I bambini, futuro della società, oggi come 70 anni fa al centro delle preoccupazioni di un’associazione pionieristica nell’accoglienza delle ragazze madri. I bambini e queste ultime, per offrire loro la possibilità di assumere quel ruolo genitoriale fondamentale per una crescita sana e armoniosa. Casa Santa Elisabetta, situata nel quartiere di Besso a Lugano in una zona oggi residenziale, è sempre lì, rinnovata nella forma e adeguata ai nuovi bisogni della società, ma saldamente legata ai principi che animavano il Padre Cappuccino Aurelio Pometta, iniziatore di questa missione. Oggi aiutare le giovani madri che per motivi diversi rispetto al passato soggiornano pro tempore nella Casa è diventato più complesso sia dal punto di vista residenziale, sia da quello del progetto di vita che si cerca di aiutarle a costruire. La vivacità dei bimbi che si sente quando ci si avvicina a Casa S. Elisabetta fa però subito capire qual è il fine ultimo di tanto impegno.
La discrezione è una delle parole chiave di questa forma di assistenza, per cui la nostra visita si concretizza nell’incontro con la presidente dell’associazione Casa S. Elisabetta, Lisa Ciocco-Cavalleri, e con la direttrice Sandra Castellano. Vicina da molti anni alla Casa la prima, da due anni nella struttura e alla guida dallo scorso gennaio la seconda, le due donne condividono, unitamente all’intero comitato, visione del progetto e approccio professionale di lavoro sociale.
L’attuale forma di assistenza, integrata nei servizi cantonali e con una casistica ampliata, non sarebbe la stessa senza l’operato di Padre Aurelio Pometta, la cui figura è ricordata dalla presidente. «Il Cappuccino, guardiano del Convento di Lugano, iniziò a offrire un tetto sicuro e un ambiente protetto a madri nubili in difficoltà (prima e dopo il parto) già nel 1945. Era un ometto di bassa statura ma con un carattere forte e a volte anche brusco. Agiva sempre con grande senso pratico. Occorrevano lenzuola ed altra biancheria? Andava in un negozio specializzato in centro e chiedeva il necessario. A Casa S. Elisabetta, a quell’epoca praticamente alla periferia della città, veniva ogni giorno e curava anche l’orto. La casa è ancora oggi di proprietà (a seguito di un lascito) dell’Ordine Francescano Secolare della Svizzera Italiana».
Le prime ragazze accolte a Besso affrontavano da sole la maternità in quanto rappresentavano un’onta per la comunità e la loro stessa famiglia o perché giunte dall’estero per cercare lavoro. Oggi le undici camere ospitano giovani donne già gravate da altri problemi, riflesso dei disagi della società contemporanea. Spiega la direttrice: «Queste difficoltà impediscono loro di badare a se stesse e quindi a maggior ragione ai loro figli. Numerosi e difficili sono i casi di mamme tossicodipendenti, un po’ come negli anni Settanta. A queste si aggiungono le donne vittime di violenza con i loro bambini. La nostra accoglienza è basata su un progetto che sull’arco di circa due anni dovrebbe condurle ad una vita autonoma. Seguire le tappe di questo percorso raggiungendo l’obiettivo finale non è però sempre possibile e in ogni caso i tempi tendono ad allungarsi». Malgrado il grande lavoro svolto in collaborazione con gli altri servizi presenti sul territorio, ci si scontra con la mancanza di risorse familiari e soprattutto con le reazioni delle dirette interessate. Precisa Sandra Castellano: «Spesso le ragazze tendono a trasformare questo luogo di prima accoglienza nella loro casa, pensano di avere le conoscenze necessarie per occuparsi di un neonato rifiutando i nostri consigli, sono poco umili e nei casi di violenza non riconoscono la gravità della situazione. Risulta quindi più complesso aiutarle a costruire progressivamente la propria indipendenza (professionale e residenziale) e ad assumere il ruolo genitoriale».
A questo proposito la presidente Lisa Ciocco-Cavalleri ricorda invece la gratitudine delle ragazze accolte a Casa S. Elisabetta nei primi decenni della sua apertura e anche in seguito. «La maggior parte di loro è riuscita a costruirsi una vita e una famiglia. Incontro di tanto in tanto, ormai a distanza di anni, una madre serena che oggi lavora in città. Un’altra testimonianza preziosa è quella di una ragazza aiutata direttamente da Padre Aurelio quando si accorse di essere incinta poco dopo essere arrivata in Ticino dalla natia Calabria. Oggi non solo è madre, ma pure nonna e bisnonna!» Gratitudine è un altro concetto strettamente legato all’attività di Casa S. Elisabetta, che ha potuto contare sulla dedizione di figure chiave fra le quali lo storico presidente Franco Felder, in carica dalla metà degli anni Cinquanta fino all’anno scorso, e Lucia Bernasconi-Mari, alla direzione per 23 anni. Senza dimenticare i numerosi benefattori che ancora oggi sostengono l’associazione.
Sostegni indispensabili per ampliare i servizi di fronte ai crescenti problemi inerenti la maternità e le competenze genitoriali nella nostra società. Se la Casa è un luogo di prima accoglienza (aperto 365 giorni all’anno 24 ore su 24) volto a garantire sicurezza e stabilità a madre e figli, altre attività sono integrate in questo fulcro. Il fiore all’occhiello – unico nel suo genere a livello cantonale – è il nido di protezione per bambini da 0 a 6 anni aperto anche agli esterni. Casa Primula, composta da quattro appartamenti situati a Chiasso, è un’abitazione semi-protetta per la fase di transizione verso l’autonomia, mentre i Punti d’incontro sono quattro spazi neutri dedicati agli incontri sorvegliati fra genitori non affidatari e figli nell’ottica del recupero della genitorialità. Si trovano a Lugano, Bellinzona, Locarno e Chiasso e sono gestiti da personale qualificato. La direttrice si occupa invece personalmente dello spazio di ascolto per minori confrontati con la separazione dei genitori, ascolto che avviene su segnalazione delle Preture. Complessivamente i collaboratori sono una sessantina, di cui 24 operatrici sociali attive al fronte. Fra i prossimi obiettivi figura l’apertura di alcuni appartamenti protetti a Lugano, in modo da semplificare ulteriormente il passaggio da Casa S. Elisabetta a una forma di vita più indipendente conciliabile con l’attività professionale.
Rispondere all’emergenza, accompagnare nel tempo, innovare nelle forme di risposta con rispetto per quanto promosso in passato. L’associazione Casa S. Elisabetta resta fedele a questo impegno, sottolineando i 70 anni di attività con un opuscolo celebrativo disponibile a breve. Un volume che inserisce la nascita dell’associazione nel contesto storico sarà invece pubblicato dopo il lavoro di catalogazione e analisi dell’archivio che l’associazione ha deposito presso l’Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino (AARDT).
Per molte giovani donne Casa S. Elisabetta ha rappresentato la svolta che determina il corso di una vita. La testimonianza della bisnonna inserita nell’opuscolo celebrativo afferma che lì le sono stati restituiti il sorriso, la speranza e una dose di amore che ancora oggi lei può trasmettere alla sua famiglia.