Occorre promuovere la cultura dell’adozione, affinché i bisogni specifici dei bambini accolti come figli nelle famiglie della nostra regione siano più conosciuti, così come le esigenze dei genitori che li crescono con amore. Un amore che a volte da solo non basta. Per affrontare il passato dei figli adottivi e il disagio che ne consegue, sono necessarie competenze e strategie che la famiglia può apprendere documentandosi, leggendo e confrontandosi con altri genitori nella medesima situazione, meglio ancora se con figli già più grandi. Queste convinzioni animano i membri dell’associazione Spazioadozione, nata nel 2011 dopo un’esperienza quadriennale come gruppo di auto-mutuo-aiuto che ha trovato nel blog e nel sito un efficace strumento di comunicazione e condivisione.
La realtà dell’adozione è anche questa. Ci sono genitori poco informati e seguiti, che in un primo tempo preferiscono magari concentrarsi sul proprio nucleo famigliare, sottovalutando i segnali di sofferenza lanciati dalla bambina o dal bambino. Spazioadozione desidera poter raggiungere queste famiglie nel senso di diffondere la consapevolezza delle implicazioni di una simile scelta a tutti i livelli della società. I cambiamenti culturali sono lenti, ma le generazioni di genitori adottivi si susseguono e grazie anche al loro impegno l’approccio si sta modificando. La stessa storia di Spazioadozione lo dimostra. Le famiglie più attive sono una decina, ma diverse nuove si annunciano regolarmente, animate dal bisogno di condividere preoccupazioni e difficoltà quotidiane per le quali si cercano risposte anche molto pratiche. I genitori definiti «collaudati» hanno figli ormai trentenni e rappresentano un prezioso punto di riferimento per chi si affaccia a questo cammino o per coloro che devono fare i conti con la turbolenta fase adolescenziale (e non solo) dei propri figli. Frustrazioni, rifiuti e atteggiamenti provocatori si accentuano, diventando molto più difficili da gestire all’interno come all’esterno della famiglia. Inizia inoltre a manifestarsi il tema delle proprie origini, che può tradursi in desiderio di ricerca, ma in alcuni casi anche in assoluto rifiuto.
Secondo Spazioadozione, a fronte di molti adottati felicemente integrati nella società, altri hanno bisogno di più tempo e attenzioni per superare i traumi subiti, primo fra tutti quello dell’abbandono. La perdita della madre biologica rimane un segno comunque indelebile indipendentemente dal fatto che il bambino sia adottato nelle prime settimane di vita o dopo alcuni anni. La teoria del trauma e dell’attaccamento permette di capire le sue dinamiche comportamentali già nell’ambito dell’inserimento familiare, mentre quella dell’appartenenza e dell’identità offre strumenti per comprendere le sue difficoltà a livello di integrazione sociale.
Due famiglie che abbiamo incontrato, con figli adottivi rispettivamente di 17 e 18 anni, raccontano come questi concetti siano oggi ben spiegati in diverse pubblicazioni anche in lingua italiana. Una quindicina di anni fa approfondire la problematica adottiva era invece più complesso. Spazioadozione sul suo sito (www.spazioadozione.org) offre molti spunti al riguardo. Come lo suggerisce il nome, l’associazione è però prima di tutto un luogo d’incontro tra famiglie adottive. Il bisogno di essere capiti e non giudicati è diffuso, tanto quanto la necessità di poter contare su una rete di sostegno per se stessi e i propri figli.
Una volta raggiunta l’età adulta, anche questi ultimi sono i benvenuti. La loro testimonianza è di grande importanza, perché permette di trasmettere e spiegare il loro sentire specifico. Lo hanno dimostrato i due ospiti della serata pubblica organizzata da Spazioadozione lo scorso ottobre. Alla visione del film autobiografico Antwone Fisher (storia vera del guardiamarina Antwone Fisher, che a causa del suo temperamento irascibile viene obbligato dal suo superiore a seguire un percorso psicoterapico) è seguito un dibattito con Laura Pensini, psicologa del Centro Prisma Luce di Brescia (specializzato nella presa a carico di famiglie adottive) e Kim So-Book Cimaschi, direttore del trimestrale ADOPNation edito dallo stesso centro, entrambi figli adottivi.
Sensibilizzare il pubblico è uno degli obiettivi di Spazioadozione, che ha stabilito contatti con altri enti locali e internazionali. In Italia, realtà vicina alla nostra, esistono direttive scolastiche mirate per l’accoglienza di allievi adottati e centri specializzati sulla tematica. L’associazione ticinese è impegnata a diffondere anche nel nostro cantone queste buone pratiche cercando di coinvolgere le istituzioni. È previsto infatti un progetto riguardante la scuola e destinato soprattutto ai docenti. Il mondo scolastico e quello del lavoro, secondo l’esperienza diretta di queste famiglie, non sono ancora preparati ad accogliere i bambini adottati tenendo conto dei loro bisogni peculiari all’origine di comportamenti altrettanto distintivi. Sovente bastano piccoli accorgimenti per evitare reazioni emotive eccessive. Qualche esempio: assegnare un posto in fondo alla classe in modo che il bambino veda tutti i compagni e si senta più sicuro, stemperare la tensione con uno stacco proponendo di andare a bere un bicchiere d’acqua o ancora utilizzare un codice per far capire all’allievo che l’insegnante esce dall’aula ma poi rientra. La paura di un nuovo abbandono è infatti tale da suscitare emozioni non sempre controllabili. Di qui l’appellativo di bambini «ribelli» ai quali altri adottati contrappongono l’immagine di bambini «perfetti» per paura di essere nuovamente rifiutati.
Pazienza, empatia, compassione, accoglienza, capacità di immedesimarsi nel bambino e di sapersi mettere in gioco come genitori, sono alcune delle attitudini che facilitano le relazioni con i bambini adottati e lo sviluppo di un legame sia in famiglia sia negli altri contesti sociali. I comportamenti e le strategie di comunicazione più adeguati non sono sempre spontanei. Ecco perché, secondo chi ha vissuto in prima persona questa esperienza, è auspicabile una maggiore formazione dei futuri genitori adottivi e docenti, in modo che possano capire il significato di determinate dinamiche. Quanto proposto attualmente dalla procedura di adozione potrebbe quindi essere migliorato, con un’attenzione prolungata nel tempo e la possibilità di far capo a professionisti specializzati in questo ambito. Un monitoraggio delle famiglie adottive in Ticino contribuirebbe pure a sviluppare e diffondere una vera e propria cultura dell’adozione.
Per le famiglie che regolarmente si trovano in Spazioadozione, condividendo esperienze, preoccupazioni e risorse, una conoscenza maggiore dell’adozione e di tutte le sue sfaccettature sarebbe non solo un prezioso aiuto, ma anche un dovere verso «queste persone che abbiamo fatto venire da noi con la pretesa di poterle far stare meglio che nel loro paese d’origine».