Un luogo aperto a tutti, uno spazio di accoglienza, confronto e informazione. Questo vuole, ed è ad oggi, lo spazio dedicato al progetto «Via Vai… ma se vuoi stai!»: un invito rivolto ai giovani a fermarsi, per l’appunto, a chiacchierare con loro pari (i peer), cioè dei ragazzi in formazione, attorno a temi come l’utilizzo di sostanze, ma non solo.
Per tutta la durata del Longlake festival la campagna di sensibilizzazione, coordinata dal Servizio di Prossimità della Divisione Socialità, ha avuto casa nei pressi del Boscetto Ciani, tra il Pop Up di Lugano Bella, i Food Track e vicino al Family Festival. Insomma, un gazebo aperto immerso letteralmente nella folla di giovani e meno giovani che hanno abitato il parco per tutta la durata del festival. Proprio nello spirito del Servizio di Prossimità, che intende andare là dove stanno i ragazzi, essere presente senza imporsi, per accogliere senza costringere. Una permanenza, quella al Parco Ciani, che si inserisce nelle attività di sensibilizzazione e che vedono attivi i peer educator tutte le settimane da maggio a fine agosto presso lo spazio della Foce di Lugano, in concomitanza con Lugano Marittima dal giovedì al venerdì.
Incuriosita, mi sono avvicinata anche io allo spazio «Via Vai… ma se vuoi stai!», e, tra un sound check e uno spettacolo teatrale, ho incontrato il responsabile del progetto, Luca Riva, operatore di prossimità. «L’obiettivo è quello di creare uno spazio di accoglienza e di confronto per tutti i giovani cittadini ma anche per le loro famiglie. Si tratta infatti di un luogo dove è possibile ricevere informazioni e materiale riguardo l’abuso di sostanze e dove si viene a conoscenza di una rete di servizi sul territorio che possono essere d’aiuto in caso di necessità».
Importante, come detto, è essere presenti in contesti di aggregazione, «soprattutto gli eventi organizzati dalla Città in cui si trovano molti giovani. Lavoriamo in contatto con la Divisione eventi e congressi, che nel periodo autunnale poi invernale e primaverile, ci indirizza sulle serate allo Studio Foce con maggiore presenza».
Ma non sono gli operatori stessi a essere presenti, bensì, come detto, i peer educator, ragazzi dell’Associazione INCURF (Insieme Contro l’Uso Ricreativo di Farmaci), nata qualche anno fa e con consolidata esperienza in ambito di sensibilizzazione giovanile. «I ragazzi vengono formati attraverso il progetto Danno.ch dell’associazione Radix, che ha le nostre stesse finalità, anche se rivolte alla riduzione del danno appunto, mentre noi siamo finalizzati oltre che alla prevenzione anche all’informazione». Sono tutti studenti o neolaureati in ambito sociale e sanitario, e sono presenti per ascoltare e «fare rete», quindi proporre, indirizzare verso servizi con professionisti specializzati. «La realizzazione di “ViaVai… ma se vuoi stai!” è stata voluta in primo luogo dal Municipio, attraverso un gruppo di lavoro interdivisionale in collaborazione con la Divisione eventi e congressi e la Polizia di Lugano». Il progetto ha preso vita nell’aprile 2022 alla Foce di Lugano, luogo non casuale, sede dei grandi ritrovi spontanei giovanili sulle rive del lago durante la pandemia. Ritrovi che avevano causato spesso tensioni con le forze dell’ordine e probabilmente messo in evidenza una problematica sociale legata alle sostanze stupefacenti. «Si è incrementato l’utilizzo di queste sostanze, era necessario uno spazio di accoglienza e confronto».
Secondo le statistiche interne, da ottobre 2022 a giugno 2023 le presenze al progetto «Via Vai…ma se vuoi stai!» sono state attorno al migliaio, con una media di 36 presenze a sera. «A volte è qualcuno che chiede una brochure, a volte invece c’è la volontà di raccontare la propria storia. Per ora il riscontro è positivo, tenendo in considerazione il fatto che esistiamo, con questo progetto, da così poco tempo. Si tratta di utenze che vanno soprattutto dai 18 ai 30 anni, ma si rivolgono a noi anche famigliari o insegnanti».
Il Servizio di Prossimità della Città di Lugano invece è una realtà a oggi ben radicata nel nostro territorio. Dialogo aperto, facile accesso, assenza di giudizio e presenza costante sul terreno, queste alcune delle caratteristiche del lavoro svolto dagli operatori sociali di prossimità. «Lavoriamo molto sulla relazione con le persone. La durata dell’accompagnamento è soggettiva, come pure la struttura del lavoro» ci racconta Luca Riva. Una libertà da strutture fisse che permette di adeguarsi alle richieste degli utenti, «si negozia coi giovani, si valutano le diverse necessità, a volte si inizia con un’assistenza burocratica per scoprire che c’è altro. Si crea una relazione, si instaura un dialogo, anche davanti a un caffè e se la persona è ben disposta la si sostiene e indirizza in più ambiti».
Ma che cosa differenzia il sostegno di un operatore di prossimità rispetto per esempio ai professionisti del campo della salute mentale, o all’assistenza sociale? «Soprattutto la presenza sul territorio. Riusciamo a individuare precocemente le situazioni di disagio, prima che il giovane si presenti al servizio. Si inizia con un approccio informale, e se si viene a creare una relazione di fiducia possiamo accompagnare il ragazzo, o comunque informarlo sugli aiuti che ci sono». Un lavoro di rete estremamente importante che mostra all’utenza una panoramica delle possibilità di consulto e permette una progettualità per il futuro.
«Nel 2003 Ingrado (il Servizio ticinese di cura dell’alcolismo e altre dipendenze, n.d.r.) ha iniziato a proporre un approccio di prossimità con i tossicodipendenti. Sono stati i primi nella Svizzera italiana. Poi nel 2008 siamo nati noi come Prossimità giovani. A poco a poco questa metodologia si è poi diffusa negli altri centri urbani come Chiasso, Mendrisio, Bellinzona e Locarno e nel Malcantone».
La tendenza rispetto all’utilizzo di droghe da parte dei giovani, oggi sembra aggravarsi. Per Luca Riva, «non è che peggiora o migliora, semplicemente ci sono richieste diverse, e in questo periodo ce ne sono di più. Non bisogna vedere sempre tutto negativo. I ragazzi hanno vissuto un periodo devastante, a causa del Covid, e dobbiamo capirli. Anche la polizia si sta avvicinando molto ai loro bisogni, ovviamente con altre modalità, ma collaboriamo costantemente. Non mi piace che il dito sia puntato sempre sui giovani. Sono il futuro, stigmatizzarli non serve, loro ne sentono il peso e la situazione rischia di diventare ancora più carica di ansia. Per me è importante sostenerli e saperli ascoltare, accoglierli con le loro visioni, le loro fragilità, le loro risorse, le loro problematiche e i loro desideri. Alcuni di loro dicono: nessuno mi ascolta, perché ti interessi a me? Questo mi ha stupito, significa che non vedono più interesse e ascolto nelle figure adulte». Aiutare i ragazzi a trovare gli strumenti necessari per superare un periodo difficile è l’obiettivo degli operatori di prossimità: «Essere la loro spalla e poi pian piano, quando hanno acquisito strumenti e risorse, lasciarli andare mantenendo però un contatto, un legame e l’affetto».