Bibliografia

Cohen K.M. et al. (2013). The ICS International chronostratigraphic Chart. Episodes 36, 199-204.

Cooper A. H.et al. (2018). Humans are the most significant global geomorphological driving force of the 21st Century. Anthropocene Review, 5, 222-229.

Crutzen P.J. & Stoermer E.F. (2000). The “Anthropocene”. Global Change Newsletter 41, 17-18.

Hua Q. & Barbetti M. (2004). Review of tropospheric bomb 14C for carbon cycle modelling and age calibration purposes. Radiocarbon, 46, 1273–1298.

Summerhayes, C. & Zalsiewicz, J. (2018). Global warming and the Anthropocene. Geology Today, 34, 194-200.

Turney C. S. M. et al. (2018). Global peak in atmospheric radiocarbon provides a potential definition for the onset of the Anthropocene Epoch in 1965. Scientific Reports, 8 (3293).

Waters C.N. et al. (2014). A Stratigraphical basis for the Anthropocene. Geological Society, London, Special Publication, 395, 321 pp

Waters C.N. et al. (2015). Can nuclear weapons fallout mark the beginning of the Anthropocene Epoch? Bullettin of the Atomic Scientist, 71(3): 46-57.

Waters C.N. et al. (2016). The Anthropocene is functionally and stratigraphically distinct from the Holocene. Science, 351 (6269), 137.

Waters, C.N. et al. (2018). How to date natural archives of the Anthropocene. Geology Today, 34, 182-187.

Williams, M. et al. (2018). The palaeontological record of the Anthropocene. Geology Today, 24, 188-193.

Zalasiewicz J., Waters C.N. & Williams M. (2014). Human bioturbation, and the subterranean landscape of the Anthropocene. Anthropocene, 6, 3-9.

Zalasiewicz J. et al. (2014). The technofossil records of humans. The Anthropocene Review, 1, 34-43.

Zalasiewicz, J. et al. (2018). The Anthropocene. Geology Today, 34, 177-181. 


Un'epoca geologica umana?

Geologia - Antropocene: resterà qualche testimonianza della nostra attività come monito per altre specie che in futuro fossero in grado di leggere gli strati di roccia?
/ 06.01.2020
di Rudolf Stockar

Cuernavaca (Messico), 22 febbraio 2000, Meeting dell’International Geo- sphere-Biosphere Programme. Gli scienziati espongono i loro studi sui drammatici cambiamenti causati dall’attività umana nell’Olocene, l’epoca geologica iniziata 11’700 anni or sono e tuttora in corso. Paul Crutzen, premio Nobel per gli studi sul buco dell’ozono, ascolta con crescente frustrazione. Udendo per l’ennesima volta la parola «Olocene» perde la pazienza ed esorta i colleghi a riconoscere come non si viva più nell’Olocene ma (e fa una pausa cercando ispirazione)… nell’Antropocene!

L’esternazione ebbe l’effetto di un catalizzatore e il termine prese il volo. Prima nel mondo accademico, divenendo titolo d’intere riviste. Poi nei media e nel parlato quotidiano. Antropocene, l’«Epoca dell’uomo», in cui i cambiamenti del mondo naturale sono attribuiti all’attività di quest’ultimo. Per la prima volta nella storia geologica, l’umanità si trovava a essere consapevole testimone, se non artefice, della transizione tra due epoche. Solo i geologi accolsero il concetto con scetticismo. Paradossalmente, verrebbe a pensare, visto che si tratta dei custodi del tempo della Terra. Ma in fondo il motivo era proprio questo.

Basandosi sulle rocce che ne rappresentano l’archivio, il tempo geologico è suddiviso in unità contenute gerarchicamente l’una nell’altra, come in una Matrioska. Gli eoni (miliardi di anni) comprendono le ere a loro volta suddivise in periodi, epoche ed età (migliaia di anni). Ufficialmente viviamo nel Meghalayano (iniziato 4200 anni orsono), l’ultima età dell’epoca Olocene a sua volta appartenente al periodo Quaternario (da 2,58 milioni di anni) dell’era Cenozoica (da 66 milioni di anni) infine compresa nel Fanerozoico (eone, da 541 milioni di anni). La suddivisione del tempo è ancorata nella Scala cronostratigrafica internazionale, la scala del tempo geologico. Scala che, per chi si occupa di storia della Terra e della vita, ha la stessa importanza della tavola periodica per un chimico. È la base di tutto. Il tempo, si sa, è astratto e la Scala lo esprime in «unità cronostratigrafiche», che ne rappresentano la manifestazione, permettendo di «toccarlo». 

Sono, infatti, le rocce depositate in quel dato intervallo, l’archivio che ne conserva i testimoni, siano essi segnali chimici o fisici, oppure fossili. Da oltre due secoli i geologi leggono prima minuziosamente quest’archivio e poi, di fronte all’evidenza di segnali distintivi (quali l’estinzione o la comparsa di nuove forme di vita), pongono dei limiti precisi suddividendo il tempo in base a essi. Con l’Antropocene accade il contrario. Un’epoca è stata proposta prima di considerare il suo potenziale di conservazione nell’archivio della Terra che permettesse di fissarne un inizio o, se si preferisce, una base.

Crutzen propose quale base dell’Antropocene l’inizio della Rivoluzione Industriale del XVIII secolo. Il segnale più evidente, soprattutto per un chimico dell’atmosfera, sarebbe rappresentato dalla crescita dal 1750 dei livelli di CO2 (e altri gas serra come CH4 e N2O). Da allora le concentrazioni di CO2 sono cresciute da 280 ppm (parti per milione) a 410 ppm, e aumentano oggi al tasso di 20 ppm/decade. Sono valori sconosciuti nel resto dell’Olocene e per trovarne di simili occorre tornare indietro di 3 milioni di anni, al Pliocene, caratterizzato da concentrazioni di CO2 intorno a 450 ppm, cui facevano eco temperature e livello marino superiori rispettivamente di 2°C e 10 m rispetto a oggi. L’aumento della temperatura globale di 1,2 °C dal 1860 e l’attuale tasso d’innalzamento del livello marino di 3 mm/anno rendono un tale scenario tutt’altro che inverosimile. 

La crescita dei livelli di CO2, e in genere il cambiamento climatico, sono però troppo graduali per tracciare l’inizio della nuova epoca. Inoltre la Rivoluzione Industriale fu un evento diacrono, aree come Cina e India la conobbero infatti solo due secoli dopo. L’evento pertanto non esprime la crescita critica d’influenza umana a livello globale. È tuttavia innegabile che l’inizio dello sfruttamento dei combustibili fossili abbia aperto la strada a una marcata deviazione della bio-geosfera dalla sua precedente traiettoria evolutiva.

Istituito nel 2008 in seno alla Commissione internazionale di stratigrafia, l’Anthropocene Working Group (AWG) nel 2016 ha riconosciuto l’Antropocene come distinto dall’Olocene e il 21 maggio 2019 ha individuato il suo possibile inizio nella metà del XX secolo. Corrisponderebbe pertanto alla «Grande Accelerazione», l’esplosione dell’impatto dell’uomo sulla Terra successivo alla Seconda guerra mondiale, che ha prodotto cambiamenti globali tali da lasciare una chiara impronta geologica.

Il segnale biologico è quello più veicolato dai media ma non il più evidente. Secondo l’AWG, i tassi di estinzione attribuiti all’impatto dell’attività umana sulle specie viventi, per quanto in drammatica crescita, sono tuttavia ancora lontani da quelli propri di un’estinzione di massa, corrispondente alla perdita di almeno il 75 per cento delle specie. L’inizio dell’Antropocene non può quindi essere attribuito a un tale evento, anche se esso potrebbe verificarsi in 3 secoli se il trend attuale fosse mantenuto. In tal caso, però, aprirebbe un’epoca che porterebbe questo nome solo se la nostra specie fosse tra le sopravvissute. 

Oggi più evidenti sono piuttosto gli effetti dell’introduzione, volontaria o meno, di specie alloctone da parte dell’uomo che, di fatto, ha mischiato il mazzo di carte degli esseri viventi modificando la biologia della Terra e di conseguenza anche la futura paleontologia. L’uomo è tuttavia divenuto anche il maggiore agente geomorfologico, surclassando i processi erosivi naturali. Verso il 1950 il volume di sedimenti mobilizzato per le costruzioni e l’estrazione di minerali raggiunse quello riversato dai fiumi negli oceani, arrivando poi nel 2015 a superarlo di 24 volte. 

Abbiamo resettato anche il regno minerale, in cui la sintesi di composti cristallini inorganici ha portato a una diversificazione che non ha precedenti nella storia della Terra. Abbiamo creato nuove rocce, come le ceramiche e soprattutto il calcestruzzo; dal 1950, la produzione di quest’ultimo è esplosa tanto che oggi sarebbe sufficiente a ricoprire ogni metro quadrato di superficie terrestre con un chilo di cemento. 

Abbiamo creato composti come la plastica, e la microplastica caratterizza pure i sedimenti «antropocenici» dei fondali oceanici più profondi già a partire dagli anni Cinquanta. Abbiamo prodotto un’enorme quantità di manufatti sempre più diversificati e oggi disseminati dappertutto a costituire potenziali futuri «tecnofossili». Abbiamo creato «antroturbazioni», testimonianze di vita come reti stradali e gallerie estese fino a migliaia di metri di profondità. Tracce sconosciute nel passato geologico e con un alto potenziale di conservazione nell’archivio delle rocce.

Potenzialmente quindi iniziata a metà del secolo scorso, l’epoca dell’Antropocene per essere tale deve essere riconoscibile attraverso un segnale istantaneo su scala geologica e sincrono su scala globale. Una sorta di segnalibro per l’inizio del nuovo capitolo della storia della Terra, tradizionalmente individuato, negli strati che meglio lo testimoniano, dalla posa del cosiddetto golden spike, il chiodo d’oro. L’AWG individua questo segnale nei radionuclidi artificiali immessi dai test atomici in atmosfera tra il 1945 e il 1963, anche se fu in realtà solo con «Ivy Mike», la prima bomba termonucleare esplosa sulle Isole Marshall il 31 ottobre 1952, che il fallout nucleare iniziò a disperdersi, e accumularsi, globalmente. 

Il Plutonio 239 (239Pu) in particolare, quasi assente in natura prima dell’«era atomica», si lega fortemente ai sedimenti ed è considerato uno dei segnali più efficaci. La sua concentrazione aumentò bruscamente nel 1952, raggiungendo un picco nel 1963-1964 e poi diminuendo in seguito al bando parziale dei test nucleari del 10 ottobre 1963. Il Carbonio 14 (14C) è forse il radionuclide con maggiore area di distribuzione poiché entra nella molecola della CO2 diffondendosi poi a livello globale. Emblematico il caso del picco di 14C registrato dal legno degli alberi della sperduta isola subantartica di Campbell, datato a ottobre-dicembre 1965. Questo picco di radionuclidi del 1963-1965 è un segnale istantaneo a scala geologica e sarà a lungo riconoscibile nelle rocce, per 50mila anni nel caso del 14C, oltre il doppio in quello del 239Pu. Così, se l’Antropocene in quanto epoca fosse formalmente accettato, e lo sapremo non prima del 2021, il suo inizio rischierebbe di coincidere con le conseguenze di una contaminazione ambientale che, senza esserne la causa, ne fornisce una datazione precisa.

Se «Antropocene» rimanesse invece un termine informale, dovremo comunque convivere con la constatazione che le tracce dell’umanità sono già tali da lasciare uno strato più evidente di quello d’iridio usato per distinguere il limite tra Mesozoico e Cenozoico. Strato che è attribuito all’impatto del meteorite che concorse a cancellare il Cretaceo e il suo mondo di dinosauri e altri giganteschi rettili.