In Svizzera i giovani che scelgono studi universitari o scuole universitarie professionali non rimangono disoccupati. Non è però sempre facile trovare un lavoro soddisfacente al termine degli studi. Sono osservazioni confermate dalla recente ricerca Dalle scuole universitarie svizzere al mondo del lavoro pubblicata dall’Ufficio di statistica del Canton Ticino.
Anna si laurea in psicologia a Losanna, l’Università che figura ai vertici delle scelte degli studenti ticinesi. Torna in Ticino dove non trova lavoro come psicologa, ma viene assunta in qualità di educatrice al Centro di Pronta Accoglienza e Osservazione (PAO) della Fondazione Torriani di Mendrisio. Dopo un paio di anni di esperienza ottiene un posto di psicologa a Ingrado a Lugano, dove si occupa di consulenza e terapia nell’ambito della tossicodipendenza. Infine sceglie il mondo della scuola, che per una futura mamma offre maggior tempo libero: diventa docente di sostegno pedagogico, con un incarico al 50%. La famiglia e la scelta di far figli portano spesso anche le laureate a svolgere un lavoro a tempo parziale.
La ricerca curata dall’Ufficio di statistica analizza tre aspetti: la transizione nel mercato del lavoro dei laureati provenienti dal Ticino, dei laureati all’USI e dei diplomati alla SUPSI. Sono stati analizzati i dati che vanno dal 2010 al 2016, periodo in cui il numero dei laureati è cresciuto in ognuno dei gruppi considerati. Dei laureati provenienti dal Ticino poco più della metà ottiene la licenza fuori cantone. A un anno dalla fine degli studi il 95% dei laureati provenienti dal Ticino lavora, percentuale che vale anche per chi esce dall’USI. Mentre i diplomati SUPSI ottengono un lavoro nella misura dell’84%. La SUPSI offre un bachelor e quindi molti giovani preferiscono continuare la formazione per conseguire un master. I laureati dell’USI sono svizzeri nella misura del 27%, a fronte del 73% di stranieri di oltre 100 nazionalità, in maggioranza italiani. L’Università della Svizzera italiana non è diventata un «ghetto per ticinesi» come qualcuno forse paventava. Al contrario, è piuttosto un’università per stranieri. Il rettore dell’USI Boas Erez ha ripetuto in più occasioni di voler vedere un numero maggiore di indigeni iscritti all’università di casa, così come fanno, in maggioranza, gli studenti d’oltralpe che hanno un ateneo nella loro regione.
Rocco dopo il Liceo si iscrive al Politecnico di Zurigo, facoltà di scienze ambientali. Conclusa la formazione in una delle scuole svizzere più prestigiose cerca lavoro, ma si trova confrontato con molte offerte di incarichi precari. Stage sottopagati con promesse di sviluppo, incarichi a tempo parziale in start-up che devono costruirsi un futuro. Dopo un paio di mesi di ricerche insoddisfacenti decide di proseguire gli studi e di svolgere un dottorato spostandosi all’università di Ginevra. Ottiene il PhD in scienze farmaceutiche e si accinge a cercare lavoro. Qui i giovani si scontrano con una realtà piuttosto diffusa. Molte aziende e ditte cercano personale qualificato (laurea o dottorato) ma con esperienza, requisito che un giovane fresco di studi non sempre è in grado di offrire. Diversi potenziali datori di lavoro propongono al giovane di continuare gli studi affrontando un post dottorato. Da Washington riceve una proposta allettante di postdoc dall’Istituto della sanità degli Stati Uniti, a Bethesda. Lui ha però voglia di lavorare e di consolidare la sua posizione e nel giro di due mesi dall’ottenimento del dottorato trova un posto di lavoro a tempo pieno quale ricercatore (scientific project manager) in una giovane azienda biotech di Zurigo: stipendio adeguato e buone condizioni di lavoro.
Un dato interessante e che fa riflettere è che il 60% degli studenti provenienti dal Ticino e laureati oltre Gottardo, sei su dieci, lavora fuori dal Ticino a un anno dalla fine degli studi. Si tratta di fuga di cervelli? L’analisi non prende in considerazione questo fenomeno. Per chi decide di restare oltralpe si citano «dove abita il/la partner, la famiglia o gli amici». Strano che non si consideri il fatto che il Ticino, verosimilmente, non può offrire occasioni di lavoro adeguate a tutti i laureati o a coloro che hanno conseguito specializzazioni di alto livello. «Colpisce l’elevata correlazione tra sedi di studio e di lavoro – annota Mauro dell’Ambrogio, ex segretario di Stato per la formazione a Berna, nella prefazione dell’opuscolo – chi non taglia il cordone ombelicale con gli studi lo fa difficilmente dopo. Che solo il 40% dei ticinesi laureati altrove lavora in Ticino spiega perché sul mercato del lavoro qui, credo di poter supporre più come effetto che come causa, li suppliscano immigrati e frontalieri».
Per contro, i laureati all’USI tornano nei paesi d’origine (Italia in testa) nella misura del 40%, il 37% lavora in Ticino e il 23% nel resto della Svizzera.
Viola dopo le medie si iscrive alla Scuola di Diploma (oggi Scuola Specializzata per le Professioni Sanitarie e Sociali), consegue la maturità professionale, frequenta la Scuola cantonale degli operatori sociali e intraprende il tirocinio di monitrice di asilo nido. In questo campo è facile scontrarsi con nuove forme di precariato, in quanto gli asili nido privati non offrono condizioni di lavoro paragonabili agli istituti pubblici. È un problema che riguarda la Svizzera intera e negli ultimi anni il Consiglio federale ha investito in questo settore per migliorare la situazione. Dopo l’esperienza lavorativa, Viola decide di riprendere gli studi e si iscrive alla SUPSI, che concluderà con un diploma di assistente sociale. Ciò le dà la possibilità di entrare immediatamente nel mondo del lavoro con un incarico qualificato all’Associazione delle famiglie diurne.
La posizione professionale dei neolaureati a un anno dal titolo dipende fortemente dal tipo di formazione svolta, annota lo studio. I laureati delle Università risultano più spesso stagisti o dottorandi rispetto ai laureati delle SUP. Tra gli universitari che concludono gli studi, il 55% ha ottenuto un contratto a tempo determinato (stagisti o dottorandi). All’USI questa percentuale è solo del 38% e alla SUPSI del 27%. Il contratto delle donne è più sovente a durata determinata rispetto a quello degli uomini. Molto diffuso anche il tempo parziale, che riguarda un terzo degli attivi. Chi lavora a tempo parziale desidera un tempo pieno, ma non lo trova: e fra loro, le donne sono in maggioranza. Questi ultimi dati rivelano situazioni di precariato che hanno ormai una diffusione piuttosto ampia. Le giovani generazioni mettono in conto che la sistemazione professionale non può essere definitiva dopo gli studi e accettano di cambiare lavoro nell’ambito della loro carriera.
Per quanto riguarda le buste paga, lo studio rivela che il reddito annuo lordo standardizzato mediano dei neolaureati delle università è all’incirca di 75mila franchi annui. Per i laureati dell’USI il reddito si ferma a 63mila franchi all’anno, più basso perché il 40% dei giovani sono occupati all’estero, con condizioni salariali peggiori rispetto alla Svizzera.
Le tre storie di giovani che abbiamo citato, che passano dal mondo della scuola al mercato del lavoro, ben rappresentano e riassumono i dati contenuti nella pubblicazione dell’Ufficio di statistica. Si riscontra una certa difficoltà a iniziare subito dopo gli studi un lavoro consono alla licenza e ben retribuito, la diffusione degli stage e del precariato, la differenza tra la situazione professionale a un anno o a cinque anni dalla fine degli studi, il ritorno in Ticino per chi dà vita a una famiglia e l’alta percentuale di ticinesi che, se studiano oltralpe, rimangono a lavorare dove hanno studiato.