo che gran parte delle loro attività sia digital-free. Paradossalmente mi sembra molto più avanzata e moderna una scuola elementare che insegna ai bambini a dipingere con le mani sul muro che una in cui 22 ebeti stanno chini su un iPad.
Parliamo dei genitori. Nel suo libro non concede sconti e dice che la tecnologia fa comodo soprattutto a loro, perché un ragazzino che non si sporca, non si sbuccia le ginocchia e non pensa troppo è l’incarnazione, per alcuni, del figlio o della figlia modello.
I genitori sono collusi, visto che loro stessi sono grandi utilizzatori di digitale. Non vedo, quindi, come possano dare l’esempio se non negativamente. Non si tratta di abbandonare le tecnologie, ma utilizzarle in maniera intelligente. Questo non è ovviamente quello che i mercanti della tecnologia vogliono.
Però noi subiamo il fascino di queste tecnologie. Quali sono le cause, a suo avviso, di questa fascinazione?
Siamo affascinati da una cosa che fa fare poca fatica. Ma la fatica serve. Conosce un’opera d’arte che non sia stata il frutto di fatica?
Quanto influisce la tecnologia nelle relazioni di coppia? In che cosa le facilita, in che cosa amplia le difficoltà?
Facilita la comunicazione. Oggi posso prendere un appuntamento con mia moglie in un tempo molto più rapido, magari senza nemmeno disturbarla se è in riunione. Ma questo non cambia sostanzialmente quanto facevamo già anni fa, quando ci trovavamo alle 21.15 davanti al cinema. Gli effetti negativi sono abbastanza noti: aumentano i sospetti, le vite parallele, le paranoie che già esistevano oggi sono moltiplicate per mille.
Cosa consiglierebbe ai genitori che si trovassero alle prese con una figlia o un figlio che passano tutto il tempo chiusi nella propria stanza a chattare?
La cosa più semplice del mondo: mettere delle regole e farle rispettare. Era la stessa cosa quando stavamo troppo davanti alla tv o quando si tornava all’una al posto che alle 11 e mezza. Il problema dell’imbarazzo di una madre di dire al proprio figlio di spegnere il cellulare, è che lei stessa lo usa dalle 7 di mattina a mezzanotte.
Ma la tecnologia ha anche qualche aspetto positivo?
Certo, come strumento di conoscenza e per connetterci col resto del mondo. Bisogna abituare i bambini e noi stessi all’uso bello della tecnologia. Ma il problema non nasce con Internet, nasce con i social network: metterli sullo stesso piano è deviante.
Che consiglio dà ai lettori che volessero disintossicarsi o quantomeno rendere queste tecnologie meno pervasive?
Basta seguire i dettami della buona educazione. Ai miei tempi una persona che telefonasse alle 11 di sera o era la nonna che stava male o un maleducato. Adesso l’idea che tu a qualsiasi ora del giorno o della notte si riceva un messaggio su WhatsApp è considerato normale.
Il futuro? Come lo vede?
Adesso sta diventando cool essere disconnessi. Inizierà con una piccola parte di persone, il resto del mondo farà più fatica, ma noi europei, in questo, siamo avvantaggiati. Sappiamo cosa vuol dire stare in mezzo alla natura, godersi la vita. Uno che nasce e cresce nel deserto, cosa ne sa?
A cena con Mark Zuckerberg. Cosa gli direbbe?
Intanto gli chiederei di spegnere il suo smartphone. Poi gli offrirei una bella carbonara, ammesso che non sia vegano, per fargli capire quanto è bella la realtà.