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Maria Rosa Bozzini parteciperà insieme a Marco Franciolli all’incontro per i 90 anni dalla morte di Roberto Donetta in programma il 4 settembre alla Casa Rotonda.


Una passione nata nella stanza del fumo

Incontri - Storia di Maria Rosa Bozzini che negli anni Ottanta contribuì a fondare l’Archivio del fotografo bleniese Roberto Donetta a Corzoneso
/ 01.08.2022
di Sara Rossi Guidicelli

Ci sono vari modi di prendersi cura del territorio e della sua storia. A volte bastano piccoli gesti, ma qui oggi vogliamo parlare di un grande gesto.

Partiamo dal presente. Corzoneso, terrazzo affacciato sulla Valle di Blenio. Ci sono il paese e la frazione di Casserio. A Casserio c’è una casa, rotonda, chiamata appunto Casa Rotonda. Dentro c’è un’esposizione di fotografie di Roberto Donetta. Infatti lì si trova la sede della Fondazione Donetta, che possiede 5000 lastre del fotografo bleniese Roberto Donetta (1865-1932). Ogni anno la Fondazione propone alcuni eventi per mettere in valore l’opera del fotografo di inizio Novecento, importante sia come testimone di un’epoca sia come artista.

Facciamo un passo indietro. Maria Rosa Bozzini, anni Ottanta. Originaria di Corzoneso, è la persona che ha dato il via a questa riscoperta del patrimonio. Amante delle «cose vecchie», legata al suo paese d’origine, un giorno ha deciso di studiare meglio quel personaggio della sua infanzia e le fotografie che aveva lasciato. Maria Rosa non ha mai conosciuto Donetta di persona, però si ricordava che la gente parlava di lui e che lui aveva lasciato – oltre a una cattiva immagine di sé – bellissime immagini importanti per la memoria della Valle e delle persone che l’abitavano.

E così si è messa a cercare informazioni e ha trovato scatoloni pieni zeppi di lastre; al Comune, nella casa parrocchiale e nelle case della gente. Donetta era morto in miseria e antipatia generale e non si aveva idea del valore del suo lavoro. Maria Rosa, invece, fin da giovanissima era stata capace di scorgere nei ritratti di Roberto Donetta una bellezza speciale. «Ho cercato chi aveva una cultura fotografica, perché né io né chi all’epoca mi aiutava in questo inizio di impresa avevamo un’istruzione in tal senso», mi racconta oggi questa signora dallo spirito elegante nella sua casa di Corzoneso.

Mentre raccoglieva piano piano 5000 lastre sparse per il territorio «ho scoperto che non bisognava metterci su le dita! E che le lastre prima di essere sviluppate in fotografie nascondono molti dettagli e quindi permettono alla fantasia di colmare tutte le lacune… mi sono divertita tantissimo», sorride Maria Rosa Bozzini, che durante la prima catalogazione degli anni Ottanta collaborò con Egidia Bozzini e con Giuseppe Donetta. Poi andarono dal direttore del Museo Cantonale Marco Franciolli, che subito riconobbe il valore artistico-culturale dell’Archivio che stava nascendo.

Fu lui a consigliare la collaborazione con il fotografo Alberto Flammer che sviluppò con entusiasmo molte fotografie di Donetta, comprendendone il talento. Nel 1983 organizzarono a Corzoneso la prima modesta mostra di fotografie che ebbe un discreto successo. In quel periodo già da un po’ di tempo aprivano al pubblico un giorno al mese la Casa Rotonda per permettere alle persone di venire, guardare le riproduzioni e provare a riconoscere i nomi, i luoghi e le date delle immagini di Donetta. «Arrivavano le donnine del paese, prima timide, poi sempre più coraggiose. Adagio adagio uscivano discussioni su ogni fotografia; “Qui la Luisa non c’è perché era andata a suonare il vespro…”; “Ti ricordi la scuola, quando il maestro ci diceva…”; “Uh guarda qua questo con tanti capelli, era soprannominato Schiscianügra [schiaccianuvola]…” Quanti ricordi potevano scaturire da ogni foto! Saltava fuori la vita, quello che c’era e quello che non c’era sull’immagine. Avremmo dovuto filmare quei momenti. Purtroppo molte informazioni non le avremo mai, ma qualcosa negli anni siamo riusciti a raccogliere».

Il Comune ha poi restaurato la Casa Rotonda, che oggi è riconosciuta come un gioiello di architettura settecentesca molto particolare e atipica.

«La mia vita si è arricchita», racconta Maria Rosa. «Ho incontrato persone che, senza questo progetto, non avrei mai conosciuto e una realtà con cui non sarei mai entrata in contatto. Ho sempre avuto un mio bisogno di storia, e quindi, per continuare a raccontare dobbiamo fare un altro passo indietro». Torniamo all’infanzia.

La famiglia Bozzini era originaria di Corzoneso ma da piccola Maria Rosa era cresciuta a Giornico. «Secondo me questo è importante», mi dice. «Negli anni Quaranta, in Leventina, c’era un grande fermento culturale. C’erano le cave di granito e vi lavoravano molti fiorentini che oltre a braccia forti avevano portato con sé un certo buon gusto, il canto, il belparlare, un’idea giocosa di vita e di festa».

Maria Rosa, da bambina, dopo la scuola si prendeva una fetta di pane, burro e zucchero e andava in cimitero a guardare i nomi e i volti del passato. Era interessata alle lapidi, non alla terra con le ossa. Perché? Perché era come un album fotografico, racconta. Non erano storie di morte, ma di vita.

Fiorentini e cimiteri… ma c’è un altro aspetto della sua infanzia che ha determinato tutto ciò che è arrivato dopo: la stanza del fumo. «Se non avessi avuto le fotografie della stanza del fumo, non so se avrei fatto tutto quello che poi ha dato avvio alla Fondazione Donetta», mi confida.

E allora entriamo nella stanza del fumo, negli anni Quaranta e Cinquanta, in un pomeriggio di pioggia insieme alla Maria Rosa bambina, che d’estate andava in vacanza a Corzoneso dagli zii. «Per le vacanze estive partivamo da Giornico con bauli di cibo e vestiti, bagagli immensi, gabbie con le galline, insomma era una specie di transumanza. A Corzoneso all’epoca non avremmo trovato tutto quello che comunemente avevamo in Leventina, quindi ci portavamo dietro di tutto. Però quello che c’era nella casa degli zii in Valle di Blenio è stato impagabile e credo abbia attivato la mia curiosità per sempre».

Nella stanza del fumo c’era il ripostiglio dove si metteva quello che non si voleva buttare via, era una specie di solaio disordinato. Un tempo era la stanza dove andava a finire il fumo di tutti i camini di casa, ma poi aveva conservato solo il nome ed era diventata la classica soffitta ingombra di vecchie cose. «Io vi andavo quando era troppo brutto per giocare di fuori e frugavo indisturbata in questa soffitta: mi impressionavano i vestiti delle donne del paese che erano emigrate a Londra. C’erano abiti luccicanti da ballo e una gran quantità di gioielli falsi ma di grande effetto. Il gruppo di teatro del Comune usava questi vestiti che però tenevamo noi nella stanza del fumo perché la nostra casa era in alto e non temeva le inondazioni. E poi c’erano le fotografie di famiglia…».

Ecco da dove nasce la Fondazione Donetta. Lì, in quei momenti solitari e silenziosi è nato l’amore di una bambina per le piccole storie di paese. Sfogliava i ricordi di famiglia, le piacevano. «Ho sempre un pensiero per i personaggi delle foto», continua Maria Rosa Bozzini. «Sono portata a credere che questi personaggi sono soddisfatti di sapere che la propria immagine ha una continuità. Per questo penso che mostrare le fotografie d’epoca ai posteri non possa che far piacere ai nostri antenati. Ma soprattutto credo che sia importante per la Valle di Blenio, la nostra piccola storia che è dentro alla grande storia. E poi anche per Roberto Donetta, che aveva un carattere difficile però a me commuove. Mi commuove per esempio perché gli piacevano i fiori. Gli piacevano veramente. Guarda qua queste foto: buttava via i soldi per fare una lastra con su soltanto dei fiori. Era poverissimo ma era un artista, perché faceva quello che voleva, non quello che lo faceva guadagnare».

E un pensiero va anche alla fotografia, come arte, contro quella eseguita in fretta, in massa, scattata perché altrimenti abbiamo paura di dimenticarci. Invece la fotografia fatta lentamente, raramente, ci aiuta a ricordare, che è un atto diverso dalla paura di dimenticare. Perché ricordare vuol dire: mettere vicino al cuore, ed è un atto d’amore.