Avresti detto Hollywood, l’America. Invece no, anche il Ticino val bene un film. Il suo territorio, la sua varietà geografica – dai paesaggi mediterranei a quelli prealpini – possono offrirsi a location ideali per il cinema. Un territorio che tuttavia negli anni abbiamo in parte deturpato, rendendo sempre più rare e pertanto preziose quelle oasi in grado di conservare ancora intatte la loro natura incontaminata e al riparo da brutture architettoniche. E i luoghi, anche per la settima arte, sono tutto. Il territorio entra di diritto nella filiera cinematografica. «Noi, certo, possiamo avere tutti i mezzi possibili, incentivi finanziari, grandi professionisti. Ma senza il territorio non faremmo niente. La maggior parte della produzione audiovisiva – film, serie, video, spot – ha come protagonista, oltre al volto dei personaggi, il luogo in cui viene girata».
Ciak, si gira. Affrontiamo il tema del territorio ticinese accompagnati dall’occhio del regista e sceneggiatore luganese, Niccolò Castelli, 39 anni, che ha sempre scelto di ambientare entro i suoi confini i suoi lungometraggi, compresa l’ultima pellicola, Atlas. «Sì. Io sono tornato a vivere in Ticino perché tengo molto al territorio e alla mia cultura e volevo provare a dirmi, posso fare cinema anche qui. Per me è sempre stato molto importante, sin dalla scrittura della sceneggiatura, che i miei film fossero ambientati in luoghi che conoscevo. Ho spesso scelto ambienti unici, destinati a scomparire o a mutare, come per Atlas, per cui ho girato una parte delle scene allo spazio Morel di Lugano che adesso sarà abbattuto. Mi piace questo lavoro sul paesaggio. Mentre scrivo, spesso vado a cercare già i luoghi in cui potrà essere ambientato il mio film. Scatto foto per possibili scene. I luoghi possono ispirare idee».
Pur tuttavia il Ticino non è più un Eden di luoghi incontaminati. «Bisogna essere realisti. Ci sono anche delle «brutture» – che altresì possono essere interessanti dal profilo cinematografico – però è ovvio che la maggior parte delle persone cerca il Ticino per le sue enormi peculiarità, che rischiamo di mettere a repentaglio, quell’anello di congiunzione tra paesaggio mediterraneo e continente prealpino. I produttori vedono nel Mendrisiotto la «Toscana», le alpi, qualcosa di unico. Però se si inizia a distruggere il territorio ne risente anche il cinema».
Analizziamo «interni» ed «esterni», in termini cinematografici. «In Ticino ad essere messa a rischio è la difficoltà di trovare un luogo che sia ancora coerente. Tu cerchi una via per raccontare gli anni Trenta o Quaranta, ma basta una palazzina che si frappone tra due villette d’epoca a tradire il racconto di una certa atmosfera. Venendo agli interni, ci si rende conto che oggetti interessanti a livello architettonico ci sono ma sono sempre meno. La speculazione edilizia si avverte. E lo stesso vale per la natura: spesso e volentieri nel cinema si cerca qualcosa che non sia un’immagine da cartolina. Non necessariamente una bella immagine è la casetta con il giardino curato. Occorre che certi luoghi siano lasciati allo stato primordiale, selvaggio. Spesso sono questi i posti che raccontano di più. Ad esempio, se intendessi adattare una versione cinematografica de Il fondo del sacco di Plinio Martini e volessi trovare quel tipo di natura ruvida, lo potrei fare solo rintracciando delle valli che abbiano mantenuto intatte le loro caratteristiche. Per fortuna ci sono ancora luoghi, come la Valle Bavona, e sono straordinari per il cinema».
Stanno dunque diminuendo questi spazi naturali e conservati nel loro splendore? «Qua e là sì. Per me è importante cercare di comunicare che questi luoghi si stanno riducendo – e non si tratta di fare “discorsi da Wwf” – ne risentono non solo la natura e il paesaggio, ma anche le nostre risorse economiche, sociali e di cultura. Il ghiacciaio del Basodino, che era il più accessibile di tutti, oggi purtroppo è quasi morto ed è praticamente ridotto a una sassaia. È diventato un po’ meno interessante anche dal profilo cinematografico, fotografico ed estetico».
Questa trasformazione e alterazione paesaggistica rappresenta dunque un limite anche per il cinema? «Oggi con la tecnica digitale l’immagine brutta di un’industria posso anche cancellarla. Io nei miei film utilizzo anche luoghi che non sono propriamente belli ma perché è voluto e ricercato. Il bello cinematografico può essere anche un “brutto” comune».
Dal 2021 Niccolò Castelli è direttore della Ticino Film Commission. Che cos’è, in concreto, e di cosa si occupa? «La Ticino Film Commission esiste dal 2013 ed è operativa dal 2014. Il suo scopo si esplica principalmente nell’attirare e consolidare la produzione audiovisiva in Ticino. Significa far sì che la produzione che già esiste sia meglio coordinata, promossa, sviluppata e invogliare nuove produzioni a venire sul territorio. Tre sono i motivi: il primo è quello di creare un indotto economico, perché il cinema, oltre ad essere un’arte, rappresenta anche una forma di industria che io chiamo nomade, nel senso che porta un indotto laddove va a girare – un importante indotto, perché quando il cinema si muove spende tanto nel territorio nel quale si addentra. Spende in vari servizi, perché alla troupe vanno garantiti ristoranti, alberghi, elettricità, scenografie, collaboratori. Mille cose. Il cinema è interessante, poi, dal punto di vista dello sviluppo economico, perché si muove anche in regioni periferiche. E un aspetto non meno importante è l’immagine turistica, perché facendo un film esportiamo l’immagine del Ticino all’estero: mostriamo zone del Cantone a un pubblico in modo emozionale, immagini che rimangono per sempre. Lo vedo anche personalmente: quando porto un film a un festival, in Canada o in Germania, Cina, Stati Uniti, la gente chiede dei posti in cui si è girato, che si contrappongono ai cliché comuni che hanno della Svizzera. Inoltre, una produzione cinematografica significa trenta persone che vengono dall’estero e sperimentano un film, del quale una volta a casa ne parlano, attori famosi che scattano foto sui set ticinesi, quindi un indotto impagabile… . Noi aiutiamo tutti i film, a livello di servizi secondo tutte le necessità, e il nostro ruolo è spesso quello di cercare i luoghi dei set, che valutiamo con l’occhio e il linguaggio del cinema».
E in termini di mezzi economici? «Abbiamo a disposizione degli incentivi finanziari per attirare le produzioni in Ticino. Incentivi riconosciuti per coprire parte delle spese sostenute sul territorio, ma il cui indotto economico si riversa a favore del territorio stesso. Le cifre del rapporto dell’ultimo quadriennio indicano che abbiamo elargito incentivi per 350mila franchi negli ultimi quattro anni a fronte di una ricaduta economica per il Ticino di 13,5 milioni di franchi. Esempi di incentivi riconosciuti dalla Ticino Film Commission – che è fra l’altro finanziata dal Dipartimento dell’economia come progetto di sviluppo economico regionale – risalgono all’anno scorso per due opere cinematografiche girate in contemporanea a Lugano: il primo è un film d’autore, ospite della Berlinale, dove il Ticino non si riconosce quasi: si tratta di Calcinculo di Chiara Bellosi, che ha visto lavorare qui molti professionisti per diversi giorni. L’altro film è quello di Leonardo Pieraccioni, Il sesso degli angeli, un «blockbuster» che uscirà ad aprile con un potenziale di milioni di spettatori. Una grandissima pubblicità per Lugano, che accompagna in modo proattivo gli sforzi di promozione turistica».