Scheda

Nata a: Locarno.
Età: 44.
Abita in: Capriasca.
Lavora a: Scuole Medie di Tesserete e Centro Federale d’Asilo di Balerna.
Hobby: cucinare, leggere, nuotare.
Rimpianto: non mi sembra di averne. Se proprio devo cercarne uno, credo che mi sarebbe piaciuto frequentare una scuola per traduttori e interpreti.
Sogno nel cassetto: imparare bene il persiano.
Amo: il cibo cucinato con amore, guardare negli occhi le persone.
Non sopporto: la mancanza di organizzazione e di progettualità.
La mia foto preferita: io da bambina, sorridente, seduta sul ripiano della cucina mentre lecco un mestolo sporco.

Tre momenti chiave di una vita

Cindy, lei ha a disposizione 666 battute per illustrare tre momenti topici della sua vita:

1. Gennaio 2004. Dopo un mese in giro per il Mali ho capito che non volevo più vivere in Svizzera. Senza pensarci molto ho comprato un biglietto di sola andata per Istanbul, dove ero già stata sette anni prima grazie ad un viaggio a sorpresa organizzato da mio marito.

2. Febbraio 2012. A Istanbul nevicava quella notte. Io e mio marito abbiamo preso un taxi e siamo andati all’ospedale, dove poche ore dopo sarei diventata mamma. Non ho una buona memoria, ma quella notte me la ricordo in ogni piccolo dettaglio. Ho avuto il privilegio di vivere il miracolo della vita!

3. Ogni volta che uno dei miei studenti mi dice «Grazie, teacher». Allora mi rendo conto che qualcosa di buono l’ho fatto e spero sempre che i semi di curiosità e speranza che lascio loro in dono un giorno germoglieranno.


Un’anima migrante di nome Cindy

Incontri (6) – Mamma, docente, studente e viaggiatrice, Cindy Broggini è momentaneamente «ai box» per garantire ai suoi figli un’infanzia sicura e felice, ma… il suo sogno è ripartire
/ 22.08.2022
di Matilde Casasopra

Arriva vestita d’estate con un sorriso che, prima ancora che in viso, glielo leggi negli occhi. Sistemati i bimbi, riassettata la casa ecco che c’è lo spazio per un incontro, in un ritaglio di tempo preparato accuratamente perché Cindy Broggini, oltre ad essere docente di lingua ed integrazione alla Scuola media di Tesserete è anche impegnata, per tre giorni la settimana, al Centro federale richiedenti l’asilo di Balerna dove si occupa della scolarizzazione dei richiedenti asilo che giungono in Svizzera da ogni parte del mondo. Poi, come se non bastasse, sta seguendo il corso di «specialista della migrazione» – un corso che esiste in Svizzera da diversi anni, ma che in Ticino è solo alla seconda edizione – e che nel maggio del 2023 la porterà a sostenere gli esami federali.

Ma chi è Cindy? Una parente di Wonder Woman?
Assolutamente no. Sono semplicemente una persona che, nell’interazione con gli altri, vuole dare il meglio di sé fondando il tutto su competenze specifiche e reali. Vede, nel mio lavoro di docente al Centro federale richiedenti l’asilo, mi trovo ad interagire con bimbi e ragazzi di età compresa tra i 4 e i 15 anni. Vengono da Paesi confrontati non solo con la guerra, ma anche la povertà o, addirittura, l’impossibilità di viverci. Alcuni di loro sono analfabeti anche nella loro lingua madre, altri non conoscono l’alfabeto latino, ma ci sono anche ragazzi con un buon livello di scolarizzazione.

Stiamo parlando dei minori ucraini?
No. Gli allievi ucraini non sono passati dal centro di Balerna, ma alcuni sono stati miei allievi alle scuole medie di Tesserete. Io a Balerna lavoro soprattutto con minori non accompagnati provenienti da Afghanistan, Iraq, Siria, Turchia, Nordafrica e Africa occidentale. Da questi paesi arrivano ragazzi praticamente tutti i giorni. A Balerna restano per un massimo di 140 giorni e poi… vengono destinati, secondo una ripartizione prestabilita a livello federale, ai vari Cantoni. Sono pochi quelli che restano in Ticino e, quei pochi, sono assegnati al Foyer di Paradiso. È lì che ritrovo alcuni dei minori che ho seguito dal loro arrivo in Svizzera ed è sempre emozionante vedere che il tuo lavoro, il tuo impegno, sono serviti a qualcosa.

Tipo?
La ragazzina afghana giunta da noi qualche anno fa. Di lingua madre dari, parlava poco inglese e nemmeno una parola di italiano. Ora si è perfettamente integrata. Parla italiano e sta seguendo la formazione come apprendista metalmeccanica. È l’unica donna in Ticino che sta seguendo questo percorso. Sono molto orgogliosa di lei.

Ha chiesto lei di occuparsi di giovani di questi Paesi?
Ni. Penso sia stato soprattutto il mio curriculum a suggerire quest’impostazione. Eccezion fatta per l’Afghanistan – dove avevo promesso a mia madre di non mettere piede durante il mio viaggio di nozze – in diversi Paesi ci sono stata e in alcuni ho anche soggiornato.

Mi sta dicendo che quando si è sposata ha viaggiato in Asia?
Sì, ma… la storia è un po’ più articolata di così. Quando, con mio marito, siamo partiti per il viaggio di nozze – un viaggio che è durato 18 mesi – non abitavamo in Ticino, ma a Istanbul. Istanbul è, in definitiva, la mia città, la mia casa. Lo è stata per tanti anni. Se penso che quando avevo finito il liceo sapevo a malapena dove fosse!… Eppure Istanbul è diventata il mio genius loci. Sintetizzando: dopo la laurea e qualche esperienza lavorativa in Ticino (tra cui anche i corsi d’italiano agli operai stranieri impegnati nel cantiere Alptransit) ho annunciato a mia madre che partivo per Istanbul. Lei pensava a una vacanza breve. Ho dovuto spiegarle che avevo intenzione di fermarmi lì perché avevo bisogno di spazio. Ha capito che era vero quando mi ha visto partire con la mia valigia e, aggiungo io, una buona dose d’incoscienza. Non conoscevo nessuno in quella città, ma… volevo partire e sono partita.

Un’avventura dei tempi moderni?
Non direi un’avventura. Direi piuttosto un’esperienza importante nella quale ho finito per coinvolgere quello che allora era il mio ragazzo e che da quasi 20 anni ormai è mio marito. A Istanbul ho svolto diversi lavori fino ad essere, mi passi il termine, «sponsorizzata» per un anno dal Consolato svizzero grazie al progetto «Presenza Svizzera», per la promozione e diffusione, appunto, della presenza svizzera all’università di Istanbul. Qui, all’università, dopo quest’anno sono stata assunta come lettrice di ruolo.

Lei, dunque, insegnava italiano agli studenti turchi… E perché non ha proseguito?
Perché il mio contratto doveva essere rinnovato, ma… ero incinta e mi è stato fatto notare che una docente universitaria non diventa mamma durante l’anno accademico, ma nel periodo delle vacanze. È così che ho perso il lavoro, ma… non sono rimasta sola e quella della maternità è stata una full immersion in una cultura per la quale la nascita di una nuova vita è davvero un evento che coinvolge l’intera comunità.

Scusi, ma… non è così un po’ dappertutto?
Certo! Ovunque una nuova vita è celebrata con gioia, ma lei faccia il conto che qui da noi, ad esempio, dopo il parto uno torna a casa e organizza la sua vita e quella della sua famiglia con la presenza di un esserino in più. A Istanbul, invece, quando è nata mia figlia Nuria, dopo il parto – avvenuto ambulatorialmente in un ospedale privato in una notte in cui in città nevicava –, tornati a casa, abbiamo trovato amiche e amici che si stavano occupando praticamente di tutto. Quella notte ho pensato fossero solo i festeggiamenti del primo giorno e invece… invece per 40 giorni tutti loro si sono fatti in quattro perché… la neo-mamma potesse occuparsi della sua bimba: dalle pulizie della casa alla spesa, dalla preparazione dei cibi al bucato.

Sembra una fiaba…
… che ha anche un lato meno bello. Secondo la tradizione, la mamma non deve uscire di casa per 40 giorni. Io ho resistito per una settimana e poi, di soppiatto, sono andata al mercato dove, seppure amabilmente, sono stata sgridata dalla verduraia del quartiere. Quel che è certo è che quando mia madre è venuta a trovare la sua nipotina non credeva ai propri occhi e che, anche oggi, se io dovessi dirle dov’è la mia casa risponderei: Istanbul.

Perché, allora, tornare in Svizzera?
Perché volevo che mia figlia avesse un’infanzia felice e sicura. Io ho avuto un’infanzia bellissima. Ho giocato nei prati e fatto il bagno nel fiume. A Istanbul nel quartiere dove abitavamo c’erano tanto cemento e qualche siepe. Al parco giochi era un continuo: non toccare questo, fai attenzione a quello. Poi da docente mi sentivo poco a mio agio con il sistema scolastico turco. Ci siamo guardati e, con mio marito, abbiamo deciso di rientrare. Una scelta difficile che però andava fatta. A volte mi dico che forse è perché ho bisogno di un mondo aperto che, da quando sono tornata, ho deciso di occuparmi di integrazione e migrazione. Anche se, da migrante privilegiata, ho vissuto molti anni con addosso l’etichetta di straniera e penso sia nato anche da qui il mio interesse per l’altro.

Fine del viaggio, fine dei sogni?
O no! Assolutamente no. I miei figli – Nuria e Giona – sanno benissimo che a 18 anni andranno a vivere fuori casa perché il futuro da «sdraiati» non fa parte delle loro possibilità. A quel punto tornerò a viaggiare, a muovermi. La mia mèta, il mio sogno è il mare e, soprattutto, poter continuare a conoscere il mondo in cui vivo, un mondo in cui, anche noi sedentari, siamo migranti.