Tra natura, ferro, acqua e alpeggi

Una sinuosa ma agevole strada cantonale percorre tutta la Valle Morobbia e in 12 km si passa dalla pianura alla montagna. Si arriva all’ex dogana di Carena, ultimo baluardo di civiltà prima di affrontare a piedi o in mountainbike i sentieri che portano al Passo del San Jorio e al versante comasco, verso il Camoghè a sud e gli alpeggi del Gesero a nord. Sempre da Carena si può raggiungere la zona degli alpeggi e tra questi il Giumello dove si produce un formaggio di gran pregio. La valle dispone di una rete di sentieri di oltre 90 km e fino a qualche tempo fa si disputava una tradizionale e impegnativa corsa in salita, in bicicletta, tra Giubiasco e Carena. Da segnalare due percorsi tematici-paesaggistici come la Via del ferro alla scoperta dei siti siderurgici e minerari che fino all’inizio del XVIII secolo caratterizzavano il territorio dell’alta Valle Morobbia e la Via dell’acqua che mostra come si produce l’energia e la storia dello sfruttamento idrico in Valle Morobbia con la realizzazione del bacino di accumulazione della diga di Carmena.


Una valle è molto più di un quartiere

Valle Morobbia – Negli ultimi anni la periferia montana di Bellinzona si sta ripopolando, grazie anche al moderno Policentro che ospita scolari e spazi civici. Nell’emergenza sanitaria i «morobbiotti» si compattano, con i giovani che aiutano gli anziani a difendersi dal Coronavirus
/ 13.04.2020
di Mauro Giacometti

Valle Morobbia, così vicina ma allo stesso tempo così fuori dal mondo. Abbarbicata tra cime prealpine, vallate, pascoli e boschi, tagliata in due da un fiume che in passato, come oggi, porta acqua fresca, potabile ed energia elettrica sul Piano di Magadino. Diventata nel 2017 quartiere della Nuova Bellinzona e dunque frangia più estrema del territorio cittadino, ha mantenuto nei secoli la sua peculiarità di terra selvaggia, incontaminata, dove la vita è allo stesso tempo una sfida e un privilegio. Una sfida a causa del continuo spopolamento delle regioni periferiche, ma anche un privilegio considerando l’aria incontaminata e il contatto diretto, anche aspro, con la natura.

I «morobbiotti doc» sono accomunati da un forte senso d’identità di valle. D’altra parte questa è una terra affascinante ma dura da modellare. Lo sapevano bene le centinaia di minatori che dal 1400 e fino alla fine del 1800 estrassero il ferro dal cuore della montagna per passarlo ai forgiatori che ne ricavavano attrezzi da lavoro ed armi. Lo sapevano bene le decine e decine di emigranti che, all’inizio del ’900, partirono dai poverissimi villaggi della valle e andarono a cercar fortuna – spesso trovandola – nella lontana California. Lo sapevano bene i contrabbandieri che fino a metà degli anni 60 varcavano il Passo San Jorio con la mercanzia sulle spalle da rivendere per sfamarsi. Lo sanno bene gli allevatori di bestiame, confrontati anche recentemente con le fameliche fauci dei predatori – solo negli ultimi anni si sono registrate tre cucciolate di lupi – che apprezzando particolarmente l’impervio territorio morobbino uccidono ogni anno decine di pecore e capre.

Anche ai tempi del Coronavirus, la comunità di tutta la valle – 950 abitanti tra gli ex comuni di Pianezzo, Sant’Antonio e le rispettive frazioni – si è stretta a difesa dei propri anziani, a cominciare dalle giovani generazioni che si sono subito attivate per consegnare a domicilio delle persone più deboli e a rischio contagio la spesa alimentare ed i farmaci. «Non appena iniziata l’emergenza sanitaria, il gruppo del Carnevale di Pianezzo, tutti ragazzi intorno ai vent’anni, s’è attivato per aiutare i nostri anziani, che non sono pochi. Siamo da sempre una comunità solidale, compatta, e anche le nuove generazioni non si tirano indietro», sottolinea con soddisfazione Adriano Pelli, presidente dell’Associazione del quartiere di Pianezzo, sodalizio costituito un paio d’anni fa proprio per mantenere un filo diretto tra l’estremo lembo cittadino e le decisioni prese a Palazzo Civico. E a proposito di giovani, negli ultimi anni si sta assistendo ad un ritorno di nuclei familiari che scelgono questo territorio discosto come base per viverci, far nascere e crescere i propri figli. Una fuga dalle città e dal caos – in meno di 20 minuti si passa dal Piano ai quasi 1000 m/sm di Carena – seguendo l’invidiabile richiamo della natura e che ha trovato nel Policentro della Morobbia, a Pianezzo, il suo principale faro.

Costata circa 7 milioni di franchi, la struttura polivalente e scolastica, inaugurata nel giugno dell’anno scorso, sta indubbiamente fungendo da catalizzatore per nuovi insediamenti familiari in tutta la valle. «È il nostro fiore all’occhiello – dice Pelli, che come municipale di Pianezzo s’è fortissimamente battuto per veder realizzata l’opera – non solo perché ci permette di disporre di una struttura civica moderna e di spazi attrezzati a disposizione di cittadinanza e associazioni, ma soprattutto perché ci ha consentito di mantenere i nostri scolari in valle. E questo è un viatico importante, se non decisivo, anche per chi decide di venire a vivere qui, costruendo nuove residenze o di tornare ad occupare le vecchie case di famiglia, ristrutturandole».

Lo stesso trend in crescita di popolazione che si registra nell’alta valle, come ci spiega Michela Pini, presidente dell’Associazione del quartiere di Sant’Antonio che raggruppa le ex frazioni di Vellano, Riscera, Carmena, Melera, Melirolo e Carena. «Stanno arrivando nuove famiglie, anche giovani coppie che, lavorando in Città o sul Piano, in un batter d’occhio si ritrovano la sera e durante il fine settimana in un autentico paradiso verde. E chi viene a viverci richiama anche amici e colleghi, con un passaparola che effettivamente ci sta portando molti nuovi residenti. La bellezza della valle e la nostra qualità di vita sono indiscutibili. Anche per la mobilità e i trasporti pubblici, che erano un punto dolente, recentemente si sono fatti molti passi avanti, con un ulteriore incremento delle corse e dei collegamenti con il Piano dalla fine del 2020 con l’apertura della galleria ferroviaria del Ceneri», sottolinea Pini. Da poco s’è anche risolta la diatriba sull’antenna di telefonia mobile da piazzare sul campanile della chiesa parrocchiale di Sant’Antonio, installazione che insieme alla contemporanea posa della fibra ottica, già in corso insieme ai lavori per il nuovo acquedotto, porterà in valle anche la tecnologia più performante e indispensabile, non solo in un periodo di emergenza sanitaria come questo.

Con il ripopolamento in atto, ciò che latita in Valle Morobbia è però la ricettività turistica. Da sempre teatro di escursioni in giornata, a piedi o su due ruote, negli ultimi decenni la valle ha conosciuto la chiusura di molti esercizi pubblici, grotti, osterie con camere. Tanto che i punti di ristoro e soprattutto gli alloggi oramai si contano sulle dita di una mano. «Attualmente ci sono due ristoranti con alloggio nell’alta valle, a Vellano e a Carena, ma entro l’estate dovrebbe riaprire a Pianezzo l’ex ristorante della Posta – spiega Milva Buletti, segretaria della Fondazione Valle Morobbia –. È chiaro però che l’offerta è carente. I turisti che soprattutto d’estate e in bicicletta percorrono la valle non mancano, ma purtroppo non si fermano a soggiornarvi. E pensare che oltre alla bellezza del territorio e ai sentieri montani, abbiamo degli itinerari storico-paesaggistici che molti ci invidiano, come la Via dell’acqua o quella del Ferro, che andrebbero ulteriormente valorizzati e promossi a livello didattico e turistico. Ci stiamo lavorando, nell’ambito del Progetto di sviluppo territoriale della sponda sinistra del Ticino che coinvolge, oltre alla nostra valle, anche i Fortini della fame di Camorino e il nucleo medievale di Prada», evidenzia in conclusione Buletti.