Clinica militare federale, edificio Beau Séjour, oggi padiglione A, 1925


Una clinica che racconta la sua e la nostra storia

Novaggio - Nata agli inizi del Novecento come clinica militare è diventata nel corso degli anni un moderno centro di riabilitazione
/ 19.12.2016
di Luciana Caglio

Ci sono edifici a cui spetta il ruolo di testimone d’epoca. È proprio il caso della Clinica militare di Novaggio, nata agli inizi del ’900, fra le colline malcantonesi, e diventata, negli ultimi decenni uno dei più noti ed efficienti centri di riabilitazione del Ticino. In termini concreti e addirittura simbolici, questa trasformazione riflette le tappe dei cambiamenti che hanno segnato la nostra realtà quotidiana sul piano non soltanto medico, ma sociale, anagrafico e politico. Insomma, un itinerario storico rivelatore, che riserva anche curiosità e sorprese. Ci offre lo spunto a ripercorrerlo la recente conclusione dell’intervento di ristrutturazione, opera dell’architetto Pietro Boschetti che, a questo lavoro, ha saputo attribuire un significato dimostrativo: rispettare quel che c’era, senza cedere alla tentazione del recupero nostalgico, puntando invece, sull’integrazione del nuovo per rispondere alle necessità attuali. In altre parole, anziché demolire sconsideratamente, assicurare continuità a una vicenda secolare.

Per trovarne il punto di partenza bisogna risalire al 1899. In quell’anno, Fausto Buzzi Cantone, singolare figura di scienziato curioso del mondo e aperto alle istanze sociali, fece ritorno nel suo Malcantone. Aveva alle spalle una carriera di successo. Laureato in medicina a Ginevra, era emigrato in Germania, dove aveva prestato le sue cure alla famiglia Krupp e a Bismark, per poi diventare primario all’ospedale La Charité di Berlino e, non da ultimo, si distinse con una ricerca in dermatologia, condivisa con l’illustre Ernst Schweninger, che porta i loro nomi. Per Buzzi Cantone, cinquantenne, il rientro in patria non poteva diventare un tranquillo riposo. 

Attivo in politica, nelle file del partito liberale, viene eletto in Gran Consiglio, e non rinuncia alla medicina. Anzi, lancia un’idea d’avanguardia: fa costruire un ospedale, destinato alla popolazione locale: nel 1900, appena fuori Novaggio, sorge Villa Alta. Poco distante, nel 1904, i coniugi Demarta-Schönenberg aprono l’albergo Beau Séjour. E saranno loro, dopo la prematura morte di Buzzi Cantone, nel 1907, a realizzarne il progetto: si chiama Ospedaletto e cura gratuitamente i malati di Novaggio. Nel 1922, un intervento decisivo: il Dipartimento federale militare prende in affitto, e poi acquista, quegli edifici per adibirli alla cura di soldati malati, sperimentando la «terapia del lavoro» anche nei confronti della tubercolosi, che allora imperversava. La popolazione locale, però, si allarma: teme l’insediamento di un vero e proprio sanatorio. Berna corre ai ripari e decide di accettare soltanto «pazienti con tubercolosi non aperta, ossea o convalescenti».

L’era dei sanatori si concluse nel secondo dopoguerra. Vaccinazioni e antibiotici hanno debellato il più temuto male del secolo. E, quegli edifici, che avevano ispirato capolavori letterari, basti pensare alla Montagna incantata di Thomas Mann, devono chiudere o riconvertirsi. Anche a Novaggio ci si adegua. Sotto la guida del dottor Erich Schwarz, ci si rivolge all’ambito delle malattie interne, in particolare al filone delle affezioni della colonna vertebrale, indicativo di tendenza: malattie e infortuni evolvono con i tempi. La clinica si attrezza, con un nuovo impianto per le radiografie e un padiglione per la fisioterapia. Nel 1976, ottiene da Berna un ulteriore credito per dotarsi di un centro del tempo libero e di un piazzale d’atterraggio per gli elicotteri.

A questo punto, siamo negli anni 80, la clinica, diretta dal dottor Frédéric von Orelli, aperta a pazienti civili, percepisce le esigenze di una società, in cui la longevità e la mobilità hanno creato nuove categorie di pazienti. Sono gli anziani, gli sportivi, le vittime di incidenti della circolazione, tutte persone impegnate nel recupero della propria autonomia. L’obiettivo è ormai realistico e rappresenta una sfida da cogliere: trasformare Novaggio in un centro di riabilitazione all’altezza dei tempi. Ma occorrono strutture logistiche e impianti terapeutici in grado di svolgere funzioni sempre più specialistiche. E, con i contenuti , occorre rinnovare l’involucro e, quindi, l’immagine, un fattore che conta anche nell’ambito della sanità.

I lavori di ristrutturazione s’impongono con urgenza. Nel 1988, la clinica, istituto federale, ottiene da Berna i necessari finanziamenti. Ed è, quindi, l’Ufficio federale delle costruzioni a indire il concorso che premia Pietro Boschetti, architetto che, qui, è un po’ di casa. Malcantonese nato a Vezio, avverte istintivamente l’importanza del fattore ambientale, un paesaggio privilegiato da valorizzare. Nasce così un progetto impostato su una visione a tutto campo che non si limita a rimodernare singole costruzioni, ma coinvolge il parco circostante, come «tessuto unificatore». Ne scaturisce, per dirla con Mario Botta, «un villaggio sanitario», dove gli spazi interni dialogano con gli spazi esterni. Tutto ciò tenendo conto delle esigenze terapeutiche e sociali dei pazienti, ai quali offrire percorsi pedonali accessibili, luoghi d’incontro, le condizioni materiali e psicologiche per ripartire. 

Il 2003 segna una data storica sul piano politico: Novaggio che, due anni prima aveva ottenuto la qualifica ufficiale di clinica di riabilitazione SWISS REHA, diventa cantonale. Il Consiglio federale cede il complesso ospedaliero al prezzo simbolico di 1 franco, all’EOC. Per il Cantone significa un altro passo importante sulla via di un’effettiva autonomia sanitaria rispetto a oltre Gottardo. Insomma, il miglior ospedale non è più il treno per Zurigo, come usava dire una volta. 

Proprio la riabilitazione doveva rivelarsi un settore in continua crescita. Il Ticino, osserva Paolo Beltraminelli, direttore del Dipartimento sanità e socialità, registra «un tasso di over 65 fra i più alti in Svizzera» mentre «cambia il concetto stesso di persona attiva che vuole ritornare al più presto alla vita lavorativa». Le statistiche parlano chiaro: dal 2003 a oggi, la clinica ha più che raddoppiato il numero dei pazienti: da 457 a 1003, nel 2015. Sotto la direzione del primario Nicola Schiavone, in carica dal 2008, oltre 100 professionisti si dividono i compiti, collaborando secondo una concezione interdisciplinare, nuova frontiera del progresso medico.

A Novaggio, insomma, ci si muove. E lungo percorsi paralleli: nell’ambito terapeutico e in quello dell’accoglienza. Sono fattori strettamente legati in una simbiosi che è diventata il marchio stesso della clinica: alla cura della persona contribuisce la cura del luogo. È la convinzione che ha guidato Pietro Boschetti nelle varie fasi di una ristrutturazione, avviata nel 2003, proseguita nel 2007/2011 e completata quest’anno. Si tratta, come racconta, di un’esperienza professionale e umana insolita: «Capita raramente che un architetto possa accompagnare per un grande tratto della sua attività la vita di un insieme di edifici, cogliendo ogni momento della sua trasformazione dovuta al mutare della società. Non ho voluto fare niente di spettacolare. Mi considero un artigiano, sensibile alla genuinità dei materiali e alle istanze ambientali».

L’impegno ecologico non ha certo frenato l’impulso innovativo e l’aspirazione al bello. Anzi. L’architetto ne ha interpretato le indicazioni con efficacia. Cioè, privilegiando l’impiego di pietre locali, del legno, dell’acciaio, eliminando la plastica e i fronzoli decorativi, valorizzando la luce naturale, restituendo dignità alle strutture precedenti, puntando sull’armonizzazione fra passato e presente. Anche se, in definitiva, prevale il linguaggio contemporaneo, con segni incisivi, quali la torre dell’ascensore, la passerella, la terrazza lungo l’edificio centrale, le tettoie circolari e, soprattutto, il continuo contatto con il paesaggio. Si torna, così, al punto essenziale: anche il luogo partecipa alla guarigione.