Per anni se ne è discusso nelle pubblicazioni accademiche del nord Europa, sotto la voce «mascolinità», e adesso il tema si sta diffondendo anche tra il grande pubblico, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Quanto pesano gli stereotipi di genere sugli uomini? Quanto gli uomini restano bloccati in ruoli che li esasperano e li limitano? Non sono soltanto le donne ad essere condizionate dai pregiudizi che le vogliono dedite al lavoro di cura, pazienti, dolci, sottomesse, umorali, inadatte al comando, disinteressate al potere. Anche sugli uomini grava il macigno dei preconcetti: devono essere forti, sicuri, virili, guadagnare per tutta la famiglia, non manifestare le proprie emozioni, non piangere, non dare segnali di cedimento.
Di recente su «1843», magazine dell’«Economist», un articolo dal titolo The Man Trap (La trappola maschile), ha analizzato come le idee tradizionali di mascolinità nella società e nel lavoro confliggano con i ruoli che gli uomini vorrebbero ricoprire nella loro vita privata, visti anche i cambiamenti in atto all’interno delle famiglie. Sono sempre di più le coppie dove entrambi i partner lavorano a tempo pieno e si stanno quindi ridefinendo i compiti per la cura della casa e dei figli. Nathan, un avvocato di Manhattan, divorziato, con due figli adolescenti, pronto per le seconde nozze, ha raccontato alla giornalista Emily Bobrow che agli uomini non è ancora concesso di potersi dedicare a pieno tempo alla paternità, come magari alcuni vorrebbero, senza passare per dei falliti. Si legge su «1843»: «Come uomo, c’è questa tacita aspettativa che io sia una persona che guadagna, che uccide gli insetti e che sistema le cose in casa. Allo stesso tempo, devo essere sensibile, aiutare a cucinare ed essere presente con i ragazzi».
In italiano è appena stato ristampato, dalla casa editrice Settenove, il saggio Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni, scritto da Lorenzo Gasparrini, filosofo, blogger e attivista. Nel libro viene descritta la vita comune di un uomo, dall’infanzia all’età adulta. Si analizzano i giochi, i rapporti con l’altro sesso e con gli altri generi, le relazioni di coppia, il lavoro, per mostrare come il sessismo condizioni lo sviluppo, il linguaggio, le abitudini, la visione del mondo anche maschile. È difficile demolire gli stereotipi, secondo l’autore, «perché sono un comodo strumento di rapporto con il mondo e forniscono, senza fatica, una serie di rappresentazioni, conoscenze e modelli di comportamento consolidati che esprimono una situazione di potere e di valori apparentemente normali».
La costruzione della mascolinità inizia nell’infanzia, spiega Andrew Reiner, docente alla Towson University, in un articolo sul «New York Times», da titolo Talking to Boys the Way We Talk to Girls (Parlare ai ragazzi come si parla alle ragazze). Nel 2014 uno studio pubblicato sulla rivista «Pediatrics», ha dimostrato che le madri interagiscono in maniera diversa con le figlie e i figli neonati, rispondendo con più frequenza ai vocalizzi delle bambine. In un’altra ricerca, un team di accademici britannici, ha rilevato che le madri spagnole fanno discorsi e usano più parole legate alle emozioni con le figlie di quanto non avvenga con i figli. Anche per i padri le dinamiche sono simili: un’analisi della Emory University ha scoperto che i papà cantano e sorridono di più alle bambine, usando un linguaggio più dettagliato, capace di riconoscere la loro tristezza. Le parole che usano più spesso con i bambini, invece, sono focalizzate sul successo, e sono «vincere» e «orgoglio».
Judy Chu, biologa, autrice di When Boys Become Boys (Quando i ragazzi diventano ragazzi), ha realizzato uno studio di due anni su bambini di 4 e 5 anni e ha scoperto che sono capaci, come le bimbe, di leggere le emozioni umane, ma si dimostrano più impassibili e distanti in pubblico, perché questo è quello che gli viene insegnato e richiesto. Adottano questo comportamento in società, ma non quando sono in casa o di fronte ai genitori. Andrew Reiner, che sta scrivendo un libro sul tema, cita altri studi che dimostrano come la costruzione della mascolinità dominante sia il risultato di una serie di condizionamenti familiari e sociali. Anche la scuola ha un ruolo fondamentale, così come i giocattoli e le letture che si considerano da sempre «adatte ai maschietti»: storie di supereroi, guerre e battaglie, mentre la poesia e la letteratura sono «roba da femminucce».
Da più parti, il messaggio è che sia arrivata ora di cambiare impostazione: bisogna lasciare ai bambini la libertà di esprimere le proprie emozioni, senza giudicarli né offrire soluzioni. Questo significa aiutarli a capire che le emozioni non sono buone o cattive, e che non sono più grandi di loro. Non occorrono grandi interventi, basta mettersi in ascolto, con domande su come si sentono, cercando di farli parlare dei loro sentimenti. Ci possono essere grandi benefici, per lo sviluppo e l’età adulta.
Gloria Jean Watkins, conosciuta con lo pseudonimo di «bell hooks», insegnante, scrittrice e attivista statunitense, nel libro The Will to Change (La volontà di cambiare), spiega come la distanza tipica che gli uomini hanno dalle proprie emozioni li condizioni negativamente, impendendo loro di essere se stessi. «Fino a quando non permetteremo agli uomini di distaccarsi dai ruoli di genere, continueremo a negare la loro piena umanità», scrive, aggiungendo che fin da piccoli, la prima cosa che imparano, è a «indossare una maschera» che non lasci intravedere le emozioni. «Serve uno spostamento su quei terreni di espressione che sono stati storicamente territorio esclusivo delle donne».