Una visione forte per il territorio

Intervista – Lo sguardo sullo sviluppo urbanistico del Ticino dell’architetto Andrea Bassi
/ 27.03.2017
di Stefania Hubmann

Ginevra e Ticino, due realtà molto diverse dal punto di vista dello sviluppo urbanistico, caratterizzate però dalla presenza di una medesima forza: l’architettura. Nel Cantone romando questa forza ha radici lontane e negli ultimi vent’anni gli architetti, uniti, si sono impegnati per difenderla. La presenza di un architetto cantonale come pure la diffusione della pratica del concorso sono conquiste che possono ispirare anche il Cantone Ticino.

Andrea Bassi, cresciuto a Lugano ma formatosi a Ginevra, è fra i protagonisti di questa generazione di architetti. Dal 2005 nella città sul Lemano è contitolare con Roberto Carella dello studio BASSICARELLA ARCHITECTES, attualmente impegnato anche nella costruzione del nuovo campus universitario SUPSI a Mendrisio. Il progetto si distingue per l’appartenenza alla struttura territoriale, la semplicità e la materialità, concetti chiave dell’operare di BASSICARELLA.

In occasione dell’inaugurazione della mostra «Import Geneva, costruire Ginevra: progetti contro sfide» promossa da i2a istituto internazionale di architettura nella limonaia di Villa Saroli a Lugano (aperta fino a domani), Andrea Bassi ha presentato le buone pratiche ginevrine. A margine di questo evento ci ha offerto il suo sguardo sull’evoluzione dell’architettura, con un occhio di riguardo per il Ticino.

Arch. Bassi, quali sono oggi le sfide di praticare l’arte del costruire in ambienti altamente complessi come le città?
Costruire per la città e non contro di essa è la formula che il critico di architettura Martin Steinmann utilizza per descrivere un’attitudine di progetto che riconosce nel nostro mestiere un atto di continuità urbana. Direi che la dimensione artistica presente in ogni progetto non rifiuta le regole ma cerca piuttosto di sublimarle. L’architetto non può e non deve distanziarsi dalla complessa realtà che lo circonda, non credo nell’artista solitario, penso al contrario che la libertà la si trovi nella partecipazione. Queste scelte sono completamente condivise con i miei colleghi Roberto Carella, Stefano Marello e Christine Emmenegger. Tale postura riconosce nell’architetto una dimensione di responsabilità nei confronti della collettività. Da sempre i monumenti, gli edifici pubblici e quelli collettivi rappresentano eccezioni che possono o devono derogare alla regola; noi parliamo del corpo della città quali le abitazioni collettive, i luoghi di lavoro e di servizio. Il mestiere dell’architetto è un lungo percorso di esperienze multiple, più quello di un generalista che quello di uno specialista, un percorso fatto di osservazione e di ascolto nel quale la costanza e la concentrazione sono essenziali per rispondere alla complessità attuale.

Quale importanza riveste il concorso d’architettura in ambito pubblico e privato?
Il concorso di architettura è lo strumento ideale che concentra questa sfida alle regole comuni. Si tratta infatti di una competizione nella quale siamo confrontati l’uno all’altro sulle stesse basi di paragone. Se il bando e chi giudica sono ben preparati e coerenti con la responsabilità che incombe loro, il concorso di architettura è un fantastico spazio di libertà per le idee. Grazie al principio di analisi per confronto anche i non specialisti possono farsi un’opinione, anzi il loro avviso è essenziale in quanto permette di introdurre molteplici punti di vista. Il concorso come è praticato da noi da lungo tempo, secondo le regole SIA, è una soluzione valida per ogni tipo di progetto o contesto.

Il Canton Ginevra ha da tempo un architetto cantonale, ruolo che si può far risalire all’architetto-urbanista, nonché consigliere di Stato, Maurice Braillard, autore negli anni Trenta del piano direttore cantonale. Qual è oggi il ruolo di questa figura?
La figura dell’architetto cantonale ha un ruolo essenziale nel dibattito professionale e collettivo. Ginevra ha avuto diverse esperienze, non sempre positive, però direi che ha imparato sbagliando. Rispetto al Ticino la realtà territoriale e amministrativa è diversa. Il Cantone ha in effetti un potere decisionale maggiore di quello dei Comuni e della Città. Ciò permette di avere una struttura gerarchica chiara. Inoltre il territorio ginevrino è ridotto e con una struttura semplice, dove l’agglomerazione densa è unica e si trova al centro dello stesso. In Ticino l’architetto cantonale avrebbe quindi un ruolo ancora più difficile, perché dovrebbe integrare una costellazione territoriale più complessa. Mi piace pensare al ruolo federatore che l’architetto Rino Tami ha avuto nella costruzione dell’autostrada in un paesaggio ricco e variegato. Oggi Francesco Della Casa, l’architetto cantonale di Ginevra, ha perfettamente capito il suo ruolo: funge da collimatore di idee e da moderatore, è un ottimo comunicatore e sa riassumere i diversi livelli di informazione. Noi non lo vediamo come uno specialista o un funzionario, ma come un passatore di idee.

In che misura il Cantone Ticino può ispirarsi al modello ginevrino, considerato un pioniere delle politiche pianificatorie a livello nazionale?
La storia di Ginevra e il suo territorio sono molto differenti da quelli del Ticino e quindi difficilmente comparabili, però vorrei ricordare che un ottimo esempio è dato dal Vallese che ha un architetto cantonale da diversi decenni con un ruolo chiaro e costante. Il Canton Vallese è interessante perché ha una struttura territoriale e giuridica più simile a quella ticinese: una lunga valle con diverse Città e Comuni dotati di uno statuto più indipendente dal Cantone.
Per il Ticino ritengo essenziale che politica, amministrazione e associazioni professionali si intendano sul ruolo dell’architetto cantonale. Quello che si può imparare dalla complessa esperienza di Ginevra è che l’architetto cantonale deve essere una figura risultante da un accordo fra i tre attori sopracitati e non imposto l’uno all’altro. Deve essere una persona che faccia da transizione fra queste entità, sufficientemente indipendente dalle procedure troppo «quotidiane» dell’amministrazione per mantenere una visione ampia sul territorio. Deve infine essere un buon comunicatore e mediatore, in grado di accettare e stimolare la cultura del progetto, quindi i concorsi in generale.

Cosa rappresenta per lei il progetto del campus universitario SUPSI in fase di realizzazione a Mendrisio?
Una grandissima soddisfazione personale, sia professionale che intima. È il risultato di un concorso al quale hanno partecipato architetti di fama nazionale e internazionale, quindi sono orgoglioso di aver potuto rispondere alle aspettative della SUPSI, del Cantone e del Comune di Mendrisio. Grande soddisfazione intima perché ho fatto i miei primi passi nell’architettura studiando all’allora Scuola Tecnica Superiore di Trevano oggi SUPSI DACD. Poter costruire la scuola nella quale ho studiato è il racconto di un bel percorso di vita. Infine, provo grande piacere nel tornare a lavorare in Ticino. Mi sento come un emigrante che ritorna nella sua terra e sente di essere accolto a braccia aperte.

Qual è, più in generale, il suo sguardo sul territorio ticinese e sulle sue recenti trasformazioni?
Il Ticino vive le trasformazioni del suo territorio in maniera comparabile a quello che succede un po’ in tutta la Svizzera. Ho però la sensazione che subisca molteplici conseguenze proprie a un paesaggio ricco e variato, alla situazione di confine con le sue problematiche politiche e sociali, come pure al fatto di essere un grande asse europeo di passaggio in piena mutazione. La fusione dei Comuni poi, pur essendo un fatto positivo, rappresenta una nuova realtà da gestire. Le profonde trasformazioni che investono il turismo, le banche, l’industria e i servizi implicano dal canto loro una visione più complessa dell’orientamento da scegliere. A Ginevra, invece, le banche private, l’orologeria e le organizzazioni internazionali garantiscono al Cantone fondamenta più solide; per il Ticino queste basi sono meno chiare e strutturanti.
Mi sembra inoltre che il Ticino abbia gestito meno bene lo zonning, ossia la divisione del territorio per zone urbanistiche funzionali. In quelle che erano le periferie spesso i capannoni industriali si confondono con le abitazioni, gli edifici amministrativi e i centri commerciali. Oggi, nel contesto della città diffusa e della metropolizzazione, tali micro-realtà producono un’eterogeneità priva di qualità. La quasi assenza del disegno dello spazio pubblico e la bassa presenza di trasporti pubblici vengono a complicare ulteriormente la situazione.
Ginevra ha adottato di recente il piano direttore cantonale 2030, dopo una lunga trattativa con i Comuni e con una grande coordinazione fra i diversi dipartimenti cantonali. Tale decisione permette oggi una visione forte sul territorio. Il Ticino è in un periodo di trasformazione profonda con un’economia instabile. In questi momenti di incertezza credo che un piano direttore cantonale forte, intimamente in dialogo con i Comuni, sia essenziale per il suo futuro.