È all’inizio degli anni 90 che si sono posate le fondamenta digitali della società attuale. Ancora non se ne capiva bene il disegno, ma alcuni già la consideravano come inevitabile. I fermenti di quella nuova onda tecnologica erano arrivati anche da noi, spingendo un gruppo di giovani a dirsi che era ora di fare sul serio anche in Ticino. «Non c’erano le infrastrutture di rete che conosciamo oggi. Nessuno se lo ricorda ma salvo pochi privilegiati che lavoravano in certe imprese o organizzazioni pubbliche, per accedere ad Internet dal Ticino a metà degli anni 90 bisognava chiamare un numero telefonico a Zurigo, quindi pagare una costosa chiamata a lunga distanza. Così con alcuni colleghi – mi permetta di citarli perché hanno fatto, e stanno ancora facendo, un po’ la storia locale dell’Internet: Alberto De-Lorenzi, Paolo Cattaneo, Giovanni Taddei, Raffaello Giulietti e Simone Cicalissi – decidemmo di portare nel 1995 un nodo di Internet in Ticino».
Bruno Giussani ha vissuto queste cose ed è stato sicuramente uno dei pionieri di Internet nel nostro cantone e in Svizzera – ha fra l’altro lanciato quello stesso anno il primo sito web d’informazione del paese, per l’editore Ringier. Se Internet è arrivato presto in Ticino lo si deve in gran parte a lui e ai suoi compagni di avventura.
Potremmo descrivere la sua carriera come quella di un «surfer» partito con l’onda buona. Tanto buona che la sta ancora cavalcando: l’onda ottimista, ma non ingenua, di chi crede che la scienza e la tecnologia se usate nel modo giusto abbiano molto da offrire, e soprattutto forniscano un’opportunità senza precedenti per far circolare idee, informazione e conoscenza. Giussani, nato a Faido, non ha studiato tecnologia – la sua formazione è in scienze politiche e sociali, e a lungo ha scritto di politica cantonale, nazionale e internazionale per giornali e riviste qui e all’estero (è stato anche collaboratore di «Azione»). Ma è «caduto nell’Internet» quando l’onda stava per partire, mentre, nel 1994, era corrispondente del settimanale romando «L’Hebdo» a New York. Ne è diventato uno dei principali specialisti europei, e non l’ha più mollata.
Oggi, dopo passaggi, fra l’altro, al «New York Times», come editorialista; al Forum economico mondiale di Davos, come dirigente; e all’Università di Stanford, nella Silicon Valley, come «Fellow» (accademico invitato), continua ad essere principalmente un divulgatore, colui cioè che vuole diffondere le idee e farle conoscere al mondo. Questo è il suo ruolo, in particolare, come direttore europeo di TED, l’ormai conosciutissimo network informativo indipendente che sta dietro i video, chiamati TEDTalks, disseminati digitalmente ad una audience di centinaia di milioni di persone nel mondo.
Giussani ce lo racconta così: «TED è un’organizzazione non profit il cui scopo è quello di facilitare la diffusione di buone pratiche e buone idee, di conoscenza e di informazione. Lo facciamo sfruttando essenzialmente il formato del video digitale distribuito attraverso decine di piattaforme: il nostro sito TED.com, Youtube, iTunes, ovviamente, ma ci sono canali TED sui portali cinesi, programmi TED sulle televisioni giapponesi o brasiliane o sulle radio americane o africane, eccetera». Una diffusione in molte lingue. «Il nostro lavoro è di selezionare le idee e le storie che contano, e soprattutto le persone che sappiano raccontarle e spiegarle. L’obiettivo è filtrare le cose di valore, nella gran massa dell’informazione che circola. Perché penso che oggi soffriamo un po’ tutti di sovraccarico d’informazione, e il ruolo di filtro ridiventa essenziale».
Nella società della comunicazione digitale ipercapillare si sente in effetti la necessità di fare un po’ di ordine, di ricostruire una gerarchia nell’importanza dei messaggi. Ripensando al progetto libertario che Internet sembrava incarnare, quello dell’informazione gratuita e accessibile a chiunque, viene da pensare che qualcosa sia andato storto… «È vero che l’Internet idealistico degli inizi è diventato piuttosto un Internet commerciale, dove l’interesse economico primeggia».
La grande diffusione degli smartphone ha messo nelle mani delle persone un accesso a Internet molto semplice e immediato, che ne ha però cambiato la natura: «Le app hanno riportato il controllo delle cose nelle mani di chi le produce. Le app sono uno spazio chiuso e controllato» precisa Giussani. «La pagina web è uno spazio in cui si linka verso altre pagine, in una rete aperta, una ragnatela. L’app invece è uno spazio chiuso dove si entra e si rimane. Ci si vive come all’interno di un vaso. Certo, alcuni vasi sono grandi: Facebook è un vaso grande come il mondo, un milardo e mezzo di utilizzatori, che (almeno negli USA) vi passano quasi un’ora al giorno in media. A ben guardare ci si accorge che Facebook sta essenzialmente divorando l’Internet. Per molta gente, Internet è Facebook». «Nel mondo app – ci spiega ancora Bruno Giussani – abbiamo perso il controllo di quello che succede online, e l’abbiamo messo nelle mani degli editori delle app. E gli impatti di ciò non sono tutti positivi».
TED, pure usando anche le app, vorrebbe andare in controtendenza rispetto a questa dinamica «chiusa». «Andiamo alla ricerca di persone come noi, interessate alla diffusione della conoscenza. Le mettiamo su un palco, le facciamo parlare durante le nostre conferenze (ndr: ce ne sono 3000 ogni anno nel mondo). Le filmiamo, e diffondiamo i video, gratuitamente: ecco detto così sembra semplice. In realtà dietro c’è un lavoro redazionale intenso e approfondito. Oltre alla scelta dell’interlocutore c’è poi un lavoro altrettanto complesso in cui aiutiamo queste persone a raccontare la miglior storia possibile. Non è semplice organizzare una conferenza di livello mondiale: richiede molta preparazione».
Analoga all’impegno di TED, da diverso tempo si sta delineando, in Ticino, l’attività divulgativa del centro culturale legato al Monte Verità di Ascona. Alle conferenze che propongono «la diffusione della conoscenza scientifica, in dialogo con la cultura umanistica e l’arte», Bruno Giussani sarà invitato il prossimo 25 novembre, quando sarà intervistato in pubblico dal giornalista RSI Damiano Realini. Monte Verità è un po’ come TED? «Fondamentalmente si può dire che lo è. Del resto TED è uno dei molti formati e modelli possibili. Si possono tenere conferenze in un luogo fisico, come Ascona, oppure in modo più distribuito come facciamo noi. L’importante è essere capaci di selezionare, e mettere in luce le idee, i temi, le conoscenze più interessanti».
Monte Verità è un nome conosciuto ma che i ticinesi sentono sempre come un luogo un po’ estraneo: «Ha una sua storia, in questo caso non una storia ticinese ma una storia di europei che si sono stabiliti qui in varie ondate, creando una comunità “europea” attorno ad idee che non erano per nulla locali. Sono spazi creati da non ticinesi, su territorio ticinese, su cui i ticinesi non hanno mai veramente “cliccato”, per usare una parola non adatta ma contemporanea. Ma penso che oggi il Monte Verità meriterebbe più attenzione».
In conclusione del colloquio con Bruno Giussani, che da molti anni passa parte del suo tempo viaggiando per il mondo ma rimane molto addentro alla realtà ticinese, cerchiamo di evocare degli scenari in cui collocare una auspicabile circolazione di idee attraverso il cantone. «Credo che c’è un solo modo per crescere, ed è quello di mettere persone ed organizzazioni in rete – non intendo dire sull’Internet: parlo della creazione di collaborazioni incrociate. Il Monte Verità, il LAC, il Teatro Sociale di Bellinzona o le manifestazioni che si svolgono al Dazio Grande a Rodi, tanto per citarne quattro, in fondo partecipano della stessa logica e intenzione: quella di creare una dinamica culturale nel cantone, di facilitare la circolazione di idee. Ma rimangono troppo spesso iniziative molto “parrocchiali”, nel senso geografico, perché siamo tutti bloccati dalle distanze, che sono più psicologiche che reali. Serve una dinamica che favorisca questi contatti. In fondo siamo 350’000 persone su un piccolo territorio: andare da Lugano al Monte Verità, chiede meno tempo che andare dal sud al nord di Manhattan a New York. Chi abita alla punta sud di Manhattan e vuole andare ad ascoltare l’Opera al Metropolitan, ci mette più tempo. Ma ci va, ed è una serata normale. A noi sembra troppo lontano».
Conferenza al Monte Verità
Bruno Giussani intervistato da Damiano Realini, 25/11/2016, ore 20.30