Dopo il premio al Museo si punta al Patrimonio Unesco

Dopo il riconoscimento come uno tra i borghi più belli della Svizzera e il Premio Meyvaert al suo museo, fra qualche anno la comunità Walser di Bosco Gurin potrebbe diventare un patrimonio immateriale dell’umanità, preservato dall’UNESCO. Il villaggio della Val Rovana è infatti coinvolto in un progetto di candidatura che comprende tutte le popolazioni europee con le stesse radici (sul modello di quanto sta avvenendo anche per le antiche faggete della valle di Lodano). I Walser sono originari del Canton Vallese e, nelle loro secolari migrazioni, hanno fondato nuove comunità in tutta Europa, mantenendo salde tradizioni, cultura e soprattutto lingua. 


Uno scrigno di cultura tra le montagne

Museo Walser – A Bosco Gurin la «casa della memoria» del popolo di lingua germanica che dal Vallese ha colonizzato mezza Europa ha ricevuto il prestigioso Premio Meyvaert. Ce ne parla la sua curatrice Cristina Lessmann-Della Pietra
/ 20.09.2021
di Mauro Giacometti

Ci vuole coraggio, amore per la montagna e un pizzico di follia per vivere tutto l’anno a 1500 metri, fuori dal mondo, immersi nella natura selvaggia e spesso ingovernabile ad allevare bestie, tagliare fieno, foraggio, coltivare granaglie, disboscare angoli di foreste – e poi ripiantare gli abeti abbattuti – per costruirsi una casa che sappia resistere al caldo dell’estate, ai temporali, al vento e soprattutto al gelo dell’inverno e alle valanghe, che da queste parti sono rare ma devastanti (un centinaio le vittime nel 1695 e nel 1749, le valanghe più violente che distrussero mezzo paese). Questa testardaggine contadina la si respira in ogni angolo di Bosco Gurin, un comune fra i più alti della Svizzera, che nel suo nucleo raccoglie secoli di vita e fatiche in alta quota. Gente laboriosa e orgogliosa i Walser, che hanno individuato questa valle, la Val Rovana, chiusa e impervia, per costruire una delle loro comunità partendo dalle montagne del Vallese per raggiungere poi mezza Europa, dal Ticino ai Grigioni, dal Liechtenstein all’Austria per non dimenticare Francia e Italia.

E per avere un’idea di ciò che ha fatto e continua a fare questo popolo non si può non entrare nel Museo Walser (Walserhaus), fondato nel 1938, dopo che due anni prima era stata istituita l’omonima associazione, e ubicato in una casa del 1386, una delle più antiche abitazioni rurali perfettamente conservate dell’intero arco alpino. In ogni angolo del museo, suddiviso su tre piani dove il legno regna sovrano, si fa un salto all’indietro proiettandosi nel presente e nel futuro di una scelta di vita alternativa, discosta, che la pandemia ha fatto drammaticamente tornare di moda. Ma proprio qui sta il valore aggiunto della Walserhaus, nella quale si intrecciano tasselli divulgativi, come quello riguardante l’idioma locale, il «Ggurijnartitsch», un tedesco con innesti di francesismi, incomprensibile a chi non è di queste parti, la vita contadina, l’architettura alpina, la storia della migrazione di questo popolo laborioso. E a spiegare la storia, gli arnesi agricoli, gli abiti e le tradizioni dei Walser, in ogni stanza e ambientazione, oltre ad opuscoli e tascabili, sono stati installati alcuni moderni touch screen, che proiettano il museo in una nuova dimensione divulgativa. Tanto più che il Museo etnico di Bosco Gurin è stato insignito del prestigioso Premio Meyvaert al concorso EMYA 2021, riconoscimento a livello mondiale per la valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale e in particolare «per la straordinaria capacità di documentare e mettere in valore il patrimonio culturale materiale e immateriale in un contesto territoriale peculiare, attraverso la sensibilizzazione, il coinvolgimento e la partecipazione attiva della comunità», si legge nella motivazione.

Convenzionalmente un museo è qualcosa di statico, persino polveroso nei suoi reperti, soprattutto quelli legati alla storia e alle tradizioni, ma non è appunto il caso di Bosco Gurin, come ci spiega Cristina Lessmann-Della Pietra, da una quindicina d’anni curatrice della «casa della memoria» walser. «Non si contano gli oggetti, gli abiti, le suppellettili, gli arnesi da lavoro, spesso molto antichi, ritrovati nelle cantine o nei solai che ci vengono donati. Due anni fa, in occasione dell’80° del museo, ad esempio, abbiamo rinnovato l’esposizione, installando i touch screen al posto dell’innumerevole quantità di cartelli appesi, oltre che modernizzato l’impianto di illuminazione. E in molti si sono messi a disposizione per darci una mano, gratuitamente. Stesso discorso per la festa che organizziamo ogni anno a settembre, la “Matzufamm”, che però anche quest’anno come nel 2020 abbiamo dovuto annullare. La Walserhaus propone poi regolarmente – in periodi normali – tutta una serie di attività collaterali, dalle escursioni alle conferenze, pure spesso animate a titolo volontario da persone che abitano a Bosco o che sono originarie del paese. C’è, insomma, un rapporto d’amore profondo fra la comunità e il suo museo», sottolinea la curatrice.

51 anni, «guriner» lei stessa, vive stabilmente a Bosco Gurin con la famiglia. Durante l’anno scolastico fa la maestra elementare nel fondovalle, a Cevio, d’estate manda avanti con il marito un’azienda agricola e poi d’inverno la ritrovi sulle piste ad insegnare a sciare a bambini e ragazzi. Ma è alla Walserhaus che dedica molto del suo lavoro e del tempo libero, cercando di migliorare ancor di più l’attrazione di questo gioiellino di museo etnico incastonato tra le montagne. «Stiamo lavorando ad un progetto impegnativo e anche un po’ ambizioso, creare un albero genealogico molto curato nei dettagli delle famiglie “guriner” che s’insediarono qui 800 anni fa e che sarà esposto in una casa accanto al museo che ci fa da supporto per alcune manifestazioni. Speriamo di poterlo inaugurare entro l’estate del prossimo anno», evidenzia Cristina Lessmann-Della Pietra.

Ma entro la fine di ottobre di quest’anno, quando il museo Walser chiuderà i battenti per andare in un meritato letargo fino a primavera, c’è ancora la possibilità di spingersi lassù ad ammirare il villaggio in versione autunnale e decisamente più abbordabile della peraltro frequentatissima stazione turistica invernale. Tra l’altro Bosco Gurin è stato riconosciuto nel 2020 come uno tra i borghi più belli della Svizzera e dunque vale la pena organizzare una gita fuori porta in Val Rovana per un viaggio nel passato all’interno del villaggio o visitando le stanze e gli allestimenti originali del museo o della tipica torba, che sorge accanto, con all’interno una ricostruzione fedele di una stalla e di un magazzino walser. «La torba è un classico esempio dell’arguzia contadina dei Walser. A Bosco Gurin ce ne sono ancora una quindicina ancora perfettamente conservate. La torba è una costruzione in legno che somiglia a una palafitta. È infatti edificata su uno zoccolo di muratura che normalmente ospitava la stalla o un ripostiglio. Per evitare l’assalto dei topi e conservare il raccolto per tutta la stagione invernale, i walser studiarono e realizzarono una barriera architettonica. La parte superiore di legno della torba è isolata da un certo numero di “funghi” costituiti dal gambo di legno sormontato da una lastra di granito rozzamente arrotondato. Ed è questo fungo con la testa di pietra che impediva ai topi di raggiungere la cella granaria, preservando anche dall’umidità la segale e l’orzo che venivano custoditi all’interno», ci spiega la curatrice della Walserhaus. E dalle sue parole trapela un certo orgoglio per l’ingegno dei suoi avi che lei, con dedizione e competenza, contribuisce egregiamente a tramandare.