Una ruota che gira

Aria - Dopo la lotta contro i gas di scarico ora tocca affrontare le polveri sottili derivanti da altri tipi di usura stradale
/ 15.08.2022
di Amanda Ronzoni

Secondo una serie di studi compiuti dai quattro giovani fondatori della start up inglese Tyre Collective, che hanno messo a fattor comune competenze di ingegneria e design, la minaccia più consistente alla qualità dell’aria in futuro non arriverà più dal tubo di scappamento dei veicoli, ma, in maniera sempre più significativa, dall’usura degli pneumatici. Teniamo presente che già oggi in Europa, la cattiva qualità dell’aria causa la morte prematura di circa 400mila persone all’anno.

Anche se nelle ultime decadi molto è stato fatto per ridurre le polveri sottili da emissioni esauste, frutto della combustione dei carburanti, il livello di particolato dannoso, soprattutto nelle città, resta alto. Semplicemente è cambiata la sua composizione, che vede ora dominanti le particelle da emissioni non esauste, prodotte dall’usura di altre parti dei veicoli come pneumatici e freni, oltre che dall’erosione del manto stradale.

Sappiamo tutti che le gomme delle nostre auto si consumano nel tempo. Fa però impressione pensare che a livello europeo quest’usura si traduce in qualcosa come mezzo milione di tonnellate di microplastica, che si infila, oltre che nei nostri polmoni, anche nella falda acquifera e in quello che mangiamo. Del resto, dopo la plastica monouso, gli pneumatici sono la seconda fonte di inquinamento da microplastiche negli oceani.

In seguito a una sperimentazione condotta da Tyre Collective in collaborazione con la compagnia di trasporti londinese, si è provato che il consumo giornaliero delle gomme di un bus mediamente ammonta a circa 336 grammi. L’equivalente di un ananas. L’usura degli pneumatici è costante: a ogni frenata, sterzata e accelerata si genera una frizione che consuma gomme e terreno. E con la transizione ai veicoli elettrici, la situazione non è destinata a migliorare, anzi. Se infatti i motori verdi riducono l’emissione di particelle esauste, il loro peso maggiore si traduce in un maggior attrito complessivo del veicolo al suolo. Quello delle polveri non esauste è destinato dunque a diventare un problema crescente che va indagato meglio, affrontato e normato.

In una ricerca condotta tra gli altri da EMPA (Laboratorio federale di prova e ricerca dei materiali), in cinque località della Svizzera, tra il 2018 e il 2019, per indagare l’incremento di polveri sottili PM 2.5 e PM10 in diversi ambienti, ha dimostrato che le concentrazioni aumentano man mano che ci si sposta da zone rurali alle aree urbane e da queste a quelle maggiormente frequentate dai veicoli. Si stima che le emissioni da traffico stradale contribuiscano per più del 75 % in ambiente urbano, mentre le emissioni non esauste vadano a incidere ripetitivamente del 25 % le PM2.5 e del 48% le PM10 sull’incremento dovuto a traffico stradale totale in sito urbano, percentuali che si innalzano ulteriormente – PM2.5 al 49 % e PM10 al 62 % – in ambiente urbano a elevato traffico.

Tracce di rame, ferro, antimonio e bario, causate dall’usura dei freni, ovvero elementi non esausti, sono state rinvenute in quantità crescente sia nel sito urbano usato per il rilevamento, sia in quello ad alto traffico, e il loro incremento è pari in entrambi gli ambienti (fino a 2-3 volte maggiore). Questo significa che il particolato non di scarico si annida non solo nelle aree ad alto traffico, ma anche in quelle urbane generiche. Anche questo studio conclude che la percentuale di particolato non esausto è destinata ad aumentare in parte in seguito all’introduzione di ulteriori tecnologie per il trattamento dei gas di scarico, ma anche con l’allargarsi della flotta di veicoli elettrici.

La soluzione messa a punto da Tyre Collective consiste in un piccolo apparato in grado di catturare e raccogliere le particelle di gomma abrasa direttamente dal veicolo in movimento. In seguito a un confronto multidisciplinare con colleghi del Dipartimento di Aeronautica, il collettivo ha stabilito di posizionare il dispositivo sfruttando il getto di aria derivato dal movimento delle ruote, così da riuscire attualmente a captare in fase di test circa il 60% del particolato prodotto.

Il progetto tuttavia non si ferma qui, ma in un’ottica circolare mira al riutilizzo dei frammenti di pneumatico così raccolti, che vengono separati utilizzando tecnologie tutto sommato abbastanza semplici, destinando le particelle sotto i 50 micron alla rigenerazione e al reimpiego in nuovi settori.