Giacomo Martinetti, San Carlo Borromeo, 1871, Cernesio-Barbengo, Chiesa San Carlo

San Carlo Borromeo di Barbengo agli inizi del 900


Una chiesa solitaria ed enigmatica

Barbengo – Sabato 30 aprile si inaugura la chiesa di San Carlo Borromeo dopo una serie di importanti lavori di restauro
/ 25.04.2022
di Simona Sala

Fosse andata secondo i desideri del suo architetto Costantino Maselli (Casoro, 1836-1901), l’imponente chiesa di San Carlo Borromeo di Barbengo, che non sfugge a chiunque percorra il suggestivo tratto stradale tra Grancia e Melide, non avrebbe probabilmente mai visto la luce. Quando il ricco Carlo Martinetti, originario di Barbengo che aveva fatto la fortuna come impresario a Constantina, Algeria, si rivolge al cognato Costantino Maselli (fratello della moglie Francesca), ha le idee molto chiare. Attraverso la costruzione di una chiesa che si distingua da tutte le altre presenti sul territorio per grandezza e magnificenza vuole ringraziare e rendere omaggio a San Carlo Borromeo, al quale reputa di dovere la fortuna economica di cui si è visto investito dopo l’emigrazione nell’Africa del Nord.

A poco vale dunque la raccomandazione, o consiglio che si voglia, del cognato, che sarebbe più incline a optare per «opere di beneficenza e pubblica utilità», tanto da arrivare ad affermare: «Il nostro comune già possedeva una chiesa parrocchiale e un piccolo oratorio sito a Figino. Insistendo nel suo progetto, egli (Carlo Martinetti, ndr) replicava che fin da quando, nell’età giovanile, si vide obbligato ad emigrare in Algeria per cercarvi lavori ed imprese, che gli avessero procurato uno stato finanziario buono, s’aveva prefisso nel cuore e nella mente di edificare un tempio ad onore di S. Carlo, ed ora in riconoscenza dei benefici ricevuti, era giunto il momento di mettere ad effettuazione il suo proponimento».

Oltre al desiderio di ringraziare in modo plateale e pubblico la grazia ricevuta Carlo Martinetti aveva anche un altro motivo per erigere una chiesa: il nipote Giacomo, allievo prediletto di Ciseri, nel 1871 aveva realizzato la tela San Carlo Borromeo durante la peste, in cui il santo, umile nonostante il proprio status, e forse per questo ancor più amato e venerato dal popolo, recupera amorevolmente una bambina tra i morti di epidemia. È infatti proprio nella frazione di Cernesio che la tela di Giacomo Martinetti fa normalmente bella mostra di sé, perfettamente allineata all’altra sua tela che simboleggia la grandiosità della carità cristiana, Santa Francesca Romana (1896), raffigurata mentre distribuisce il pane ai poveri, ora di nuovo nella collocazione originaria, dopo la parentesi alla Pinacoteca Züst di Rancate, a corredo delle iniziative museali dedicate alla commemorazione del bicentenario del maestro Antonio Ciseri (vedi «Azione» 19.7.2021, 22.11.2021 e 17.1.2022).

Quella che molti oggi chiamano chiesa gotica, o cattedrale, e che è situata in una zona che all’epoca della sua costruzione era del tutto isolata e priva di costruzioni, per le sue geometrie per certi versi distanti dagli edifici sacri presenti sul territorio, fu il frutto di uno studio approfondito da parte dell’architetto Maselli, il cui intento era di creare un luogo capace di ospitare le «fervide preci a Dio». Come dichiara lo stesso architetto, «tentai attenermi nell’elaborazione del progetto allo stile cosiddetto romanico che per il grande sviluppo ottenuto in Lombardia fu anche denominato lombardo e del quale nel nostro Cantone si vedono tuttora alcune semplici e belle impronte in diversi sacri edifici costrutti in quell’epoca». Il risultato, ottenuto dopo importanti interventi sul terreno, «di sufficiente compattezza e resistenza, ma accidentato e declive (…) causa per cui furono necessarie profonde e costose fondamenta, (…) costrutte con circa mille metri cubi di buona muratura di pietrame e malta comune» fu una chiesa molto simile a quella costruita dallo stesso Maselli a Zéralda, in Algeria, dedicata a Santa Maria Maddalena e distrutta con il tramonto del colonialismo. Come sottolinea Luca Brunoni, presidente del consiglio parrocchiale di Barbengo, si ha testimonianza dello zelo edificatorio di Maselli-Martinetti in Algeria, «anche in seguito all’impulso dato all’epoca dal cardinale Lavigerie, allora primate d’Africa e arcivescovo d’Algeri che attraverso la costruzione di chiese desiderava da una parte andare incontro alle comunità di europei presenti sul territorio, e dall’altra, dare un seguito al suo spirito di evangelizzazione».

La scelta dei materiali utilizzati dal Maselli, che accanto al locale porfido rosso, alla pietra di Saltrio, utilizzata per i capitelli e le basi delle colonne, e al granito, vede anche l’impiego ad esempio di malte cementizie (per loro natura poco o per nulla traspiranti), se da una parte denota una visione moderna e proiettata al futuro, dall’altra implica forzatamente un’ancora troppo scarsa conoscenza di quei materiali, soprattutto sul lungo termine. A ciò si aggiungono la posizione in cui è stata costruita la chiesa di San Carlo Borromeo, che presenta una forte umidità e un’insolazione piuttosto ridotta, e una certa eccentricità nella tipologia costruttiva. È stato dunque necessario un importante restauro, curato dall’architetto Armando Dorici, e coordinato per il Consiglio parrocchiale dalla vicepresidente Doris Wohlgemuth-Martelletti. Il restauro ha iniziato a riconsegnare la chiesa (negli anni ’80 la chiesa di San Carlo Borromeo è diventata di fatto della parrocchia di Barbengo – e ora centro della vita pastorale – in aggiunta alla chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio) alla sua bellezza originaria, grazie a importanti interventi sui suoi elementi costitutivi, tra cui, in primis la cuspide del campanile e il risanamento di tutta la facciata. La carpenteria è stata rinnovata e le lastre di rame che formavano la copertura sono state sostituite da lastre in piombo. Il restauro dell’apparato decorativo, affidato a Virginia Mantovani, ha toccato la facciata della chiesa e il suo campanile, con il rifacimento degli intonaci e la restituzione pittorica. Un drenaggio perimetrale, inoltre, garantirà in futuro un migliore convogliamento delle acque sotterranee.

Le opere di intervento non hanno per ora potuto essere comprensive dell’organo, in parte distrutto per incuria e magari anche vandalismi. «Si tratta di un organo proveniente dalla Mascioni di Cuvio (VA) – spiega Luca Brunoni – ed è uno dei primi realizzati dall’azienda. Insieme ad esso andrebbe restaurato anche il mausoleo della famiglia Martinetti, un unicum situato sul lato posteriore della chiesa».

Un lavoro in fieri, dunque, che certamente non si conclude con questo primo intervento ma che potrà comunque essere festeggiato sabato 30 aprile dal parroco di Barbengo don Gerald Chukwudi Ani, dal vescovo Monsignor Valerio Lazzeri e dalla popolazione.